Li beccarono una notte, il solito spione li aveva venduti per quattro soldi
Invece dei dollari trovarono le colt spianate, degli agenti federali.
Finirono a s.Quintino.
Da quel luogo brutale ne uscirono, arruolati nella divisione Buffalo.
Avevano bisogno di guide, che conoscessero il territorio ostico della Liguria e che sapessero interagire con la popolazione, conoscendo il dialetto dei nostri bricchi.
Il patto era chiaro, al loro ritorno negli States a fine ferma, la pena anche se ridotta, la dovevano comunque scontare.
Arrivati al comando alleato di base a La Spezia, furono messi al corrente di una missione segreta.
Sbarcati da un sottomarino al largo di Varazze, dovevano percorrere la via del sale, verso la Guardia, arrivare sulle alture e aspettare ordini.
I tedeschi stavano preparando la via di fuga.
Dovevano intercettare un carico d’oro, che avrebbe preso la via dei bricchi, perché sulla normale viabilità, sarebbe stato facile da intercettare
Il tragitto più breve per raggiungere l’Oltre Giovo è quello di Fo Lungo.
Dovevano intercettare e facilmente impadronirsi di quel carico d’oro.
A qualsiasi costo.
Ma non ci fu bisogno di sparare un solo colpo.
Videro arrivare da lontano il mulo con quelle due casse sul basto.
Quella povera bestia, abituata a fare quel tragitto, avanzava lungo la mulattiera, senza bisogno del conducente
Il loro istinto di ladruncoli ebbe il sopravvento.
Come a rubar galline e i conigli, mai esagerare.
Prelevare un poco di quell’oro, quel tanto che nessuno se ne potesse accorgere.
Aprirono le casse, ma niente oro, quelle casse erano state svuotate e riempite di pietre!
E ora che fare chi avrebbe creduto alla loro storia?
Due avanzi di galera come potevano essere credibili?
A questo punto, era meglio fuggire, disertare e non tornare mai più in America
I parenti all’Alpicella li avrebbero aiutati.
Ma successe qualcosa che li fece desistere da quella decisione.
– Hai visto quelle pietre che erano nella cassa ?-
– Si ho pensato la stessa cosa-
– Sono quelle pietre che io e te conosciamo bene-
– Ma tu pensi che?-
– C’è solo un modo per saperlo-
Il racconto finisce qui, i due amici ritornarono in America.
A seguito della vittoria contro l’Asse, ci fu un’amnistia e i due amici, non tornarono più in carcere.
Non sappiamo se mai riuscirono a trovare quel tesoro, fra quelle centinaia di cumuli di pietra dau Rian da Sera
C’è chi dice che sia ancora là in chissà quale cubo di pietra.
Nel 700 alcune grandi famiglie genovesi, avevano dei possedimenti terrieri, nella nostra città
Non come asservimento di ville al mare, ma come produzione, vendita e approvvigionamento ad uso, consumo personale di ortaggi e frutta favorita nella maturazione, dal clemente clima invernale della nostra città.
Varazze è protetta dal suo arco di monti dal vento di tramontana.
I venti di Libeccio e Scirocco …ed eventuali ladruncoli erano invece, ostacolati, dall’altezza delle mura che recintavano gli appezzamenti di questi terreni.
La famiglia Doria, aveva diviso gli orti della Caminata con la famiglia Camogli.
I marchesi di Torriglia, disponevano della coltivazione a fasce che scendeva dal Cavetto, sul Posu, dal Carega’, in Niquatrin e i terreni in piano del Solaro e della località Mola.
Il marchese Centurione, era quello che aveva la maggior estensione di terreni e vantava nei suoi beni, le rinomate località, Vignetta, Cian du Tunnu, u Sarsciu, e i Cend’Invrea.
Magnifici terreni vista mare, protetti a breve distanza dal monte Grosso, ideali per la produzione di agrumi e primizie ortofrutticole.
Il problema dell’irrigazione degli orti “cittadini” era risolto, per gli orti della Caminata, dall’approvvigionamento d’acqua dal Teiro, tramite il beo in località Muinetti, e da quella in arrivo dal torrente Arzocco.
Le fasce in alto, dei terreni dei marchesi di Torriglia, erano irrigati da una presa d’acqua del rio del Cavetto, tramite uno sbarramento dove ora sono le mura dell’ex diga dell’Acqua Ferruginosa.
