
Quest’anno non sarà una bella annata per l’olio, la mosca e il lungo periodo di siccità, hanno drasticamente ridotto la quantità di olive che sono arrivate sane alla maturazione
Lo spunto per questo articolo, nasce da una frase che mi ha detto u Saturnin
– Stamu megiu quandu nu gh’eimu ninte!-
È un modo di dire, riferito ad un mondo che non esiste più, fatto di tanta fatica, ma estremamente meno complicato da tutte le cose inutili del nostro vivere quotidiano
Varazze era autosufficiente dal punto di vista alimentare, tutto era a km 0
Anche il lavoro era a due passi da casa, con le industrie di Varazze e gli opifici nel Sciu da Teiru
Negli anni 60, erano ancora tre i frantoi ( l’Uiva’) azionati dalla forza idraulica.
Da u Laguscuu, l’Uiva’ du Mucciu, dove nulla si sprecava e u Patassu serviva pe fo u Savun.
Un’altro frantoio era ai Muinetti, all’inizio della via Bianca.
Qui l’acqua trasportata da u Beu du Pasciu, dopo aver lavorato nella ruota, tirava dritta per bagnare gli orti da Caminà, una diramazione attraversava con un sifone il Teiro, irrigava la Lomellina e quell’acqua prelevata sotto al Colle di S.Donato, faceva come ultimo lavoro, ruotare un Uivà da Munto’ di Fratti.
Era quello del frantoio di Pantellin, dove gli addetti alla macinazione delle olive erano Gino Siri e suo padre Fiorin.
A Cantalupo era in funzione il frantoio della Società Cattolica, azionato da un motore elettrico.
Era una sapienza antica quella de Fo l’Oiu.
Il mastro dava acqua alla grande ruota, questa metteva in movimento una cascata di ingranaggi, che con il suo cadenzato rumore, faceva ruotare la macina del frantoio
Tutto era azionato dall’acqua, energia a costo zero.
Mentre la spremitura della sansa in te Sporte, era fatta ancora a mano con la pressa.
In questo periodo i frantoi, offrivano ospitalità pe un Gottu de Vin e pe cunta’ due musse.
Ma sempre con un occhio vigile perché qualcheduno aveva detto, che le olive a macinare in quell’uiva’ favan poco oiu …..
Li dal Frantoio un forte odore d’olio permeava l’aria
L’alimento prezioso frutto di tanto lavoro colava dall’Uiva’
Quel liquido scuro da far decantare per eliminare le impurità, era fatto scorrere fra le dita e assaggiato per sentirne il gusto.
Pignoe, Matee, Murtin sun e nostre uive.
Pignoa ovvero, oliva Pinola di Savona, la Matea che fa le olive un pò più grandi.
Il Murtin arrivò sulle nostre colline negli primi anni del secondo dopoguerra, con le sue olive piccole, ma ad alto rendimento
Nel nostro entroterra ci sono anche le olive verdi, di una varietà di Taggiasca bastarda, da molti ritenute la miglior qualità.
Alcuni di queste cultivar, arrivarono sulle nostre colline estirpate ad Arenzano
E poi i monumentali vetusti Uivastri, dove per raccogliere le olive servivano i Quaranta Parmi, le scale alte dieci metri.
Le olive erano strappate dalle piante o raccolte a terra da e Sascelline, che arrivavano per la stagione dell’olio.
Attività svolta nel periodo autunno e inverno, con belle giornate di sole che si sudava a star accovacciati a raccogliere olive, ma anche nelle terribili giornate di freddo, con il vento che arrivava alle ossa e faceva battere i denti.
Ringrazio e pubblico alcuni commenti a questo articolo
Vittorio Pisano
…i uivastri sun erbuii stuccaessi (se rumpan de ninte) sun periculisi perché travagian sulu se punte e pe cugile ghe vouan schee de castagnu minimo de desce metri e anche ciú. De l’erbu nu te poo fiá se nu te imbelini su e allua, cun e corde, ti che devi da di venti che te resan. E uive rendan un sette pe sentu ma l’oiu u lè de qualitè eccelente
Maria Ratto
Mi ricordo questa filastrocca….
U canta u merlu
sciu pe u riano’
chi nu cogge de uive
u nu mangia i frisciõ.
Giovanni Cerruti
Grazie Giuan per il bellissimo tuo racconto, nei frantoi che tu hai ben descritto, alla fine della macinatura delle tue olive, ti davano u Purpin ( olio con la pelle delle olive) molto atteso a casa al tuo arrivo.
Con l’olio nuovo per fare l’antica figassa neigra.
Mi viene ancora l’acquolina in bocca, solo a menzionarla. Oggi i frantoi moderni la scartano nella sansa.
