Samarcanda

La polvere che sollevava la moto, lungo la strada per Samarcanda, si alzava con grandi volute, verso un cielo blu cobalto

Davanti a lui, ancora distanti, le luci tremolanti di una città

Non si era fermato neanche per pisciare.

Era stato un imprudente ad affrontare quel viaggio da solo.

E ora sentiva venir meno le forze.

Ancora guardò se vedeva dietro di lui quei fari.

Erano moto, almeno una decina.

Lui aveva rallentato, curioso di vedere chi fossero

Ma quando vide le loro sciabole sguainate, diede gas al motore.

Le rocce, tra le quali serpeggiava la pista, lasciarono il posto ad una pianura brulla, coltivata a cotone.

Una distesa infinita, dove uomini e donne, erano ancora curvi su quei fazzoletti di terra, al tramonto di quella giornata interminabile.

Un occhio alle buche della strada e uno ai suoi inseguitori.

Ancora polvere e quel sole all’orizzonte che accecava.

E loro sempre più vicini.

Sembrava una strada che portava verso il nulla, chissà se arrivava a Samarcanda, ma era la sua unica salvezza.

Si voltò ancora, erano sempre più vicini.

Il loro aspetto era terrificante!

Percepiva quei fiati puzzolenti sul collo.

Le loro grida eccitate da quell’inseguimento.

Accelerò nell’ultimo tentativo, di mettere ancora qualche metro tra lui e l’orda degli inseguitori.

Sentiva le vibrazioni e quel rombo cupo, del boxer Bmw spinto al massimo

Successe all’improvviso, una buca non vista gli fu fatale.

Tutto quel mondo intorno a lui prese a girare vorticosamente.

In un turbine sempre più veloce.

Le moto degli inseguitori gli furono addosso, iniziarono a girare in tondo.

Polvere, puzzo di benzina e di gomma bruciata.

Mancanza d’aria, tosse.

Urla e risa di quei predoni.

La lama di una sciabola lo solleticava sotto al naso, prima di un mortale colpo alla gola

Vide quella nera signora e si spaventò.

Fiumi poi campi, poi l’alba era viola

Bianche le torri che infine toccò

Ma c’era sulla porta quella nera signora

Stanco di fuggire la sua testa chinò

Riemerse dalle lenzuola arruffate, annaspando alla cieca.

Alla radio Vecchioni cantava.

Il gatto sulla faccia con quei lunghi peli, che gli entravano nelle narici.

Dell’orda di motociclisti armati di sciabole…neppure l’ombra.

Francesco Baggetti

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