Gli orti e frutteti della zona del Solaro e della Mola, erano irrigati dal troppo pieno del rio del Cavetto e dal rian da Moa, ma quando nel periodo estivo, l’apporto d’acqua si riduceva drasticamente, allora potevano usufruire, tramite una scigogna, di una copiosa sorgente, che sgorgava nei pressi del convento di S.Domenico , ora occultata dalla sede stradale di via Luigi Bruzzone.
I Centurioni erano quelli che avevano realizzato le opere più imponenti, per irrigare le loro coltivazioni, al passo del Muraglione è ancora visibile l’opera idraulica, demolita poi per far passare la strada che scende al Deserto, che convogliava tramite un beo, le acque provenienti dal rio Gambin, molto probabilmente direttamente nell’alveo del torrente Arenon, per poi essere riprese con una ciusa, più a valle, ed essere convogliate ai piani d’Invrea, negli orti e giardini del castello, qui il beo, aveva una discreta portata, perché , doveva fornire forza motrice ad un frantoio ad acqua.
A Cruscea de Vie questo Beo tramite una diramazione alimentava l’invaso dell’acqua Ferruginosa.
I terreni della Vignetta e del Salice, erano irrigati, tramite il convogliamento delle acque meteoriche, effettuato con la costruzione di alcune canalizzazioni lungo le pendici e l’utilizzo di una sorgente del monte Grosso i Funtanin, l’acqua era poi raccolta in grandi vasche, ancora presenti.
Stupisce ancora una volta il lavoro l’ingegno e le enormi fatiche di chi ha realizzato queste opere idrauliche senza l’apporto di nessuna macchina solo con la forza umana e animale.
Il pozzo della discordia
Un aneddoto storico, è relativo alla controversia, legata al pozzo, sopra citato, già presente in epoca medievale, appartenente alla famiglia Torriglia.
Nei primi anni duemila a seguito di alcuni lavori effettuati in via Bruzzone, sono ricomparsi i resti di questo pozzo, da me visto, erano a circa un paio di metri, al disotto del piano stradale, con alcune grosse ciappe come copertura.
Nel 700 questo pozzo e parte dei possedimenti del marchese di Torriglia furono posti in vendita.
Una sorgente nei pressi di un centro abitato, era di indubbio valore e i frati domenicani, visto la vicinanza di questo posto alla loro chiesa e convento, fecero di tutto per entrarne in possesso, fino al punto di scomunicare l’intera famiglia dei Camogli, rea di aver acquistato questo pozzo dai Torriglia e di essersi rifiutata di rivenderlo ai frati di S. Domenico.
La scomunica durò trent’anni, non si ha notizia del destino di questo pozzo, che finì per essere interrato a fine 800, quando proprio accanto al convento domenicano, fu costruita la linea ferroviaria.
Un’altro aneddoto è relativo al marchese Pietro Torriglia, ultimo discendente, nel 1908 muore in Varazze, senza eredi diretti e con il proprio testamento, lascia l’intero patrimonio al Comune di Chiavari ,con l’obbligo di impiegarlo a beneficio di un ricovero di mendicità nella villa di Preli, proprietà della famiglia Torriglia, ci furono delle controversie parentali, ma poi con atto ufficiale, erogato dal segretario comunale alla presenza del sindaco di Chiavari è inaugurata la struttura e l’organizzazione affidata alle Suore Gianelline.
Ringrazio Luigi Oderigo u Negrin, per le foto e le sue preziose testimonianze.
In alcuni comuni liguri, sono ancora in auge “Le Regate della Befana o di Pasquetta”
Nelle foto, in seguenza, le foto delle ” Regatte de Pasquetta ” nel golfo di Varazze negli anni dal 53 al 55
1)Classe velica 550 barca Negrin Ill equipaggio Tommaso Oderigo Leo Carattino, Andrea Gambetta.
2)Classe velica 550 anno1948 la barca di Patrone di Cogoleto u se umboso’
3)Classe velica Argus
Si può dire, che una vera e propria epoca separa queste foto, dall’odierna realtà.
Belli gli sfondi di Varazze, con la neve sui bricchi.
Erano gli anni 50, e sono visibili alcune importanti attività, come i Cantieri Baglietto alla Mola
Ma anche le armature del costruendo viadotto autostradale della Mola, sono lì a testimoniare la netta trasformazione che subirà negli anni a seguire, nel bene e nel male la nostra città.
Oggi, se rivolgo lo sguardo indietro agli anni di studio a Genova, è ancora vivo il ricordo di quelle lontane gelide serate invernali.
