L’Ersciu de San Nasò

È nel giardino del Boschetto la quercia testimone della storia della nostra città

Era già lì quel giovedì 10 aprile del 1800, quando si udì lontano, spari, urla, colpi di bombarda.

Fumo e polvere

La gente chiuse i Scui e Gioscie.

Passi veloci di gambe, giovani curiosi.

Che andavano sulla spiaggia come tutti, a veder lassù il luccichio di baionette e mostrine, in su Briccu da Crusce.

Gli uomini nascosero le loro povere cose, nella terra, unico posto al sicuro.

Ad un certo punto si sovrappose a quei rumori di battaglia, a campanetta de San Roccu.

Subito gli rispose u Campanun de Sant’ Ambrosciu e poi tutte le altre campane, anche quella de San Nasò, si mise a dindondare.

Torno’ la pace ma non fu per sempre.

Dall’alto oltre quel muro, poteva controllare tutta la strada e guardava oltre i tetti, verso il mare.

Vedeva bambini imparare ad arrampicarsi, arrivare fino ai rami più sottili.

“Nullatenenti ma di talento, tranquilli, rispettosi della religione e nell’attaccamento alla sacra persona di Sua Maestà”

Così scriveva al re, il Della Cella nel 1820 che voleva sapere dei nuovi sudditi di quel paese di mare.

Sotto di lui passarono generazioni di operai.

Muri pesti cun a scorsa dua.

Passavano cantando anche se dovevano star chiusi per 10 ore nella Pellaia o a Torse de Corde.

Cantavano canzoni allegre anche e belle Figgie a braccetto nelle domeniche a passeggio.

E i Zuenotti a fargli il verso pe scherzo o per corteggio.

Mamme sfatte, piegate per le dozzine di figli allevati.

Con na montagna de Lenso’ e Pataelli, da ruscentò in ti Troggi du Rianellu.

Vide passare tante bambine, ma a undici anni già operaie

Tutte brave e devote, si facevano il segno della croce dalla cappelletta

Anche per loro 10 ue in ta Fabrica,þ con uno sgabello da salirci sopra

Quanta gentaglia ha visto entrare/uscire da quella Gattabuia lì vicino.

Posto de Taggiague ma anche de Ladri de galline

Poveri cristi cun a corda au collu

Ma anche tanti Cristi in crusce.

Gente in processiun o dere’ a na cascia da mortu.

Viva gli sposi!

Anche quelli della prima comunione.

Si abituò ad un’ora prestabilita, al fischio puntuale o quasi del treno.

Solo lui oggi ricorda, come fece Gio Batta a non far la fine della sua bici, travolta da un locomotore.

C’era a sentire i fischi e poi i boati delle bombe in quell’estate del 1944

Vide povera gente meschinetti cun a puia in ti oggi e quattru strasse, correre al rifugio

E sottoterra a pregare al buio.

Ascoltò i suoni e i canti della Liberazione, si festeggio’ anche in quel giardino recintato di Villa Croce.

Dove sta ben radicato da tanto tempo

È il Patriarca di Varazze!

L’Ersciu de San Nasò

L’età stimata per difetto è di almeno trecento anni, ma saranno molti di più!

Con un perimetro misurato a un metro da terra di ben 640 cm!

ll tronco madre reciso 100/150 anni fa ha generato sette polloni uno di questi è stato reciso

Oggi quello più grande ha una circonferenza di 170 cm

Imponente la chioma alta almeno una trentina di metri di altezza

Quattru Funsi de Legnu attaccati al tronco anche loro centenari!

E chissà cos’altro ci può raccontatr questo gigantesco essere vivente!

A lui dovrebbero chiedere consiglio i maggiorenti della nostra città.

È capace di fermare il vento e di nascondere il sole bello da far paura!

Protegge e rassicura

Insieme ai Pin da Pino’ fa ombra e quiete al Parco di Villa Croce

Qualcheduno si sarà ben addormentato lì sotto.

In uno di quei pomeriggi quando ti viene sonno

Sentiva l’odu du pan e da figassa de Piccionetti

Avra’ visto me e Roby caricare le ceste su l’Ape 50 per far le consegne.

Poi arrivò la musica nel parco della sua villa gente allegra che si divertiva e anime in pena a cercar quelle gemelle.

Posto da intrighi tra il muro e la sua immensa massa legnosa, in quella una zona buia discreta.

Quello era il posto delle promesse d’amore, alcune lo furono per la vita.

E c’è chi ritorna oggi per ricordarsi i bei tempi o rimpiangere qualcosa o qualcuna/o

Per sua fortuna ha corteccia rugosa

Un faggio alla sua età e al suo posto, sarebbe completamene ricoperto di nomi, frecce d’amor numeri e segni!

Lunedì 25 maggio 2009, sotto la sua chioma ci fu un’adunanza.

A parlare era un comico che si prestava alla politica, chiedeva il consenso.

Gli fu dato perché alcune cose che diceva non erano poi male “si poteva far qualcosa”

Dare un po’ di speranza a un popolo suddito, di una casta di facce marce.

Riportare la politica, quella bella senza intrighi e collusioni.

Fu una bella occasione persa

Il potere dei forti, lo stava già utilizzando per chiudere quella Centrale.

Migliaia di persone senza più la sicurezza di un lavoro.

Quello non fu l’inizio ma la fine di quello “che si poteva fare qualcosa”

Lascia un commento