A Gescia Vegia du Pei.

Nel 1860 Pio IX era convinto che i Savoia avrebbero raggiunto l’obiettivo finale, di scardinare il potere temporale dei Papi, e di impossessarsi di tutte le proprietà che la carità cristiana dei fedeli, nell’arco dei secoli, aveva regalato alla chiesa di Roma.

Nella nostra città c’era un edificio di culto, in costruzione, da ultimare, quindi sconsacrato, a serio rischio di essere confiscato.

Poteva diventare una stalla dove ricoverare la reale cavalleria!

Chissà la frenesia per velocizzare l’avanzamento dei lavori in quel cantiere, della costruenda chiesa della S.S. Annunziata del Pero, quando nel 1861 il 17 marzo, Vittorio Emanuele II fu proclamato re d’Italia!

La costruzione era quasi ultimata, aveva ancora le impalcature, specie all’interno, dove si dovevano ultimare gli intonaci e gli affreschi.

Gli abitanti del Pero, prestavano la loro gratuita mano d’opera per camallo’, impasto’ e impilo’ de prie.

Non esistono scritti che lo attestino, ma è molto probabile che anche per l’edificazione di questo edificio di culto, il lavoro fosse organizzato in turni.

Erano i vari rioni della frazione, che chiamati secondo un programma prestabilito, dovevano con le proprie forze procurar e mettere in opera, pietre legno calce ecc.

Inevitabili gli screzi fra i vari rioni, in una sorta di voluta competizione.

Dividi et impera.

La S.S.Annunziata era una bella chiesa con architettura lineare senza i fronzoli barocchi.

Un po’ austera con la sua sagoma bianca, destinata nei secoli a dominare l’alta Valle Teiro.

Stonava quel campanile troppo corto per le dimensioni di quella chiesa.

Ma il tempo non sarebbe bastato.

Quella chiesa doveva essere consacrata il più presto possibile!

Potevano arrivare i Sardi da Savona, come era già successo nel 1836, per sedare la “rivolta dei morti” e prendere possesso della costruenda chiesa, in nome del re.

Fu in questo contesto che avvenne la burla “Du Campanin Curtu”

In una cosa i reali di casa Savoia, avevano ragione, tutti gli edifici di culto e le altre proprietà immobiliari sono stati edificati grazie al lavoro, alle offerte e ai lasciti dei fedeli.

Quindi era lecita la confisca dei beni immobiliari ivi compresi quelli di culto, iniziata dal Bonaparte, che appartenevano di diritto al popolo italiano

Oggi un immenso patrimonio immobiliare è a godimento della chiesa di Roma.

Si poteva salvare a Vegia Giescia du Pei?

L’edificio fu dichiarato a rischio di crollo, perché costruito su una paleofrana.

Dopo un secolo dall’edificazione, nel 1959, la chiesa della S.S. Annunziata del Pero fu interdetta alla fruizione pubblica.

In questa decisione, anche il ricordo ancora vivo dei 220 morti di S.Nicolò a Bajardo, quando il 23 febbraio del 1887 a seguito del terremoto, crollò il tetto della chiesa

Con la demolizione della S.S. Annunziata il Pero e la nostra città perderanno per sempre, un’altra testimonianza del loro passato.

Tutti d’accordo!

Tanto paga la Curia.

Neanche l’abbattimento di un luogo di culto scuote il torpore della nostra comunità da tempo avvezza al fatalismo dell’ineluttabilità delle cose.

Per devozione, i nostri vecchi con la loro fatica e ingegnosità edificarono questa chiesa.

Dopo 65 anni di incuria e abbandono, qualsiasi manufatto presto o tardi finisce in rovina.

Forse si doveva chiedere alla chiesa di Roma di onorare quel lascito costruito con il lavoro e con le offerte dei suoi fedeli.

Oggi resta solo la fredda cronaca quotidiana dell’attività di demolizione e di messa in sicurezza.

