Edilizia Cristoforo Colombo Cogoleto

Ad ogni termine dell’anno scolastico, nel periodo estivo, seguivo mio papà nel laboratorio di falegnameria dell’Impresa Pesce Pietro, in una traversa di via Isnardi a Cogoleto.

Lo aiutavo a far dei lavori, presso appartamenti a posizionare serramenti e battiscopa, in case appena costruite.

Nello stesso seminterrato, c’era anche la sede della ditta di Termoidraulica, dei quattro fratelli Romei, sempre gioviali e pronti allo scherzo.

Conobbi Paolo, un infermiere del manicomio di Prato Zanino, che dopo il turno di lavoro, era in falegnameria, lo aiutavo nei lavori presso le nuove case vacanze della Rotonda all’Arrestra.

L’attività consisteva nel forare la ringhiera delle scale interne, per fissare il corrimano in legno, poi c’era da posizionare il solito battiscopa e visto che era un uomo alto e robusto, vinse anche l’appalto della posa in opera dei box doccia, ricordo la fatica nel trasportare le ante in vetro e l’odore del silicone, all’interno dei locali da bagno.

Oggi ho il rammarico, di non avere mai avuto, in quegli anni, delle estati libere da impegni di lavoro, la maggior parte dei miei coetanei, andavano in spiaggia a girovagare o in vacanza.

Terminato il terzo, anno dell’Istituto Tecnico Professionale e finiti gli esami, restai nullafacente per qualche giorno, poi il 09 luglio 1975, mio padre mi accompagnò al mio primo vero posto di lavoro.

Fui assunto nella ditta Edilizia Cristoforo Colombo Calcestruzzi grazie al titolare, Pesce Pietro, che era mio zio e visto gli studi di meccanica, fui reclutato presso l’officina dell’impresa.

Per parlare di mio zio Piero, non basta questo articolo. Era un’uomo con una vitalità straordinaria, partendo da zero, insieme a Paulin suo padre con una carriola e qualche attrezzo, ha costituito una grande impresa edile e dato lavoro a centinaia di persone, è stato il mio padrino di comunione, la mia famiglia è grata dell’aiuto ricevuto in un momento difficile. Personalmente lo ringrazio di tutto e di avermi offerto questo mio primo lavoro, ma gli sono grate anche le tante famiglie di Cogoleto e dintorni, grazie a lui hanno potuto avere un reddito crescere e far studiare dei figli.

L’officina e l’area dell’ex Calcestruzzi è visibile tutt’ora, in località Mulinetto, situata in sponda destra del torrente Arrestra nel territorio del comune di Varazze, delimitata dal fiume, dalla linea ferroviaria, dall’imponente massa rocciosa che grava sopra l’edificio dell’officina, erosa da una preesistente cava e verso nord dal muro in cemento, dove c’era l’impianto e i silos degli inerti del calcestruzzo, a destra seppur in parte franata e invasa dalla vegetazione, è visibile la strada verso la Cava dove ora sono stoccati i rifiuti della Stoppani

Oggi non è piu’ possibile l’accesso al piazzale della calcestruzzi

Però qualche mese fa, approfittando di una scala a pioli, addossata alla ringhiera, sono riuscito a scendere nell’alveo del fiume, risalire la sponda e arrivare nello spiazzo.

Alla mia sinistra, la baracca oramai diroccata, dove c’erano gli spogliatoi, difronte il locale adibito al rifacimento del materiale isolante delle siviere della Tubi Ghisa, con le vie di corsa del carroponte e quindi l’adiacente edificio dell’officina meccanica, dove, tramite una porta divelta, riuscii ad entrare.

Quanti ricordi in un attimo!

Le descrizioni delle attività lavorative, in questo racconto autobiografico, sono relative a un contesto storico, gli anni “70 dove il lavoratore considerava ancora la questione ambientale e soprattutto la materia antinfortunistica, come una limitazione alla sua libertà o un’inutile lacciolo, una complicazione al suo lavoro, pur esistendo un’informazione di base, dei rischi e pericoli inerenti ogni specifico lavoro e avendo a disposizione gli strumenti e i dispositivi individuali antinfortunistici.

