L’ Amico Fragile

Ora che il più del tempo che mi fu dato per restare in questo mondo è passato, voglio lasciar qualcosa a chi senza ergersi a giudice, è ancora capace di ascoltare senza emettere sentenze.

Quella che vi voglio svelare è una storia, uguale a tante altre, sempre taciute, mai conosciute, perché c’era un giuramento da onorare,

degli affari da mandare avanti

e un onore da difendere

Giurai anch’io un giorno di tanti anni fa, stringendo la mano dura di un vecchio, che mai avrei proferito parola, di quanto sapevo.

Ma oggi invece sto per raccontarvi questa storia.

Prima che a vegiaia a ne pesta in tu murto’ ( De André)

Quanti anni sono passati cinquanta?

Forse di piu.

Ho pensato e penserò ancora se questa è la cosa giusta da fare

Ma troppo tempo ho passato a tormentarmi e a pensare a quella mia parola data e se era ancora giusto mantenerla.

Ti ho anche parlato un giorno, ma da quella foto in mezzo a una croce, tu che altro mi potevi dire?

E allora scriverò i fatti così come sono accaduti.

Erano gli anni del lavoro per tutti nella nostra città, a tutti piaceva divertirsi e arrivavano da ogni dove per ballare, nei locali alla moda e nelle balere di periferia.

La gente cantava davanti ad un negozio o dietro un banco del mercato.

Noi bambini eravamo vivi e curiosi, sempre a correre e a rincorrerci lungo il greto del fiume, posto di infiniti giochi e passatempi.

Quante cose abbiamo perso!

A spiaggia non si andava mica tanto e poi i vecchi dicevano che tutto quel sole faceva male alla testa, ma forse ci volevano lontano dal bagnasciuga, quando i Sciuri de Milan, arrivavano con le loro servette.

Fu in quel nostro giocare in riva al mare, frenetico e chiassoso, che ti vidi per la prima volta, con quel tuo bel sorriso.

Ma perché ci avevi cacciato in malo modo quel giorno?

Fu il Vecchio che mise alla prova il tuo essere uomo, spietato contro chi entrava in una proprietà privata.

Quell’infausto giorno, con fare arrogante tirasti quella pietra.

Il mio occhio destro fu perso per sempre, anche se la tua famiglia tanto si prodigò in cure e operazioni.

La vita è fatta di molte cose un mosaico di tessere ognuna con uno scopo ben preciso.

Negli anni a seguire diventai il tuo miglior amico, l’unico forse che potevi avere.

Ma eri una perla preziosa in un mondo già guasto.

Troppo gentile il tuo animo e bello il tuo sorriso.

Un amico fragile

Lavoravo in quella spiaggia un tempo di tutti, da oltre un secolo appartenente alla tua famiglia.

Tu eri il figlio del padrone, il Vecchio, così era chiamato, anche se era ancora un uomo forte e risoluto.

Mai avrebbe immaginato ne’ capito.

Il tuo appartarsi al buio con giovani pagati, per soddisfare le tue voglie.

I segni sulla sabbia di quelle lotte notturne.

Per certe cose c’era solo una soluzione.

L’internamento.

E l’Ospedale Psichiatrico era a poca distanza.

Meglio per la gente saperti pazzo, che con il vizietto.

Fui accusato di aver taciuto, e di essere come lui.

Ma tutti sapevano che non era vero.

Ma poi il Vecchio ci ripenso’ e mi accolse come un figlio

Ma lo fece per convenienza. Serviva perpetrare la concessione balneare di quella gallina dalle uova d’oro, che tanto profitto generava ogni anno

Fui adottato, ma dovevo giurare, che nessuno mai doveva sapere la vera storia di quel poveretto rinchiuso nel manicomio.

Ci fu un tempo dove era molto facile essere rinchiusi, senza il benché minimo indizio di pazzia.

I signorotti e gli arricchiti, come era il Vecchio, potevano ottenere l’internamento di persone non gradite o per questioni di eredità.

Pratica usata dal duce e molto utilizzata durante il periodo fascista.

Anche questo tutti devono sapere

La sala delle visite del manicomio, era molto luminosa, dai vetri si potevano vedere i campi appena concimati e alcuni ospiti di quella casa di cura, curvi con la zappa.

Era una città indipendente quell’Ospedale Psichiatrico.

Chi tra i ricoverati, era in grado e capace di fare qualcosa, poteva lavorare nella fattoria o a far dell’ altro.

Distoglieva i pensieri e sfogava il corpo.

Era un giorno di primavera, quando arrivai al manicomio, attesi un tempo infinito per vederti.

Ma era sempre così, ogni domenica, quando venivo a trovarti e insieme facevamo tutto il perimetro della recinzione.

Mi avevano avvisato che avevi fatto il matto.

Arrivò un furgone

Entrarono alcuni ricoverati, sulle prime non ti riconobbi.

Non eri tu!

Dov’era quel mio amico che mi sorrideva e salutava da lontano?

Niente di te era rimasto dentro quella divisa, che come un sacco conteneva solo ossa senza vita e occhi senza senso

Ma quanto male ti hanno fatto amico mio!

Quando il vecchio ando’ all’inferno, ti riportai a casa.

Stavi lì su una sdraio a guardare il mare e le sue onde a volte giravi lo sguardo a cercarmi, eri tornato tu e quel tuo bel sorriso.

Francesco Baggetti.

Lascia un commento