Fretto’ i Vermi

In tempo di raccolta di olive è d’obbligo, una n.d.r. sull’uso universale a scopo medicamentoso dell’olio di oliva.

Negli anni 60/70 questo unguento miracoloso, era ancora usato per lenire ogni sorta di lesione cutanea o disturbo del metabolismo,ad esempio i temibili “vermi”intestinali che stranamente, in quegli anni infestavano tutte le interiora della popolazione sopratutto, quella giovanile, facendo la fortuna, dei guaritori itineranti.

Gli interventi erano effettuati a domicilio, massaggiando il ventre dei pazienti che erano “segnati”, sulla pelle con una miscela di aglio e olio, intonando versi religiosi o parole incomprensibili, ricompensati al termine del trattamento, con un offerta in natura, ma anche compensati con moneta cartacea.

In caso di scottature, la cute lesionata doveva essere ricoperta d’olio e mantenuta al caldo, tenendo la parte scottata al caldo sopra la stufa.

Se poi ad essere colpito era l’occhio, con la comparsa di un semplice orzaiolo, allora bastava appoggiare l’occhio su una bottiglia e guardare all’interno dove naturalmente doveva esserci dell’olio

I temuti “orecchioni” erano curati versando nel dotto uditivo un cucchiaio d’olio tiepido, aromatizzato con un pò de Spersia.

Conversando con la sig.ra Lina classe 1927 ricorda anche un’altro metodo a cui era stata sottoposta da ragazzina, per estrapolare questa malattia.

La testa del malato, era infilata in un sacco stretto con un laccio al collo, questo sacco, poi era estratto velocemente, richiuso a palla e gettato da una scala, così facendo si ammazzava lo spirito malefico.

La mamma della sig.ra Lina era una guaritrice e lei racconta il trattamento da fare in caso di insolazione.

Sopra la testa del paziente, si poneva un piatto con un poco di acqua e qualche goccia d’olio, se l’olio si diluiva, voleva dire che il colpo di sole era stato debellato

Ma questa “segnatura” era anche chiamata a Sperlengoa e serviva per capire sel il soggetto era stato colpito dal malocchio

Le malattie dell’apparato respiratorio erano curate, con il serio rischio di scottature, tramite degli impacchi di semi di lino bollenti avvolti in panni di stoffa e appoggiati sullo sterno.

Oppure con inalazioni di vapori di infusi di sambuco o foglie di eucaliptolo, questo è forse l’ultimo rimedio ancora in uso oggi.

L’acqua o qualche miscela segreta, era invece utilizzata nel fastidiosissimo Fuoco di S.Antonio.

L’acqua era spruzzata sopra la parte colpita dalla malattia, con un rametto di foglie di lino o di rovo.

Oppure con un’ago e filo, usato come pendolo si “segnava” pronunciando la frase “San Luensu San Luensu u l’è cheitu in tu pussu e u gh’e’ restò dentru

Voglio ricordare a questo punto anche altre pratiche non inerenti ai guaritori, ma di cui conservo un vivo ricordo doloroso!

Lo spauracchio di tutti noi bambini, in caso di un’escoriazioni era la disinfestazione, effettuata con il terribile alcool denaturato, molto più doloroso delle ferite stesse!

La medicazione finiva poi con l’applicazione di polvere di penicillina, questo scongiurava il proliferare di batteri ma dopo un paio di giorni provocava la formazione di spesse e orripilanti croste che esageravano la gravità della lesione.

Come ultimo un consiglio della nonna, pratico e funzionale che può servire, in caso di febbre.

I termometri tradizionali sono sempre i più affidabili e far scendere il liquido a volte è complicato, ma basta inserire il termometro in un calzino, con la punta rivolta in basso, chiudere con le dita e far ruotare velocemente.( controllare prima che non ci siano buchi nel calzino…)

Ringrazio e pubblico questi commenti

Rosa Martini

Mi ricordo x l’insolazione l’asciugamo sulla testa capovolge un bicchiere d’acqua se bolliva passava,

i bicchieri con la fetta di patata e sopra ilcotone con l’alcool acceso, si facevano le ventose x maldischiena

Maria Ratto

Me lalla Gina de Faje curava il fuoco di S.Antonio con un’ago e filo, usato come pendolo “segnava” il male pronunciando la frase “San Luensu San Luensu u l’è cheitu in tu pussu e u gh’e’ restò dentru

Mia zia curava…l herpes labiale con i giunchi ( un erba tubolare che cresce vicino ai corsi d acqua ).

Antonella Ratto

Fumenti con l’ eucalipto ne ho fatti a brettio. Gli impiastri, così erano chiamati, con i semi di lino, dopo la prima volta, mi rifiutai con pianti e strepiti. Della polvere di pennicilina ne ho ancora i segni. Tutto il resto mi è stato risparmiato….credo

Mia nonna sulle ferite metteva la polvere delle loffe.

Ci si può credere o no, ma le credenze popolari sono un patrimonio da conservare.

Mario Craviotto

Da bambino ricordo che avevo tanto male in bocca con febbre ,i miei genitori consigliati da donne di paese hanno chiamato una signora di Castagnabuona che segnava.

Questa donna mi aveva passato in bocca una pietra per affilare la così chiamata messuia intingeva questa pietra nell’acqua del porta pietra e diceva cose che non ricordo, il giorno dopo giocavo con i miei amici

Anna Bolla

Questo prezioso articolo racchiude almeno una decina di pratiche che mia mamma imponeva in caso di problemi.Le ricordo tutte,le peggiori sono l’ olio sulle scottature con la vicinanza al calore e l’ alcool denaturato sulle ferite.Lei usava molto la cera d’ api come pomata sulle ferite e lo zucchero di latte,sciolto in acqua calda e bevuto, come depuratore,l’ olio di ricino per pulire l’ intestino o la mannite,in casa nostra non mancavano mai! Però la medicina migliore per tutto era il canto,anche se non si aveva niente una bella cantata,da soli o in compagnia faceva passare tutto! Oggi tutto questo non esiste più! Corriamo solo come matti,sempre ingrugniti e brontoloni.Viva i nostri genitori e la loro semplicità!

Francesco Bruno Faleno

I vermi… Quante volte me li hanno segnati! A Sassello la Lalla Rina, sorella di mio nonno, a Albisola un vecchietto, Paulin, che lo faceva di lavoro accontentandosi di qualche spicciolo. Vestiva in modo dimesso e quando stava per morire, metà anni sessanta, gli trovarono nel panciotto, cucito in busta, più di un milione di lire. Altri rimedi, ma questo non legato a tradizione antica, le fette di patata sugli occhi tenuti stretti da un fazzoletto di notte. Le usava mio padre quando gli lacrimavano gli occhi perché qualcuno aveva saldato troppo vicino a lui sul lavoro e gli era scappata qualche occhiata alla fiamma ossidrica

Molto interessante questo articolo Tratto da Quiliano Online che parla delle segnature.

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