L’Oratorio

Eravamo dei piccoli Serveghi, io e i miei tre amici, dei Seotti, scavezzacolli, intenti sempre a combinar qualche malefatta.

Impolverati, sporchi e a volte sanguinanti, con le ginocchia perennemente scorticate.

Si rientrava a casa la sera per beccarci, ogni volta le urla e le botte dei nostri genitori.

Con la vana minaccia di non uscire più di casa!

Noi padroni del nostro territorio, che era tutto lì, dove il Teiro compie l’ultima curva, intorno al colle di S. Donato, fino alla sommità du Vigno’, e da Castagna

Di questi posti, conoscevamo ogni cosa, ad occhi chiusi.

Tutti i sentieri del bosco, i posti più inaccessibili dove costruire le capanette o giocare alla guerra

Le grotte i rifugi di guerra i Rian, l’acqua verdenera delle Peschee, i Bei, i Pisciuelli dove dissetarsi.

Sapevamo dove erano gli alberi da frutta, da depredare, Perseghe, Bricoccole e Scesce.

Avevamo anche un campetto da calcio, in terra battuta e pietre.

In quel quadrato di terra e pietre, delimitato dalla segatura, in quelle lunghe estati calde, si alzavano nuvole di polvere a rincorrere un pallone.

Interminabili partite, sotto un sole cocente a sbucciarsi le ginocchie e poi il Teiro, fonte di innumerevoli giochi e passatempi, come quello della caccia ai Mungagi le bisce d’acqua e le anguille, che rischiarono l’estinzione in quel periodo!

E poi violenti scontri, botte, distruzioni di manufatti e pietrate, contro la banda del Parasio, quando invadeva il nostro territorio.

Nel disperato tentativo di “civilizzarci” fummo iscritti all’Oratorio Salesiano, c’era Don Morelli, che ci sapeva fare con i tipi “difficili” come noi.

Qui potevamo dar sfogo alle nostre energie, giocando a pallone, su dei veri campi da calcio .

Legata con una catenella una spazzola per pulire le scarpe, e risparmiare le sgridate a casa.

Dopo la messa si faceva colazione al baretto e poi si formavano le squadre, con i due capitani che sceglievano i giocatori da schierare.

Spesso però, c’era abbondanza di materia prima, troppi giocatori e non si riusciva a entrare in una squadra.

La voglia di giocare era tanta e allora provai anche il ruolo di portiere, c’erano pochi pretendenti e si riusciva a giocare qualche partita.

Durante un incontro, però nel tentativo di deviare un bolide, indirizzato da Vincenzo Berio verso la rete, da me difesa, opposi la mano sinistra, e la pallonata me la piegò violentemente all’indietro.

Provai un dolore lancinante e fui costretto ad abbandonare il campo.

Il polso mi fu fasciato stretto, non era rotto, ma dopo una settimana il dolore persisteva e non riuscivo a recuperare l’uso della mano.

Fui accompagnato anche da “un guaritore” a Celle, che sistemava i nervi con un unguento miracoloso oleoso e profumato e con strane parole rituali.

Riacquistai l’uso dell’arto dopo circa un mese!

Non giocai più in porta.

In estate, l’Oratorio organizzava dei tornei, con tanto di sponsor, dei bagni marini o di qualche esercizio commerciale.

Io solitamente durante queste partite giocavo in difesa.

Con lo sponsor del Biscottificio Giordano, arrivammo a giocarci la finale.

Io dovevo marcare Rattone, il capocannoniere del torneo.

Fisicamente era una lotta impari, lui grande e grosso, io sempre il solito mingherlino.

Riuscii, comunque, a “marcarlo stretto” lui era forte, ma lento e io riuscivo ad anticipare, le sue giocate.

Ricordo i gesti di stizza, ogni volta che gli portavo via la palla.

La partita finì con un pareggio, e poi per colpa di un arbitraggio scandaloso perdemmo la bella.

L’Oratorio diventò la nostra seconda casa, io e due miei amici facemmo anche i chierichetti.

Ma non durò molto, eravamo costretti a star troppo tempo fermi e a rispettare tutta quella disciplina era un vero supplizio per noi.

Tutto si svolgeva secondo ritmi prestabiliti, la messa, la partita di pallone, poi il pomeriggio, la funzione pomeridiana con la benedizione e il film al teatro.

Con l’immancabile sacchetto di patatine e la bottiglia d’aranciata o di gazzosa.

La visione del film era gratuita, se sul tesserino c’erano il timbro della messa al mattino ed era stata perforata la tessera, con la stelletta della funzione pomeridiana.

A fine anno, si consegnavano i tesserini e si aveva diritto ad un premio in base alle presenze segnate sopra.

Ricordo, quando come primo premio, c’era in palio, una bicicletta.

Io avevo una vecchia bici con le “bacchette” e mi piaceva molto quella bici bella nuova.

Allora m’impegnai e riuscii ad avere, a fine anno, una tessera con tutti i bollini della messa al mattino e le perforazioni della funzione pomeridiana più il bonus da chierichetto!

Quella bici doveva essere mia!

Ma sfortunatamente, durante la cerimonia di premiazione delle tessere, nel cinema teatro dell’Oratorio, in mezzo al frastuono e alle urla di noi bambini, non udii il mio nome.

O non fu mai pronunciato.

E così il primo premio la bicicletta, quello che doveva spettare a me stranamente fu ritirato dal palco.

Non c’era più Don Morelli, misteriosamente allontanato qualche anno prima da Varazze.

Mi recai dal nuovo direttore, Don Redolfi insieme a mio papà, per chiedere spiegazioni dell’ingiustizia subita.

Ma per tutta risposta, il direttore mi disse, che il mio nome era stato pronunciato.

Avevo vinto il primo premio, quella bici!

Ma nessuno aveva risposto, perché, disse il direttore, io non ero presente durante la premiazione!

E quindi quella bicicletta era stata ritirata e consegnata ad un’altra persona!

Un pensionato che faceva dei lavoretti per l’Oratorio.

A niente servirono le mie proteste e la mia vera versione dei fatti, dove dichiaravo la mia presenza durante la premiazione.

Ma ero un bambino e quindi, secondo il direttore, non potevo essere sincero!

Poteva cercar dei testimoni, per avallare la mia presenza durante la premiazione ma non lo fece

Io ebbi un premio di consolazione, un porta penna con l’effige di Don Bosco!

Mai tradire un bambino!

Da quel giorno deluso iniziò il mio progressivo allontanamento dai riti religiosi.

Per anni, ogni volta che vedevo quella bicicletta mi ricordavo del torto subito.

Era lei anche quando gli fu cambiato il colore da bianco a giallo.

Questa fu senz’altro la mia prima grande delusione della mia vita.

Che ricordo ancora nonostante tutto il tempo che è passato.

Brutta cosa, tradire la fiducia di un bambino…..

Tratto dal mio racconto “Un bosco, un fiume e quattro amici”

Foto: Archivio Fotografico Varagine

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