E niente più.

Gli articoli sono di libera fruizione e possono essere utilizzati in copia, previa comunicazione e citando la fonte, in alcun modo ne deve essere modificato il testo.

Racconti in Numascelli

Fa molto piacere leggere il bellissimo articolo di Mario Traversi, che era presente al nostro esordio esattamente un’anno fa, presso l’Associazione Artisti Varazze, i “novellieri varazzini” è un termine coniato da lui, che ci lusinga e ci fa molto piacere, ricevere le attestazioni di gradimento e di stima sue e di è presente alle nostre serate o ci segue su AMALiguria che ringraziamo per le riprese video.

Un grazie a Ponente Varazzino per la sua importante attività di divulgazione di storia attualità e curiosità della nostra Città.

Da Ponente Varazzino del 23 dicembre 2024

di Mario Traversi

Continua a Quiliano e Varazze il successo per le “Storie mai scritte” di Baggetti

Venerdì 20 e sabato 21 dicembre 2024, le “storie mai scritte” di Baggetti, sono state il gustoso menù di due incontri culturali, rispettivamente a Quiliano e a Varazze, portate dall’ormai famoso “trio” Giuan Marti, Antonella Ratto e Fulvio Semenza, in quel originale teatrino-popolare che tanto successo continua ad ottenere presso un crescente pubblico, particolarmente interessato a questo tipo e di intrattenimento: storie tipo salottiero semplice, quasi accanto al caminetto, che vengono raccontate con il calmo ritmo di una fiaba e, per questo, assorbite con vero e riscontrato interesse.

Quiliano ha aperto le porte del palazzo Comunale per ascoltare il “menù” arzigogolato di Baggetti, la cui curiosità lo porta a indagare, sondare, intercettare persone e fatti legati alla vita di tutti giorni, raccolti nel teatro pulsante della strada e dei caruggi, o riportati da altre, fonti, qualche “cieto“, molti episodi che portano al sorriso, fatto importante di questi tempi grigi. Giuan Marti non si lascia sfuggire questo rosario di autentiche perle “baggettiane“, che la calda voce di Antonella Ratto, con l’accompagnamento musicale del maestro Fulvio Semenza, sgrana con il suo stile ormai di lettrice esperta nel coinvolgimento di un pubblico particolarmente attento e soprattutto fedele.

Applausi più che meritati ai tre “novellieri” varazzini che hanno sfondato anche a Quiliano e, come dicevamo prima, si sono ripetuti a Varazze, sabato 21 dicembre, ospiti dell’Associazione Artisti Varazzesi, che fu il trampolino di lancio un anno fa della loro proficua attività artistica. Anche in questa sede, patron il dinamico Corrado Cacciaguerra, il successo è stato pieno e incondizionato, e non poteva essere altrimenti, data la “verve” degli interpreti delle storie di Baggetti.

Possiamo affermare che, tanto a Quiliano che a Varazze, Giuan Marti, Antonella Ratto e Fulvio Semenza hanno portato due simpatici “regali di Natale” a chi ha avuto la fortuna di ascoltarli, con la promessa di altre attesa storie di Baggetti, nel corso dell’imminente 2025.

Complimenti a quanti a vario titolo hanno collaborato al successo dei due incontri storico-culturali.

(Testo di Mario Traversi e immagini di Giuan Marti)

Geronima Picasso

di Antonella Ratto

Tratto da una storia vera, documentata nel libro ” Streghe guaritrici e preti incantatori” di Manuela Saccone e Giuseppe Testa

Anno 1551, più bel tacere non fu mai scritto, scriveva Jacopo Badoer nel 1600

Mai parole furono più giuste, per l’increscioso caso in cui si trovò Geronima, lei era una guaritrice curava con le erbe, era anche brava, ma aveva un difetto, era una gran pettegola, forse anche un pò invidiosa.

Lei, la spettegolata Benedetta di Santa Cecilia, moglie di Giovanni di Quiliano, non ci sta a fasi calunniare dalla Geronima e che calunnia!