Fette di farinata, bicchieri di vino, il fumo delle sigarette, canzoni stonate e poi su quel pianerottolo, a batter i piedi per il freddo, con il batticuore, quando lei chiamava
-Chi viene adesso?-
Ma c’era anche un’altro modo per concludere una serata tra amici.
– Andiamo all’Alcione?-
Negli anni 80, il cine teatro Alcione, in via Canevari, dopo aver conosciuto i fasti con i concerti dei Genesis, i Deep Purple, la Pfm, del Banco ecc. in crisi di spettatori, come tutti i cinema di Genova, si era riciclato, con i film porno, e gli spettacoli a luci rosse.
Qui portava in scena i suoi spettacoli hard, lei, Moana Pozzi.
Chi può dimenticare quella creatura divina?
– Quando siete lì, lasciate sempre un sedile libero a destra e a sinistra, perché quando scendono dal palco, devono avere spazio-
Questa era l’ultima raccomandazione, fatta da quel nostro compagno di corso, che mi sovviene oggi di ringraziare, fu lui che ci introdusse in quel luogo di perdizione.
Non facevano lo sconto, se si entrava dopo la proiezione del porno, ma d’altronde tutti, arrivavano solo per vedere l’esibizione delle spogliarelliste
All’ingresso in sala, faceva impressione quell’enorme platea semideserta.
Ma era tutto previsto, quando si spegnevano le luci, con discrezione, da dietro le tende, entravano gli spettatori e i posti, rapidamente occupati.
Le luci erano mantenute spente per un pò, anche al termine dello spettacolo, per far si che quelle ombre misteriose, potessero allontanarsi, indisturbate e anonime.
Ogni ragazza aveva la sua base musicale e seguendo quelle note, si esibiva sul palco.
Ognuna a modo suo.
Chi del pubblico, voleva essere chiamato sul palco, si sedeva in prima fila.
Lei lo invitava a salire e subito dalla platea, partiva un’applauso ritmato a volte era la ragazza, che scendeva e sceglieva il partner, prendendolo per mano.
Arrivato sul palcoscenico era subito denudato e lasciato con solo gli slip addosso.
Tra palpeggiamenti e finti rapporti sessuali, la sua esibizione finiva, con un vistoso rigonfiamento pelvico.
Si rivestiva rapidamente in mezzo agli applausi e ai fischi.
A fine spettacolo, lei scendeva dal palco, passava tra le fila e noi come cagnolini, in attesa di una carezza, aspettavamo il nostro turno, qualcheduno la invocava a voce alta, la potevi toccare, accarezzarle il seno, baciare quello che ti metteva sotto al naso.
La sua pelle liscia, era cosparsa di creme profumate
C’era sempre una regina, ben in evidenza, nei cartelloni degli spettacoli, ed era l’ultima ad esibirsi.
Simulacri maschili, sparivano fra le sue cosce, o tra le labbra.
Gli occhi nascosti nel buio, che avevano bramato quei corpi nudi, arrivati al parossismo, nel silenzio della sala, consumavano silenziosi, la loro eccitazione.
Era l’ex casa di un notaio, una persona facoltosa e lo si evinceva dalle finiture le porte interne avevano il telaio in legno con le fascette incise e i soffitti affrescati a motivi floreali.
In una bella mattina di maggio siamo rimasti li a parlare come amici di lunga data.
Annotai qualcosa su un pezzo di carta.
Ma poi come si fa poi a non ascoltare le tante cose che aveva da dire.
E così riposi penna e carta.
E mi dedicai solo all’ascolto.
Parlava di un’altro mondo che non esiste più.
Di una festa in piazza.
Di una grotta dove si rifugio’
Delle giornate a pascolare le mucche.
Di tante cose che non ricordo più con Il rammarico di non averle trascritte o registrate.
Ma quella storia no troppo bella da raccontare.
Due amici
Cresciuti troppo in fretta che si erano ben presto ritrovati insieme a ragionare e a far da uomini anche se avevano poco più di vent’anni…in due.
Erano mandati ad accudire le pecore lassù nelle praterie del monte Priafaia.
Diventarono amici e complici di scorribande a rubar frutta nella bella stagione.
Agili e abili diventarono anche dei rubagalline e conigli.
La facevano sempre franca.
Terminarono i rombi di guerra, erano gli anni della scelta se restare a ricostruire una nazione messa in ginocchio dal conflitto o emigrare nella nazione dei vincitori
Forse fu quella la molla che li convinse alla fine della seconds Guerra Mondiale ad emigrare negli States.
