Il sciù da Teiru era il centro economico della nostra città.
Lungo l’asta del Teiro a partire dell’Assunta fino ad arrivare alla località dei Defissi si potevano contare fino agli anni 50/70, circa un centinaio di attività commerciali, officine, alberghi e un cinema.
Varazze oltre all’industria navale e tessile aveva molte altre attività manifatturiere nel “Sciù da Teiru”.
Dove i nostri concittadini traevano il loro sostentamento dall’acqua del fiume regimentata, deviata tramite i Bei e utilizzata in ben 14 opifici e altrettante ruote a pale.
Poi, tramite trasmissioni a cinghia e ingranaggi, fornivano la forza motrice, in primis per le cartiere, ma facevano ruotare anche i Gumbi per frantoi, da olio, Muin per la farina, seghe e pialle e anche le trafile dei pastifici.
L’acqua dei Bei nel suo ultimo tragitto, irrigava infine gli orti cittadini della Camminata e della Lomellina.
Grandi Ciappe posate sugli argini dei Bei fungevano da Troggi per lavare i panni.
A meta’ dell’800 una ciusa e relativo beo serviva anche il nascente complesso industriale del Cotonificio Ligure.
Era un popolo laborioso “quello sciu’ da Teiru” abituato alle fatiche del lavoro, negli opifici, ma era anche addetto alla coltivazione de Fasce, quelle in prossimità del fiume, irrigate dalle sue acque, dove erano coltivati gli ortaggi, mentre dove non era possibile l’approvvigionamento idrico, le coltivazioni prevalenti erano quelle dei cereali.
Rian, e Peschee fornivano un’ ulteriore approvvigionamento irriguo, utilizzato nei terrazzamenti tramite Surchi, Tubbi o a Sigogna che era una leva per il sollevamento dell’acqua contenuta in un secchio.
Da e Vinvagne e Pussi era prelevata l’acqua per uso potabile.
Quasi tutti gli abitanti di questa zona, erano dediti alle suddette attività e sembra strano, per noi oggi, credere che per “quelli sciu da Teiru” il mare non rappresentava che un’enorme massa d’acqua insignificante.
U Sbatissu era una zona maleodorante, visto l’ingente quantità di posidonia, lasciata marcire sulla riva.
Quell’enorme distesa d’acqua scura e sempre in movimento, era senz’altro pericolosa, non per nulla chiamata u ma che vuol dire anche il male!
Ai bambini di “quelli sciù da Teiru” era interdetto il solo avvicinarsi alle onde e poi vigeva il detto, che prendere tutto quel sole, faceva male alla testa.
E allora meglio giocare lungo il fiume, da sempre fonte di innumerevoli avventure, molto più interessante, che una desolata e assolata spiaggia.
A un tiro di schioppo da casa e a portata di voce delle mamme, che annunciavano il pranzo di mezzogiorno o la fine della giornata e dei giochi.
Non senza le proteste dei bambini, perché erano sempre intenti a far qualcosa di non procastinabile.
Nel Teiro si poteva fare anche il bagno, e lo si fa ancora in quel suggestivo ambiente dei Laghetti del Pero.
Non mancavano neanche piccole e suggestive spiaggette.
Ma la presenza di attività produttive e la mancanza di normative per la salvaguardia dell’ambiente, erano causa di inquinamento del Teiro nelle sue acque finiva di tutto.
Anch’io sono “cresciuto” nel fiume o nei boschi di questa zona e ho già raccontato in “Un bosco un fiume e quattro amici” i giochi e le avventure i passatempi, di quella che è stata l’età più bella della mia vita.
“Quelli sciu’ da Teiro” oggi, sono gli abitanti di quella porzione di territorio, che inizia dau Puntin cun l’Arcu e arriva fin au Nasciu una località dell’Alpicella.
Oggi il termine “quelli” alquanto dispregiativo, è riferito ad una zona della nostra città, di poco pregio, rispetto al centro urbano e alle viste mare, con abitazioni strette, tra l’alveo del fiume, acclivi pendii e poco irradiate dal sole invernale.
Di quelle fiorenti attività nulla più rimane, solo la zona dai Muin a Vapure con a Savunea e altri opifici conserva la testimonianza di quel passato.
Un museo all’aperto dell’antica manifattura della nostra città da salvaguardare, da tramandare alle future generazioni.
La zona di archeologia industriale, du Muin a Vapore potrebbe diventare un’attrazione per la nostra città, ai piedi del Colle di S.Donato con la Grangia Cistercense e gli altri opifici.
E poi ci sono le allerte meteo
Oggi non è più il Teiro, eccettuato u Turtaio’ de Gambun, che rappresenta il pericolo primario, ma a far paura è un territorio, che sta lentamente franando a valle e le strade che diventano fiumi in piena, allagando e travolgendo ogni cosa.
Questa parte di Varazze è ricordata, solo a seguito dei gravi disagi subiti a causa dei nubifragi, che a cadenza regolare si abbattono sul nostro territorio.
Naturale lo stato d’animo di “quelli sciù da Teiro” ovvero di chi passa notti insonni, come il sottoscritto, durante un temporale, con l’incubo per la propria incolumità, quella dei suoi cari e per i suoi beni.
Chi risiede in questa zona è sempre critico, verso quella città alla foce del Teiro, spettatori, dell’opulenza con cui si consumano risorse pubbliche, a valle du Puntin cun l’Arco.