Accusata di stregoneria?

Nel 1551?

Ma vi rendete conto?

Lesta si presentò davanti al vicario ad esporre, come Geronima indotta dal diavolo, l’ha infamata e che la strega è lei

Ed esige una pena esemplare

Benedetta si presenta in tribunale, accompagnata dal marito, perché una donna da sola, al tempo non aveva credibilità in tribunale.

E sciorina anche una sfilza di testimoni a suo favore

La povera Geronima maledicendo la sua lingua, si deve difendere Non è messa bene

Pochi giorni prima era morto Giovanni, un bimbo di quattro mesi di Bartolomeo Cagani della parrocchia di San Michele di Quiliano oggi frazione Montagna.

E’ proprio a lui, aveva parlato male di Benedetta, adducendo che il bambino fosse morto per causa sua

Durante il processo, dovete svelare i suoi segreti di guaritrice e sciorinare, come una litania, i nomi delle erbe: erba botanica e rosmarino, valeriana, erba cocca miscelata con ghiande di frassino, polvere di salvia e edera

Punte di asparago e di canna, foglie di vite, colte con sopra la rugiada.

Tutto buttato in un pentolone, lasciato a bollire nella stanza del bambino.

Il liquido, travasato in boccette di vetro scuro e fatto bere ogni tre ore

Geronima non ha scampo, viene incarcerata.

Ha la testa bassa, quando entra in quella lugubre cella.

Ma succede un fatto strano………

Un certo Vincenzo Salomone, paga per lei una cauzione di 100 scudi……100 scudi capite?

E chi li aveva tutti quei denari e per lei?

Una povera guaritrice?

La storia ha un lieto fine, nessuno fu arso vivo

Ma qualcuno si domandò, chi ci celava sotto gli abiti di Vincenzo Salomone?

Salomone esorcista

Vincenzo che vince e conquista vincente

0:00 / 4:05

Tutte le reazioni:

8Fulvio Semenza, Giovanni Cerruti e altri 6

Le Storie mai scritte

Le luci abbassate, la voce di Antonella, la chitarra di Fulvio, un pubblico attento e interessato, hanno creato l’atmosfera ideale, nella Sala Consiliare del Comune di Quiliano, per l’ascolto delle Storie mai scritte, i racconti della nostra terra, di Francesco Baggetti.

Grazie all’Associazione Aemilia Scauri, a Daniela Andreoni che hanno organizzato la serata.

Un ringraziamento al Comune di Quiliano, per l’accoglienza e la stima espressa dal Sindaco, per questo nostro impegno, unico nel suo genere, quello di raccontare la vita reale, quella della gente comune, che ha vissuto e che vive, in questo angolo di mondo.

La serata sarà trasmessa questa sera alle ore 21.40 su AMALiguria CH 99

Un grazie a Piero Spotorno e Giuseppe Bruzzone che ci hanno sempre seguito, per le riprese video, quest’estate a Varazze e ieri anche in trasferta!

Automobilin

Questa è la prefazione di un racconto, “Gli Autoscontri”

Lo dedico a Giorgio, grande e sfortunato amico mio

A lato della pista c’era il tiro a segno quello con il fucile ad aria compressa, anche qui vigeva la competizione, il tiro a segno era attrezzato con una fotocamera, che scattava una foto quando si riusciva a colpire con precisione un pulsantino posto al centro del cartoncino bersaglio, che era consegnato al tiratore al termine della prova.

Una sera fui particolarmente fortunato e presi in pieno il centro del bersaglio, ma la foto non scattò, allora in accordo, non ricordo con chi delle tre sorelle Valetti, simulai un altro tiro mentre lei fece scattare il flash, conservo ancora quella foto con il mio caro amico accanto.

Di solito a fine gennaio ritornavano gli “stanchi camion” il luna Park era smontato e riportato in deposito a volte restava ancora per qualche settimana il palazzetto, poi anche lui sgombrava il parcheggio.