In California dove già si era consolidata una forte comunità italiana.
Ma la vita era dura e le notti la in America, lunghe da far passare.
E poi tutta quella ricchezza ostentata a disprezzo della loro pur onesta povertà.
Il primo furto fu molto semplice tanti soldi e nessun rischio.
E forse manco si erano accorti di quei dollari che mancavano.
Come per le galline e i conigli mai esagerare.
Li beccarono una sera uno spione gli fece trovare invece dei dollari le colt spianate degli agenti federali.
Finirono a s.Quintino ma prima del processo furono convocati da una commissione militare.
La quinta armata stava per arrivare in Liguria servivano guide e chi sapeva parlare quella lingua strana del zeneise specie quello dei bricchi.
Che cosa dovevano fare d’altronde erano cittadini italiani e la guerra contro i nazifascisti era una cosa da fare.
Stiamo inesorabilnente perdendo quello che abbiamo avuto come eredità materiale, dalle passate generazioni
Si perde, perché non siamo più capaci di apprezzare le cose che sono da secoli lì e che nonostante tutto ancora vorrebbero raccontarci storie.
A chi interessa più il crollo di una cascina, di un muro o di un terrazzamento?
Chi si sofferma a vedere come sono state incastonate le tante pietre che formano vere e proprie geniali opere d’arte, nel mezzo di un bosco o nel Lungomare Europa?
Siamo diventati ciechi, sordi confusi, convinti da cattivi maestri che decidono per noi.
Chi oggi conosce o ha percezione dell’immenso lavoro che fu fatto nell’800, per far passare una ferrovia fra i scogli neri e bianchi?
L’attuale Lungomare Europa.
Pe quelli de Vase a Villa Araba
Postu de Scoggi e de Piccaprie.
Nelle foto gli archi dei muri di controripa, stupendi manufatti messi in opera da chi aveva il senso del bello e che si armonizzano in un ambiente naturale.
Luoghi da frequentare in silenzio e in punta di piedi, per rispetto di chi ha lasciato i segni dei suoi colpi per spaccar la roccia.
E anche la propria vita
Noi oggi godiamo di un paradiso in terra, grazie a chi ha fatto il lavoro gramo
Chi erano quelli che hanno messo in opera milioni di mattoncini nelle volte delle gallerie?
E quelle pietre passate di mano in mano e fissate bene per farle arrivare fino a noi?
Nella speranza che i posteri onorarassero il sudore e il sacrificio di tanta umanità.
L’arte è la bellezza ci sono già
Non servono opere d’arte.
Riparariamo solo quello che si guasta, per gli anni che passano.
E basta
Il Lungomare Europa conserviamolo così come ci è stato donato.
…”fatto ultimo giorno dell’anno 31 dicembre 1883 Giuseppe”
E’ scritto con il lapis su questa lastra di legno di castagno, trovata mentre restauravo un mobile.
Questa scritta ci porta in un altro mondo, quasi 150 anni fa, dove non si celebravano come oggi i fasti di fine anno.
Ma era il lavoro il centro della vita di tutti, forse l’unica felicità di quel giorno è stato quello di terminare quel manufatto, che avrebbe garantito un po’ di tranquillità economica ad una famiglia in quel lontano 1883, con un Italia fresca di giovane patria, ma inconsapevole del suo futuro incombente di sanguinose guerre.
Non sapremo mai chi era quel “bancalaro” che scrisse questa frase, mi piace pensare che sia vissuto a lungo e che la sua famiglia, abbia prosperato, facendo il falegname.
Questo lavoro, per me e per il mio papà, u Gino, che me lo ha insegnato è il più bel mestiere del mondo, ” u banco’ ” in zeneise.
Dopo quello che era capitato al povero Giacomo, i parenti e quelli che lo conoscevano, gli fecero visita, con gli occhi lucidi, pieni di premure e di belle parole nei suoi confronti.
Anche i militari erano a conoscenza di quella tragedia
A partire da quei soldati tedeschi, che lo avevano accompagnato a bordo di una Kubelwagen a Savona, evitando così tutti i posti di blocco sull’Aurelia, per arrivare prima all’Ospedale.
Chissà se quei militari, avranno udito le urla di Giacomo, quando con una siringa, i sanitari, cercavano, senza anestesia, di asportare il sangue dalla cavita’ oculare, nel tentativo di ridurre l’ematoma, per salvar l’occhio destro.