L’edilizia è da sempre un’attività a rischio, per quanto riguarda gli infortuni sul lavoro per le mille variabili presenti in un cantiere e questo rischio è moltiplicato in modo esponenziale, se poi vogliamo addizionare a quanto sopra enunciato, la giovane età e l’inesperienza.

I primi lavori, furono di pulizia delle parti meccaniche, appena smontate, effettuati con un’idropulitrice,

L’officina sorgeva quasi a ridosso dell’alta parete rocciosa del ex cava e non di rado quando soffiava forte il vento, il pietrisco che si staccava dalla roccia cadeva inquietante sulle lamiere del tetto, ogni tanto anche delle grosse pietre ma fortunatamente cadendo al suolo, si limitavano solo a percorrere qualche metro rotolando.

La zona, d’inverno era poco irraggiata dal sole, il freddo mordeva le orecchie e le estremità mani e piedi, per il riscaldamento si usava una stufa funzionante a gasolio e olio esausto, emetteva un pò di fumo ma quello saliva in alto e si disperdeva poi all’esterno.

Aveva un inconveniente, la combustione era regolare fino a che terminava la parte nobile del combustibile e se non era rifornita in tempo, allora dal tubo di scarico usciva un fumo grigiastro denso e maleodorante, la stufa veniva portata velocemente all’esterno, e si doveva aprire il portone per ventilare il locale!

Dalla strada del Mulinetto, per raggiungere l’officina si doveva guadare il fiume Arrestra, il passaggio era cementato alcuni tubi sottostanti garantivano in condizioni normali, il deflusso dell’acqua, ma dopo un acquazzone solo con un fuoristrada o con i camion si poteva transitare.

L’alternativa era quella di raggiungere il posto di lavoro dalla strada, quella che serviva per approvvigionare i silos dell’impianto, si transitava davanti alla cava e poi si attraversava il fiume sopra un ponticello in cemento.

Con i primi stipendi acquistai una Fiat 500 L di colore blu, usata, ma quando il fiume ostacolava il guado, era problematico con la mia macchinina, effettuare il percorso alternativo, la strada era fangosa e con profonde buche, molto facile restare impantanati.

A questo punto una persona sensata, che cosa fa?

Aspetta un passaggio, oppure lascia l’auto e percorre a piedi la strada sterrata, alla peggio attraversa il fiume a piedi nudi…..

Ma il ponte della ferrovia era lì vicino, bastava salirci sopra, attraversare i due binari scavalcare la ringhiera e il gioco era fatto!

E così feci in pratica ogni volta che si alzava il livello del fiume.

Una mattina però, avevo appena finito di attraversare i binari, sotto all’ombrello con il rumore dell’acqua non sentii arrivare il treno, lo vidi sbucare all’improvviso dalla galleria.

In questi casi subentra l’istinto di sopravvivenza, che come mi è successo in altre occasioni, si sostituisce alla ragione e impartisce gli ordini da eseguire all’istante per la propria incolumità.

Lasciai l’ombrello, che finì perso nel fiume sottostante, mi aggrappai alla ringhiera, chiudendo gli occhi, ricordo ancora la folata d’aria, il fischio prolungato del treno e lo stridio dei freni, probabilmente il ferroviere aveva azionato la frenata rapida.

Scavalcai la ringhiera e di corsa raggiunsi lo spogliatoio.

Restai per un po lì con il batticuore per lo scampato pericolo

L’officina era il regno di Luigino Damonte, Luigin in dialetto, ne avevo già sentito parlare da mio padre, come una specie di padreterno della meccanica.

Luigino è di Terrarossa, panoramica località di Arenzano, con la sua inseparabile Land Rover ha girato in lungo e in largo mezzo mondo, era stato per molti anni nella Repubblica Centroafricana con missionari, i frati cappuccini, nella diocesi di Bouar.

Un’amico che rivedo sempre con piacere con parlare un po di tutto.

Ho il grosso rammarico, di non averlo seguito in una sua spedizione, dove raggiunse per via stradale l’India, poi tramite passaggio navale il Kenia, quindi risalì’ l’Africa fino al Mediterraneo, il tour era stato effettuato in sei mesi insieme a lui il figlio di un impiegato dell’impresa.