Niente più musica, luci, voci, sorrisi, risate sul “ponte”

Poi purtroppo si cresce e quell’età ingenua e spensierata, con l’animo leggero, finisce e così a poco a poco ci si allontana da quello che era per noi un piccolo mondo.

Oggi resta il ricordo di quelle giornate, quando il sole calava e se ora chiudo gli occhi, ritorno indietro rivedo il mio amico, musica, luci, volti, sorrisi, risate.

Altra gente oggi sugli autoscontri altre storie e domani chissà, altri ricordi.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 2 persone

A Giescia de S. Maria Maddalena

La chiesa campestre di S.Maria Maddalena, sorgeva presso l’attuale località du Muinetto all’ingresso di Cogoleto in sponda sinistra del torrente Arrestra.

Era edificata nei pressi dove ora passa la linea ferroviaria.

Le prime notizie della chiesa sono del 1312, indicata negli scritti come ospedale

Era un edificio di architettura bizantina, non aveva campanile, le mura in pietra intonacate, con il soffitto a volta in mattoni, non aveva l’abside.

Gli abitanti della zona, erano molto devoti a S.Maria Maddalena e in questa chiesa, ogni anno il 22 luglio partecipavano alla processione.

La zona du Muinettu, servita dal beo da Ciusa du Bambuggiu, annoverava diversi opifici, tra cui una fonderia molto vicina alla chiesa.

Il parroco nel 1835 si lamento’ che in quell’opificio si lavorava anche la domenica, contravvenendo ai dettami cristiani del giorno di riposo, recando disturbo durante lo svolgimento delle funzioni religiose domenicali.

Il direttore da Ferrea, aveva la risposta già pronta, il metallo che doveva produrre era strategico per il regio esercito, adoperato per la fabbricazione dei proiettili.

Si accordarono per far ascoltare la messa agli operai in fabbrica, non effettuando lavorazioni rumorose durante l’esecuzione della funzione religiosa.

Ma le esigenze della Patria, ebbero il sopravvento e la chiesa venne demolita nel 1850, perché si doveva ingrandire quel strategico stabilimento per la produzione di materiale bellico

Nel 1874 fu ritrovata persa in un vigneto della zona una pregiata lastra in marmo.

La metà di un pregevole manufatto in marmo bianco, con incisioni di discreta fattura.

Raffiguranti, una croce che doveva essere unita ad un altra croce, nella parte mancante, con un nastro inciso, che ricorda la fettuccia con cui erano legate le corone di alloro trionfaĺi degli imperatori romani.

A destra nella foto è rappresentata la corona trionfale di Cristo.

Questa lastra di marmo era un Pluteo, molto probabilmente faceva parte dell’altare della chiesa di S.Maria Maddalena.

Oggi è esposta nella palazzo comunale di Cogoleto.

La lastra di epoca bizantina, faceva parte probabilmente del bottino delle razzie, perpetrate nei secoli X e XI in Grecia ad opera dei veneziani e dei genovesi e arrivato a Cogolitus trasportato via mare.

Complesse indagini sul tipo di marmo del Pluteo di Cogoleto, effettuate tramite microscopio ottico polarizzatore analisi geochimica ecc. ha permesso di stabilire con assoluta certezza la provenienza del marmo da una cava di Saraylar nell’isola di Marmara.

Il direttore emerito Dott.ssa Alessandra Frondoni, ricorda gli scavi effettuati presso la chiesa di San Duno’ a Vase dove furono rinvenute le testimonianze del Castrum Bizantino.

A questo punto non è da escludere che il Pluteo, fosse una produzione locale, ligure, inciso sul marmo proveniente dall’isola di Marmara.

La Dott.ssa Frondoni conclude un’ampia, interessante e documentata analisi del Pluteo della chiesa di S. Maria Maddalena dell’Arestra, con una considerazione storica.

