A Stria de Casanova

Varase giovedi 23 ottobre 1603, già all’Ave Maria arrivan dai tre Recanti e dai Mascelli, tanti bravi cristian, tutti massati in ta Ciassa, per prendere carega nella sala del Consiglio al cian di tera, dove neanche un garbo restava

C’era tanto bordello, che solo lo passa parola, serviva, per sapere quello che dicevano dallo scranno.

Tante teste, che contavano a chi e uegge non sentivano.

Le donne, tutte mandate a far di sapone in Teiro, che è una bella giornata, e sciugan le lensola, cosi non sentivan parole brutte che maniman, facevano venir puia a quelle fantine e alle mamme ci andava indietro il latte.

I figgio’ tutti a far saltare le prie in se l’equa, che il più bravo, poi si mangiava a figassa de Marinin

In questo santo giorno, dopo tre otte, si doveva far il giudizio, capitanato dal santo inquisitore rev. Carlo Gambino, Vicario del munifico Vescovo di Sanna, per la curpa grave di Caterina Damele fu Enrico, dover dar conto dello svelar della sua borsa verde, che Caterinetta Faba, detta Chinola, avea portato in questo giudizio di Dio e degli uomini.

Si arvi’ la borsa verde e contate a voce forte, le cose:

Un toccu de savun!

Na foggia de castagna!

Cavelli lunghi de donna ingugii in te sampe de baggiu!

Ci fu tanta meraviglia in quel Consiglio!

In quella malefica borsa verde erano tutti simboli del demonio!

Tanti si son segnati cun u la crusce, tanti in senuggiu a pregare la Santa de tornare per liberar dal demonio Varase!

Qualcheduno e sciortito di corsa, a dire che una stria era stata a Casanova e che presto, abbisognava cercar legna e un palo per abbrucciarla subito!

Ma il Vicario, conosceva bene i cristiani de Varase e ciammandoli pe numme ci disse di tacer, perché il demonio era li’ e sarebbe, sciortito, a ciappare quelli che ci avevano il peccato in corpo

Tante teste si sono girate….occhi a cercar dove era il demonio.

Poi cian cianin…. e chi lesto, se ne sono andati via in tanti, chi duveiva ando’ a piggio’ a legna, chi a fo sciurti’ e galline, n’atru andava a dare recatto alle pegue chi doveva dorvire la bitega… anche u preve de Santa Ambrosciu è andato, perché doveva smurto’ un lume in giescia!

Io non dovevo andare in alcun posto, avevo confessato i peccati domeniga scorsa e portato un cavagnin de fasciou au preve, e non avevo piu penso’ a Chinola, che quando l’avevo vista, l’altra volta ci diedi un occhio.

E ci ho visto la pelle della caviggia.

L’ho detto al preve che mi ha dato la penitensa

Aua pero’ nel Consiglio, si stava ben larghi e si sentiva la strega, interrogata dal Vicario! Caterina disceiva di no, che non fusse lei a mette quelle malefizie, nella sua borsa verde e diede curpa alla suocera, moglie di Giobatta Perata detta Bianchinetta

-Che mi vuole male e odio e per questo ho chiesto aiuto, alla Madonna della Colonna, nella festa di settembre, mentre ero a Sanna e ho detto tutto questo nella santa confessione!-

Tutti sitti, e un suscio’ de parolle da ueggia a ueggia.

-È il demonio che parla, perché sente spussa di carne abbruciata!-

ll santo inquisitore s’alzò e disse che era chiuso, il giudisio di Dio, per oggi.

Doveva chieder consiglio all’Altissimo e per questo andava alla Madonna della Colonna, per sentir la parola di chi era alto nei cieli.

Traversò il Consiglio, tutti a baciar la mano al santo Inquisitore, ma solo i priori, i previ insenuggiati, potevan farlo, non quelli come me con le pesse nel culo.

Poi è montato sulla sua carrozza, già piena di limoni, sacchi di fave, ceci, fascioli, carrubbe, sacchi di formentone un’ otre d’olio e quattro cuniggi in te un saccu, donati da Varase che sempre bene vuole agli uomini di giescia.

Caterina Damele poteva tornare a casa sua, ma il Vicario le disse che non doveva più star accanto alla Chinola, perche’ su detta femmina, di pelle scura, v’erano troppe voci brutte che circolavano. (Chinolla a Genova voleva dire peggio che un plebeo, dovuto certo a qualche incrocio di razze e chissà chi era il padre ).

E cosi’ Caterina Damele si salvò dalle torture e dal rogo dichiarando di essersi comunicata.

Il Vicario si recò dal confessore, ed ebbe il resoconto della confessione fatta da Caterina Damele.

Questo sacramento, fu un efficace strumento di controllo effettuato sulle comunità cristiane.

Il mio racconto è una verosimile cronaca di come poteva essersi svolto il processo alle “Streghe di Casanova” tratto da “Streghe guaritrici e preti incantatori” La magia popolare nei verbali dell’inquisizione della Diocesi di Savona (nei secoli XVI – XXVII) di Manuela Saccone e Giuseppe Testa

Il primo ottobre del 1607, Caterina Damele fu Enrico, fu trovata morta in Teiro, il medico viste le ferite alla testa, disse che era stato un’omicidio.

Dopo brevi indagini, ma con numerose testimonianze, fu incolpato il marito Bernardo Perata, che fu condannato al taglio della testa.

Questo è il finale tragico, di una vicenda, iniziata quattro anni prima, dal marito di Caterina Damele, che tento’ con la complicità dei parenti, una specie di divorzio all’italiana, incolpando la moglie di stregoneria. Decisivo fu il ruolo del Vicario, che conosceva bene la comunità varazzina, tramite il contributo dei numerosi prelati, presenti nella territorio della nostra città, che nel XVII, vantava già la presenza di una trentina di chiese.

Una presenza capillare, capace di effettuare, un totale controllo, sulla vita dei fedeli e in grado di risolvere delitti, controversie e avere memoria degli accadimenti.

Buona Giornata

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