Tanto dolore per nulla, l’occhio fu perso per sempre.
Giacomo aveva 6 anni.
Nel 1944 la nostra città viveva sospesa in attesa degli eventi.
Ma i delatori continuavano il loro sporco lavoro, ogni tanto qualcheduno spariva e non si sapeva che fine aveva fatto.
Furono fucilati dei partigiani e dei renitenti di leva
La guerra era già persa fin dall’inizio.
L’Italia sconfitta su tutti i fronti, dai popoli che aveva aggredito.
Milioni di morti.
Disfatta, resa tangibile, dalla perdita del controllo dei cieli di quella, che qualcheduno ancora si ostinava a chiamare patria.
Ci furono i primi bombardamenti della città e le prime vittime civili.
Fu proprio un allarme aereo, la causa di quel brutto incidente.
Giacomo, correndo per andare al rifugio, inciampò, cadde e si infilzò l’occhio, con il temperino che teneva stretto in mano, per paura di perderlo.
Il tempo poi guarisce le ferite.
Un sanmarco, con il suo cavallo saliva a portar i viveri al P.O.C. della Crocetta di Cantalupo.
Lì era stato posizionato un Posto di Osservazione Costiera, due lunghe trincee circondavano il colle.
La Crocetta era trapassata, sottoterra, con un percorso est/ovest, da un rifugio scavato nella roccia, lungo un centinaio di metri.
La cappella della Crocetta era stata abbattuta per non fornire un facile riferimento agli aerei alleati.
Quel militare a cavallo allungava un pò il tragitto passando da Muianna, per far tappa dalle case dell’Uspiò, e far salire sul cavallo Giacomo, che lo stava aspettando nei pressi della sua abitazione.
L’occhio era senza benda e solo da vicino ci si accorgeva della sua cecità.
Su quella sella, Giacomo poteva ammirare quello spettacolo di panorama, sempre più immenso, mentre il cavallo saliva di quota.
La zona militare della Crocetta, era interdetta al transito, recintata da filo spinato, minata da ordigni antiuomo a pressione e a strappo
A Giacomo piaceva il rumore degli zoccoli di quel cavallo, sulle Ciappe di quella antica strada in salita.
L’antica viabilità è ancora oggi chiamata a Stradda Rumana e oltrepassa a Cruscetta, tagliando il versante verso la Valle Teiro.
Ora il conducente era sceso e teneva le briglie.
Per Giacomo questo era il momento più bello.
Rimasto da solo a montare quel cavallo, aggrappato al corno della sella, fantasticava chissà quali avventure in groppa a quel destriero.
La strada è caratterizzata da grandi Ciappe de Pria.
Ma che uomini erano, quelli che misero a dimora quei macigni?
Un messaggio esplicito per i malintenzionati che percorrevano questa viabilità ?
A Stadda Rumana faceva una decisa curva a destra e a circa metà dell’ultimo tratto in salita c’era quell’enorme vasca in cemento dell’acquedotto, dove ogni giorno un operaio comunale vigilava il corretto fluire dell’acqua.
Nel rivolo del troppo pieno di quella vasca, il cavallo era solito abbeverarsi.
Poco prima di arrivare al pianoro c’era l’entrata di quel grande rifugio.
Protetto alla vista degli aerei, da alcuni giganteschi alberi de Pin da Pinò
Quel militare, forse un padre di famiglia, un giorno lo portò con sé ad attraversare quel rifugio.
L’adulto lo percorreva con il busto piegato in avanti, aveva tirato la cinghia dell’elmetto sotto al mento, per evitare che cadesse nelle pozze d’acqua e fango.
Anche a Giacomo fu dato un elmetto, ma troppo grande per la sua testolina.
I militari risero divertiti alla vista di quel bambino con quell’enorme elmetto
Uno di loro con l’accento sardo, accomodò quel copricapo con un’imbottitura interna.
Giacomo vide tutto il ben di Dio, che era accatastato all’interno di quella galleria.
C’era di tutto!
Poche le armi e le munizioni, quel rifugio era in realtà un grande deposito di tante cose, le più disparate, dagli attrezzi, alle minutaglie, taniche dal contenuto sconosciuto, misteriose ceste di vimini, coperte con dei teli, grandi rotoli di fil di ferro e di carta catramata, che impregnavano con un odore acre quel rifugio.
Il tunnel era lungo almeno un centinaio di metri, odor di muffa, aria umida e pesante.
A causa di alcuni crolli erano stati per prudenza sistemati numerosi puntelli, pali di legno tagliati di misura.