“Il Comune di Cogoleto può a buon diritto fregiarsi di conservare una delle rarissime sculture databili al periodo bizantino esistente nella nostra regione quando Genova e la Liguria erano veramente l’ultimo baluardo dell’impero bizantino ad di fuori di Ravenna”

La chiesa di S.Maria Maddalena, dava il nome a un ponte di epoca medievale

Il Ponte della Maddalena, che con il suo bell’arco spostava la viabilità in sponda destra dell’Arrestra.

Di quel ponte oggi sono visibili, anche se fagocitate dalla vegetazione, le basi sulle sponde dell’Arrestra.

Sotto la verticale del soprastante viadotto autostradale.

Fu distrutto durante la seconda Guerra Mondiale

La viabilità medievale, oltrepassato il torrente Arrestra saliva verso il monastero Vallombrosiano di S.Giacomo in Latronorio.

Oggi di questa strada in salita restano ancora alcune testimonianze.

Poi del sedime di quell’antichissima viabilità, se ne perdono definitivamente le tracce.

Il percorso della strada medievale, che arrivava a Varagine, non è documentato da scritti o ricordato dal passaparola generazionale.

La traccia del percorso presunto, si basa su delle osservazioni effettuate in campo e da verosimili, opinabili, considerazioni.

In una recente consultazione di un antica carta topografica, si intuisce seguendo un tratteggio, quale poteva essere il percorso della strada, che oltrepassava lo Spurtigio’ e arrivava all’altro monastero quello di S.Maria in Latronorio per poi proseguire verso l’abitato di Varagine.

La strada verosimilmente scendeva verso l’alveo du Spurtigiò, nell’unico punto dove ancora oggi è presente una propaggine che degrada verso l’alveo del fiume.

U Spurtigio’ era probabilmente superato con un ponte in legno.

Questa zona, fu anche sede, durante la Seconda Guerra Mondiale, di una postazione di artiglieria descritta in un mio articolo ” I Canuin du Spurtigio'”

Superato il ponte e dopo una discreta salita la strada, proveniente dalla Maddalena, si raccordava ad un’altra viabilità dimenticata, quella che parallela all’7 Aniun, raggiungeva la località da Custo’.

La viabilità sopra descritta, fu abbandonata, perché a metà del 1700, fu costruito un ponte, forse in muratura e legno, che valicava lo Spurtigio’ nei pressi della sua foce.

Da qui la strada proseguiva poi in salita, per arrivare al Castello d’Invrea.

Spunti storici e foto da :

Il Pluteo di Cogoleto Storia di un Marmo Bizantino

Documento Millenario di Cogoleto.

“Quelli sciù da Teiru”

Il sciù da Teiru era il centro economico della nostra città.

Lungo l’asta del Teiro a partire dell’Assunta fino ad arrivare alla località dei Defissi si potevano contare fino agli anni 50/70, circa un centinaio di attività commerciali, officine, alberghi e un cinema.

Varazze oltre all’industria navale e tessile aveva molte altre attività manifatturiere nel “Sciù da Teiru”.

Dove i nostri concittadini traevano il loro sostentamento dall’acqua del fiume regimentata, deviata tramite i Bei e utilizzata in ben 14 opifici e altrettante ruote a pale.

Poi, tramite trasmissioni a cinghia e ingranaggi, fornivano la forza motrice, in primis per le cartiere, ma facevano ruotare anche i Gumbi per frantoi, da olio, Muin per la farina, seghe e pialle e anche le trafile dei pastifici.

L’acqua dei Bei nel suo ultimo tragitto, irrigava infine gli orti cittadini della Camminata e della Lomellina.

Grandi Ciappe posate sugli argini dei Bei fungevano da Troggi per lavare i panni.

A meta’ dell’800 una ciusa e relativo beo serviva anche il nascente complesso industriale del Cotonificio Ligure.