Mi chiese se volevo andare con lui, ma i miei genitori si opposero, per paura e per questioni economiche, Luigino si offerse di pagarmi le spese, gli avrei reso il prestito con il tempo, ma furono più forti i condizionamenti famigliari, e cosi aspettai il suo ritorno e i suoi racconti.

Per l’occasione, aveva comperato una bellissima fotocamera nuova, una Zenza Bronica e all’arrivo mi invitò a casa sua a visionare le diapositive, scattate durante il viaggio, ricordo le foto di una tigre e poi grandi spazi, ora verdi di boscaglie ora gialli del deserto e l’eroica Land Rover con la tenda Air Camping, sopra il tetto.

Rimasi aggregato all’officina fino alla mia partenza per il militare avvenuta nel settembre del 1977.

Sono grato a Luigin per avermi insegnato i primi rudimenti della meccanica quello che poi sarà il mestiere della mia vita.

La tipologia degli interventi di manutenzione, erano sempre di tipo accidentale a seguito di malfunzionamenti o peggio di rotture, questo era dovuto al parco macchine vetusto, ma anche agli operatori e dagli autisti non proprio immuni da colpe.

Il parco macchine comprendeva oltre alle autobotti i camion impiegati nella produzione e consegna del calcestruzzo, anche i mezzi dell’impresa Edile Pesce Pietro S.p.A. lo stesso titolare dell’Edilizia Cristoforo Colombo.

A spanne il parco macchine era composto da 6 autobotti per il cemento 2 autosnodati per trasporto inerti, 4 autocarri 4 ruspe 1 escavatore 2 fuoristrada alcune gru semoventi per la movimentazione dei tubi ghisa, diverse auto e furgoni, poi ancora motocompressori stradali e tutto quello che aveva un motore elettrico o a scoppio.

A nostro carico anche la manutenzione meccanica dell’impianto per il calcestruzzo, lavori di saldo carpenteria all’interno degli stabilimenti della Tubi Ghisa e Stoppani e presso vari cantieri edili.

Gli automezzi non avevano nessuna diavoleria elettronica e quindi possibilità di diagnosi.

Tutto era affidato a Luigin al suo intuito e alla sua esperienza.

Ero contento quando ero a lavorare insieme a lui, c’era sempre da imparare, io ero molto curioso e quasi aspettavo qualche rottura per veder smontare qualcosa.

Luigin durante le fasi di smontaggio metteva tutti i pezzi alla rinfusa, dentro scatole di cartone o di legno a volte questi componenti erano in quantità notevole e ingombravano le pareti laterali dell’officina.

Poi come spesso succedeva, il ripristino del veicolo era posticipato, causa altri impegni, altre emergenze, e passava molto tempo prima del rimontaggio.

Ma quando era il momento, lui ricordava sempre dove collocare i vari componenti, quelle rare volte che gli sorgeva un qualche dubbio, allora annusava il particolare e ricordava dove era posizionato, tutto ritornava al suo posto e il macchinario era pronto!

Tutto ruotava intorno a Luigin, insieme a me c’erano altre persone in officina, Gianni detto u Barbetta anche lui con la passione del fuoristrada, poi Mario che era assunto come autista, aveva il cognome di un famoso ciclista, ma era spesso in officina per lavori di saldo carpenteria d’altronde il suo paese di origine era Incudine in provincia di Brescia!

Poi u Ture un’ex camionista in pensione che con un vetusto camion OM Titano radiato e senza targa effettuava l’approvvigionamento degli inerti, per l’impianto di calcestruzzo, prelevando il materiale dalla vicina cava. Ricordo i suoi racconti dell’epoca eroica dei trasporti e tutte le sue storie avevano come sfondo un passo dell’appenino La Cisa, il Bracco, i Giovi, il Turchino, ascoltavo volentieri quell’uomo dal fisico ancora forte, lui mi prese i simpatia e quando lo salutai per andare a militare aveva gli occhi lucidi e mi diede una busta con ventimila lire.

Persone con cui ho condiviso qualche anno della mia vita e a cui mi sento legato da un caro ricordo.

Grazie.

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