Fioche lampade illuminavano altri materiali lì depositati.
Muschi verde brillante, avevano colonizzato i cerchi di luce, che le lampadine proiettavano sulle pareti di roccia.
Il militare si fermava in prossimità delle pozze d’acqua più grandi e sollevava di peso quel bambino.
A metà circa si riusciva a scorgere la luce dell’uscita.
Qui l’imbocco della galleria era nel limite boscoso che sovrastava i terrazzamenti.
Per nascondere l’accesso al rifugio furono posizionate delle reti mimetiche.
Da questo punto iniziava una lunga trincea molto profonda dove una persona poteva tranquillamente camminare rimanendo in posizione verticale.
Un lavoro immane, effettuato dai militari e dalla gente del posto, sotto la supervisione della Todt, l’organizzazione tedesca per opere di difesa militari
La trincea con alcuni cambi di direzione terminava all’altezza del P.O.C
Idem dal lato opposto verso la Valle Teiro sempre una trincea molto profonda, recentemente ripristinata dall’Associazione Alpini, si dipartiva dalla casamatta del punto di osservazione, in direzione dell’altra entrata del rifugio
Oggi questa entrata è completamente occlusa da un muro di pietre a secco.
In una spellacchiata radura sotto i Pin da Pino’ alcuni militari a torso nudo rincorrevano un vecchio pallone alzando nuvole di polvere che un vento di mare spazzava via.
Era già stato in quel campetto.
In una improvvisata squadra bambini/ militari.
Giacomo era molto bravo a giocare a pallone.
Qualche anno dopo divenne titolare nel Varazze FBC.
Ma era ora di ritornare a casa.
Con una lunga vertiginosa discesa passando dalla crosa che attraversava la borgata de Cantalù.
E scendeva ai Leiun, Tasca passando da giescia di Fratti.
Saluto’ il sanmarco che lo fece scendere sciu da Teiru in ta Lumellina davanti a Sciappapria
Quella fu l’ultima passeggiata a cavallo alla Crocetta con quel sanmarco.
Giacomo attese ancora per qualche giorno, alla solita ora nel solito posto quel militare a cavallo.
Non seppe più nulla di lui.
Terminata la guerra la zona della Crocetta fu sminata.
Qualche ordigno rimase lì sepolto e qualche anno dopo fu causa della morte di Giovanni Giusto.
Le cose molto lentamente tornarono alla normalità della solita vita grama.
Un giorno arrivò un carabiniere a cercare Giacomo, trovò la madre a cui consegnò un foglio di carta.
Doveva presentarsi al comando della stazione dei carabinieri di Varazze per urgenti comunicazioni.
Che cosa poteva aver combinato di così grave un bambino di sette anni per essere convocato nella caserma dei carabinieri?
Questa fu la stessa domanda indagatoria che gli fece suo padre
Arrivati al cospetto del maresciallo, gli fu chiesto di quel rifugio, dove si trovava, ma soprattutto che cosa era depositato al suo interno.
Giacomo accompagnò il maresciallo e un altro carabiniere in prossimità dell’entrata del rifugio.
Ma all’interno del tunnel, non era rimasto più nulla.
Sparito anche quel lungo filo con tutte quelle lampadine.
Giacomo Rusca classe 1937 mi ha raccontato questo ed altro, quando bambino, fu coinvolto nelle vicende della seconda guerra mondiale.
Ringrazio Giacomo che mi ha svelato l’esistenza del rifugio della Crocetta.
Il racconto si basa su ricordi e verosimili accadimenti.
Ringrazio Francesco Canepa, abbiamo visitato, non senza difficoltà i manufatti bellici della Crocetta.
Sconsiglio vivamente, l’avvicinamento all’ingresso del tunnel, ormai quasi completamente occluso e dove incombe una grande massa di terra, pietre e vegetali, con un potenziale imminente pericolo di crollo!
Grazie a chi legge questi miei articoli!
Spero di aver con questo articolo portato a conoscenza di tutti, un pezzo di storia con le testimonianze, di un passato recente e remoto della Cruscetta di Cantalu’
Gli articoli sono di libera fruizione e possono essere utilizzati in copia, previa comunicazione e citando la fonte, in alcun modo ne deve essere modificato il testo.
Negli anni 50 quella galleria era ancora percorribile nel suo primo tratto, poi, invasa dall’acqua, diventava troppo pericolosa. Anche noi, ragazzini curiosi, lo capivamo.