Era un popolo laborioso “quello sciu’ da Teiru” abituato alle fatiche del lavoro, negli opifici, ma era anche addetto alla coltivazione de Fasce, quelle in prossimità del fiume, irrigate dalle sue acque, dove erano coltivati gli ortaggi, mentre dove non era possibile l’approvvigionamento idrico, le coltivazioni prevalenti erano quelle dei cereali.

Rian, e Peschee fornivano un’ ulteriore approvvigionamento irriguo, utilizzato nei terrazzamenti tramite Surchi, Tubbi o a Sigogna che era una leva per il sollevamento dell’acqua contenuta in un secchio.

Da e Vinvagne e Pussi era prelevata l’acqua per uso potabile.

Quasi tutti gli abitanti di questa zona, erano dediti alle suddette attività e sembra strano, per noi oggi, credere che per “quelli sciu da Teiru” il mare non rappresentava che un’enorme massa d’acqua insignificante.

U Sbatissu era una zona maleodorante, visto l’ingente quantità di posidonia, lasciata marcire sulla riva.

Quell’enorme distesa d’acqua scura e sempre in movimento, era senz’altro pericolosa, non per nulla chiamata u ma che vuol dire anche il male!

Ai bambini di “quelli sciù da Teiru” era interdetto il solo avvicinarsi alle onde e poi vigeva il detto, che prendere tutto quel sole, faceva male alla testa.

E allora meglio giocare lungo il fiume, da sempre fonte di innumerevoli avventure, molto più interessante, che una desolata e assolata spiaggia.

A un tiro di schioppo da casa e a portata di voce delle mamme, che annunciavano il pranzo di mezzogiorno o la fine della giornata e dei giochi.

Non senza le proteste dei bambini, perché erano sempre intenti a far qualcosa di non procastinabile.

Nel Teiro si poteva fare anche il bagno, e lo si fa ancora in quel suggestivo ambiente dei Laghetti del Pero.

Non mancavano neanche piccole e suggestive spiaggette.

Ma la presenza di attività produttive e la mancanza di normative per la salvaguardia dell’ambiente, erano causa di inquinamento del Teiro nelle sue acque finiva di tutto.

Anch’io sono “cresciuto” nel fiume o nei boschi di questa zona e ho già raccontato in “Un bosco un fiume e quattro amici” i giochi e le avventure i passatempi, di quella che è stata l’età più bella della mia vita.

“Quelli sciu’ da Teiro” oggi, sono gli abitanti di quella porzione di territorio, che inizia dau Puntin cun l’Arcu e arriva fin au Nasciu una località dell’Alpicella.

Oggi il termine “quelli” alquanto dispregiativo, è riferito ad una zona della nostra città, di poco pregio, rispetto al centro urbano e alle viste mare, con abitazioni strette, tra l’alveo del fiume, acclivi pendii e poco irradiate dal sole invernale.

Di quelle fiorenti attività nulla più rimane, solo la zona dai Muin a Vapure con a Savunea e altri opifici conserva la testimonianza di quel passato.

Un museo all’aperto dell’antica manifattura della nostra città da salvaguardare, da tramandare alle future generazioni.

La zona di archeologia industriale, du Muin a Vapore potrebbe diventare un’attrazione per la nostra città, ai piedi del Colle di S.Donato con la Grangia Cistercense e gli altri opifici.

E poi ci sono le allerte meteo

Oggi non è più il Teiro, eccettuato u Turtaio’ de Gambun, che rappresenta il pericolo primario, ma a far paura è un territorio, che sta lentamente franando a valle e le strade che diventano fiumi in piena, allagando e travolgendo ogni cosa.

Questa parte di Varazze è ricordata, solo a seguito dei gravi disagi subiti a causa dei nubifragi, che a cadenza regolare si abbattono sul nostro territorio.

Naturale lo stato d’animo di “quelli sciù da Teiro” ovvero di chi passa notti insonni, come il sottoscritto, durante un temporale, con l’incubo per la propria incolumità, quella dei suoi cari e per i suoi beni.

Chi risiede in questa zona è sempre critico, verso quella città alla foce del Teiro, spettatori, dell’opulenza con cui si consumano risorse pubbliche, a valle du Puntin cun l’Arco.

Rumenta, Abelinato, Sguarato, Zetto.

Nel secondo dopoguerra, il boom economico con l’industrializzazione indotto dalla ricostruzione, fu un potente fattore di mobilità interna, soprattutto dal sud al nord, ed i fenomeni migratori, dalle campagne alle città e quindi di incontro di lingue e di culture.

Quando poi nel 1962 fu introdotta in Italia la scuola media unica che innalzava l’obbligo scolastico a 14 anni, un nuovo pubblico di scolari tradizionalmente fermi all’istruzione elementare, vale a dire i figli delle classi operaie e contadine, si affacciarono per la prima volta alla scuola superiore, e questa radicale trasformazione nella composizione del pubblico scolastico non fu indolore.

La dialettofonia diffusa nelle classi popolari si abbatté sugli insegnanti della ‘nuova’ scuola media unificata cogliendoli del tutto impreparati.

Tutti questi ultimi elementi erano presenti nella società della nostra citta’ negli anni 50/60

Ricordo i pensierini delle elementari infarciti con parole dialettali e poi il fenomeno dell’abbandono scolastico, dovuto anche alla troppa rigidità del corpo insegnante.

Lungi da applicare quello che oggi è chiamato “il sei politico”la media era pura metematica, e così alcuni nostri compagni non appena raggiunti i 14 anni abbandonarono la didattica, per il mondo del lavoro, dove peraltro erano già impiegati e mai supportati in questa duplice condizione di scolaro/lavoratore dalla scuola statale, anzi a volte e di questo ne sono testimone, trattati anche in malo modo e spronati all’abbandono scolastico.

A questo proposito è bene saper che nell’elenco del registro di classe nell’ultima colonna a fianco del nome dello scolaro era scritta la professione del padre, un retaggio del ventennio fascista rimasto in essere anche negli anni del dopoguerra.

Le carenze accumulate negli anni delle elementari, poi si scontavano alle medie specie nell’uso corretto dell’italiano abituati in famiglia e con gli amici a parlar in dialetto poi si finiva per fare un miscuglio, citato da De Mauro come«un misto di dialetto e lingua letteraria», il che «val peggio dell’uso del puro dialetto»

A questo proposito mi sono inventato il termine Zenagliano, che era il linguaggio parlato, tra di noi alunni degli anni 60, termini pratici inseriti, in una frase in lingua italiana, utilizzati con efficacia e velocità per descrivere cose, azioni o ricordi, evitando così anche una problematica traduzione nella patria lingua.

Qualche parola è divenuta patrimonio linguistico correntemente usato oggi anche dalle generazioni più giovani quali rumenta, abelinato, sguarato, zetto, carruggio, tomate ecc.ecc.

Foto Archivio Storico Varagine

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 4 persone

Troggi, Gaseolli e Sbigge.

Quella traccia di sentiero finiva lì, dove c’erano i Gaseolli.

Sopra na Vegia Sbiggia a picco sull’Arsoccu.

Dovevamo ritornare indietro ma c’era il sole e si stava bene, e così siamo rimasti un po’ lì a mangiar Gaseolli.

Io Francesco e Dino in una bella e soleggiata mattinata di dicembre.

Con nello zaino i panini con la mortadella de Bianca.

Nell’alveo dell’Arsoccu.

Siamo alla ricerca di Troggi dove andavano a lavare donne e bambine dalla Costa di Casanova.

Si attraversa la località i Liè verso l’Arsoccu

Scendendo si incontrano a Ca de Gritte e poi la suggestiva Ca du Rian.

Poco prima di alcune rampe che in breve portano nell’alveo del torrente.

A terra, alcuni spezzoni di tubo quello che prelevava l’acqua dall’imponente sbarramento della Ciusa dell’Arsoccu.

A poca distanza dalla diga, in sponda sinistra, c’è na Ciappa e una vasca dove con un apporto continuo d’acqua erano lavati e sciacquati i panni.

Ma quasi completamente ricoperta di vegetazione e di terra non era possibile accorgersi che era proprio lì quello che stavamo cercando!

Torneremo per ripulire a Ciappa e togliere i sedimenti dalla vasca.

Per le operazioni di lavaggio, era probabilmente utilizzato un altro sbarramento a valle della diga.

Finito di “fare il bucato ” donne e bambine dovevano fare il percorso inverso in salita con i Bassi’ pieni di lenzuola da far asciugare sull’erba al sole.

Ma la strada era lunga, prima di arrivare nelle case della Costa.

La zona è fortemente antropizzata, un bello Ciappin risale la sponda sinistra verso a Cruscea de Stradde, mentre la sponda destra dell’Arsoccu è completamente terrazzata fino alla base du Muntadò.

Terra strappata ad un’acclive pendio, milioni di pietre impilate, immani fatiche, per formare centinaia de Fasce.

Presso a Ca du Rian alcune pietre fitte, fungono da paracarro per e Lese che saliscendevano il fiume.

A Ca du Rian è un bell’esempio de Ca de Prie, fa parte anche lei di quell’immenso patrimonio di manufatti in pietra presenti sulle alture della città.

È ora di ritornare.

Dino aveva il compito più importante “cammalare” lo zaino con i viveri.

E’ quasi mezzogiorno è l’ora di quei panini con la mortadella.

Siamo nel sagrato della chiesa di S.Caterina delle Ruota.

Dove esiste l’unica vera Pietra d’Inciampo della nostra città.

La lapide in facciata della chiesa, con i nomi dei fratelli Accinelli e Piombo.

Abitavano in questa zona, dove furono catturati.

Sterminati in un campo di lavoro, poco tempo prima, della fine della seconda guerra mondiale.

Ringrazio Francesco e Dino miei compagni alla ricerca di un altro pezzo di storia della nostra città

Ringraziamo Ambrogio Giusto per la sua collaborazione e per la messa a disposizione del posto auto.

Claudio Baglietto

Filosofo.

Oggi a Varazze nel 1908 nasceva un nostro grande concittadino

Così Capitini ricordava l’amico nel suo saggio “Antifascismo tra i giovani”

“era una mente limpida e forte, un carattere disciplinato, uno studioso di prima qualità, una coscienza sobria, pronta ad impegnarsi, con una forza razionale rara, con un’evidentissima sanità spirituale. Cominciai a scambiare con lui idee di riforma religiosa, egli era già staccato dal cattolicesimo, né era fascista. Su due punti convenivamo facilmente perché ci eravamo diretti ad essi già in un lavoro personale da anni: un teismo razionale di tipo spiccatamente etico e kantiano; il metodo Gandhiano della non collaborazione col male. Si aggiungeva, strettamente conseguente, la posizione di antifascismo, che Baglietto venne concretando meglio. Non tenemmo per noi queste idee, le scrivemmo facendo circolare i dattiloscritti, cominciando quell’uso di diffondere pagine dattilografate con idee di etica di politica, che continuò per tutto il periodo clandestino, spesso unendo elenchi di libri da leggere, che fossero accessibili e implicitamente antifascisti. Invitammo gli amici più vicini a conversazioni periodiche in una camera della stessa Normale”

Baglietto decise di non rientrare più in Italia e rinunciò alla borsa, cosa che scandalizzò Gentile (che aveva garantito per lui presso le autorità).

Lasciata Friburgo, Baglietto si trasferì quindi a Basilea, dove visse da esule, proseguendo gli studi e dando lezioni private.

Morì nel 1940: è sepolto nel cimitero di Basilea

Wikipedia.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona