L’Antica Religione

Si possono vedere o percepire luoghi, che nascondono o indicano la presenza di antichi riti religiosi.

L’Antica Religione, venerava gli Spiriti della natura e quelli dei propri Antenati.

La concezione della vita dopo la morte era molto libera.

Da un aldilà non ben definito, alla reincarnazione, che porterebbe a rinascere come membro della propria famiglia, o a diventare uno Spirito della Natura.

All’interno della Vecchia Religione, erano celebrate alcune feste o incontri sacri, chiamati Sabba, in giorni particolari.

Quattro Sabba maggiori (2 febbraio, 30 aprile, 1º agosto e 31 ottobre).

Quattro Sabba minori, che coincidono coi solstizi e gli equinozi, chiamate anche feste del Fuoco.

Tredici feste Lunari in corrispondenza della Lune Piene («feste dell’Acqua»)

Per la maggioranza dei praticanti della stregoneria, esisterebbe inoltre una naturale continuità tra magia e religione.

Ma non era una magia mirante a controllare o comandare, ma una pratica che crea e comunica in maniera spontanea, in un mondo incantato, organico e vivente.

Tratto da Wikipedia

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Vase.

Perche’ a se ciamma cusci’?

Da sempre si narra che il nome della nostra città è legato all’asino della Sacra Famiglia, che nei tre anni della Fuga in Egitto era arrivata in Liguria.

Buona lettura!

Il racconto è scritto in zenagliano, linguaggio ibrido, parlato da noi ragazzini, negli anni 60.

Uno dei Numascelli, raccontava, pe far star buoni i figgio’ anche quelli più seotti, che maniman andavan in giu a sciatta’ a roba da mangia’, la foa di Beppe, Marinin e u Bambin, arrive’ a Vase dalla Franza, dopo la fuga d ’Egitto e a sessia du deserto dell’Africa

I figgio’ erano tutti assetati in Caabraghe, a stare a senti quellu vegiu cun a pelle cumme i baggi, per le tante primavere, che lui disceiva che si era scordato di contare, ma potevano esse 100 o 110!

A otte anche u Baciccia, u se fermava, a senti ste cose, ma tutti, anche e prie , saveivan, che stava aspettando che Cateinin a mugge de Bastian, serrava la gioscia, lui schersava cun u Numascelli e ci diceva “ma ciantila li de cuntà de musse a sti figgio’ ” e quando la gioscia era serrata, se ne andava verso i tre recanti da Cateinin, tirando dei casci alle prie e sciguandu.

A foa nu lea sempre la mescima a otte cominciava da Leicana’ quando Beppe faceva salire Marinin con il Bambin sull’ase, altre otte era già a Muntado’ e vedeiva il mare e chinava dalla via Gianca.

Dappo’ arrivato au Pasciu, e u Beppe duveiva sta attentu che li c’erano i surdatti romani che ci piaceva rostire le bestie e ci volevano mangiarci l’ase

Ma Beppe, che era diventato n’erbu da gotti, perché ci aveva un crussio grande in testa, pensandu a quellu Bambin che era sciortito biundu….. ci aveva del buon vino, preso ad Aquilianum e lo diede al centurione e cusci i romani non ci hanno rostito l’ase

I figgio’, aspettavano sempre la fine della foa.

Quando Beppe è arrivato in tu burgu e ha visto a bandea con a sivittua del capatassu, ce venuto puia e ha ditu “Malus augellus!” che poi oggi è Malocello.

“Cumme si ciamma stu burgu?” u l’ha ditu Beppe

Ma l’ase ciaveva sei e voleva ando’ a beive in Teiro, duvve ci erano destese tante lensuola sulle prie, e le donne ciavevano paura che le rovinasse e alua bragiarono forte “Va ase! Va ase!”

A stu punto u Numascelli, pe far rie i figgio’ si mettiva a fo u versu dell’ase, ma tanto ben che l’ase du mulitta, dallo staggiu, ci rispondeva sempre!

U poviu Beppe visto che le donne gli tiravan anche delle prie, se ne andetu via con l’ase la Marinin e il Bambin e quando cuntava dove era stato diceva Saona, Alba Docilia… Vase, Cogolitus.

Fu così che nacque il nome della nostra citta’! Vase!

I figgio’ a quei tempi ean contenti cun pocu, stavan ben con i vegi e ci volevano bene

La loro demua era quella del Teiro, dove fare sata’ le prie sull’equa, correre tutti insemme facendo u versu dell’ase du Beppe.

Questa a l’è a foa cunto’ da un vegiu cun a pelle cumme i baggi

Bunna giurno’ vasin

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Francesco Baggetti

Paolo Cognetti nella sua recensione del libro di Erling Kagge “Il silenzio” scrive.

……serve che queste voci continuino ad esistere serviva nell’ottocento di Thoreau, figuriamoci nei nostri tempi di conformismo imperante, tecnologico, capillare. Ci ricordano, perlomeno che cosa ci viene amputato senza che ne sentiamo dolore, così anestetizzati: eliminare le zone di silenzio dalla nostra vita è come abbattere gli ultimi boschi per costruire dei supermercati, come radere al suolo una montagna per farci passare una strada. Servono esploratori che esaurite le terre sconosciute, vadano a cercare in quelle dimenticate, tornino ai luoghi che l’uomo abitava e ora non più. Un paese fantasma, una fabbrica abbandonata. Che cosa c’è lì, dove tutti sono andati via?” Un amore che nessuno si ricorda”. Servono libri che mettano in salvo quell’amore.

Le storie di Francesco Baggetti prendono spunto dai racconti di chi prima di noi è stato in questo angolo di mondo.

Gente laboriosa semplice con un forte senso di appartenenza alla propria terra.

Un popolo che ha subito tante dominazioni in antichità e nonostante questo ancora prono al potente di turno.

Ed ecco allora taciute tante storie per vergogna per decenza o perché mai e poi mai si doveva sapere la verità

A volte molto più cruda della realtà.

Baggetti va ascolta le storie che raccontano i vecchi ma anche le cose sentite per strada.

Percepisce le debolezze umane e mai ne fa colpa a nessuno

Baggetti ricostruisce le storie perdute quelle non più tramandate o perse nell’oblio dei nostri tempi di conformismo

Racconti dove la realtà si mischia alla fantasia ma che fanno pensare e riflettere sulla casualità delle cose che però mai capitano per caso.

Non si sa dove viva

Se è un personaggio un alter ego di fantasia.

Se è una persona in carne e ossa come noi, che

prova freddo quando soffia la tramontana o caldo nelle afose giornate estive.

Che ancora si stupisce delle cose che accadono

Ci piace pensare che magari domani sarà in qualche ostaia cun un toccu di figassa e un gianchin, ad ascoltar una persona raccontar della sua vita meravigliato a sentire che cosa gli è capitato nella sua fantastica vita.

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Wild Cat 1976

Wild Cat 1976

Il viaggio di Luigino Damonte “Luigin”

La tempesta di vento, aveva abbattuto molti alberi.

Per fortuna la pista era libera.

Ma ora c’era da attraversare la boscaglia.

Il tracciato di quella strada, proseguiva a curve alterne come a volersi districare fra le piante.

La luce del giorno, spariva a tratti nel folto della vegetazione.

Al nostro passaggio la foresta si tacitava.

Animali appesi agli alberi, osservavano curiosi la Land sobbalzare sulle gobbe e buche della strada.

Ecco una radura, dove il vento aveva sfogato la sua rabbia, un grande albero dalle poche radici, giaceva appoggiato ad un’altra pianta.

Ora la strada scendeva, per oltrepassare un piccolo stagno.

Un albero abbattuto era messo di traverso sulla strada.

Ma con un pò di manovra poteva essere aggirato

Un gruppo di indigeni, erano intenti a tagliare quella grande pianta, per trarne legna da ardere

Ci fu un cenno di saluto, poi ripresero con i loro attrezzi a martoriare quell’albero.

Alcune donne, spezzavano i rami più sottili per farne fascine.

Fecero cenno di passare.

Accostai la Land a bordo strada.

La motosega era dietro facilmente accessibile.

Presi la tanica e feci rifornimento.

Diedi un pò di cicchetti, mica potevo far brutta figura!

Il motore parti al secondo tiro di corda.

Il casino della motosega, spaventò quegli uomini che si allontanarono dall’albero.

Restarono curiosamente fermi ai bordi della radura, le donne erano sparite.

Tagliai alcuni rami e a quelli che si erano avvicinati, chiesi a gesti che pezzatura volevano.

Ma non ebbi nessuna risposta, nessun cenno.

Decisi in autonomia per un taglio del tronco di circa un metro.

In mezz’ora, quel grande albero era tagliato in tanti pezzi

Il lavoro di un giorno di più uomini con le asce.

A motosega spenta, mi accorsi di quanti occhi curiosi mi avevano osservato

Le donne erano ritornate e con loro i bambini

Avviai il motore della Land e salutai con un gesto, quella brava gente.

Alzarono tutti un braccio ma restarono in silenzio.

Passato lo stagno, dallo specchietto vidi una moltitudine di persone, tutte intorno a quei pezzi di albero.

Chissà se ancora oggi, qualche vecchio, racconterà la storia di quell’albero, tagliato a pezzi.

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to della vegetazione.

Al nostro passaggio la foresta si tacitava.

Animali appesi agli alberi, osservavano curiosi la Land sobbalzare sulle gobbe e buche della strada.

Ecco una radura, dove il vento aveva sfogato la sua rabbia, un grande albero dalle poche radici, giaceva appoggiato ad un’altra pianta.

Ora la strada scendeva, per oltrepassare un piccolo stagno.

Un albero abbattuto era messo di traverso sulla strada.

Ma con un pò di manovra poteva essere aggirato

Un gruppo di indigeni, erano intenti a tagliare quella grande pianta, per trarne legna da ardere

Ci fu un cenno di saluto, poi ripresero con i loro attrezzi a martoriare quell’albero.

Alcune donne, spezzavano i rami più sottili per farne fascine.

Fecero cenno di passare.

Accostai la Land a bordo strada.

La motosega era dietro facilmente accessibile.

Presi la tanica e feci rifornimento.

Diedi un pò di cicchetti, mica potevo far brutta figura!

Il motore parti al secondo tiro di corda.

Il casino della motosega, spaventò quegli uomini che si allontanarono dall’albero.

Restarono curiosamente fermi ai bordi della radura, le donne erano sparite.

Tagliai alcuni rami e a quelli che si erano avvicinati, chiesi a gesti che pezzatura volevano.

Ma non ebbi nessuna risposta, nessun cenno.

Decisi in autonomia per un taglio del tronco di circa un metro.

In mezz’ora, quel grande albero era tagliato in tanti pezzi

Il lavoro di un giorno di più uomini con le asce.

A motosega spenta, mi accorsi di quanti occhi curiosi mi avevano osservato

Le donne erano ritornate e con loro i bambini

Avviai il motore della Land e salutai con un gesto, quella brava gente.

Alzarono tutti un braccio ma restarono in silenzio.

Passato lo stagno, dallo specchietto vidi una moltitudine di persone, tutte intorno a quei pezzi di albero.

Chissà se ancora oggi, qualche vecchio, racconterà la storia di quell’albero, tagliato a pezzi.

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I Troggi de Vase

I lavatoi di Varazze

Quanti corpi de savun e strufuggi, in simma a ste ciappe, ma anche canti, tantu rie e tanti ceti.

Chissà forse l’origine del nome Vase fu dovuto ad un bucato steso ad asciugare.

Quando la sacra famiglia arrivò a Varazze

Tratto da da “Va Ase” di Giuan Marti

“Giuseppe giro’ l’ase versu Teiro, per beive na votta e domandare che posto era quel borgo di case, ma e donne aveivan destese le lensuola sulle prie, e ci avevano paura che le rovinasse e alua bragiarono forte “Va ase, va ase” che lui pensò fosse u numme du paise”

da “Va Ase” di Giuan Marti

E Bugaisce che facevano il bucato in Teiro avevano cacciato in malo modo l’asino, con cui Giuseppe era arrivato nella nostra città insieme alla Madonna e al Bambin Gesù.

Nell’Archivio Storico Varagine sono molte le foto che ritraggono donne intente a lavare i panni in Teiro.

Tanti Lenso’ distesi ad asciugare al sole.

Scapin, Miande, Fadette, Robin, Marioli, Mandilli Braghe e Scoscia’ erano lavati in ti Troggi.

Ringrazio i miei contatti di WhatsApp a cui ho chiesto di segnalarmi la presenza di Troggi, ancora visibili, spesso anche solo na Ciappa de Pria dove un tempo si lavavano i panni.

Chi ha la pazienza di leggere questo articolo, se vuole mi può segnalare altri lavatoi presenti o che ricorda di aver visto o per sentito dire a Varazze e frazioni. Grazie!

I lavatoi pubblici nel centro di Varazze erano in via Carattino tra la Centrale del Latte e la Ferrovia, nei pressi dell’Arzoccu zona di via Recagno e a San Naso’ nei pressi della salita alla Stazione.

Sciu da Teiru, nessun problema! I Troggi erano Ciappe de Pria posate sugli argini dei Bei che fornivano energia idraulica agli opifici.

Il Nautilus

E’ vero che ogni luogo di lavoro, di svago, di culto ecc. conserva impercettibili o violente tracce dei trascorsi umani.

Chissà che cosa è rimasto, fra le mura di quel vecchio Night, di quelle tante storie che nessuno più ricorda.

Serve chi ci racconti di un tempo passato, quando in uno dei più bei locali da ballo, della nostra regione, il sabato sera, ad un’ora prestabilita, un’umanita’ in marcia, anche da località remote qui convergeva.

Per molti, era luogo di appuntamento o per trovare l’anima gemella, ma c’era chi chiedeva di entrare per cercare una persona e all’entrata lasciavano fare.

Per invogliare le ragazze, il loro biglietto costava meno.

Quasi sempre, erano due le amiche che scendevano le scale, per arrivare alla pista.

Indugendo per vedere, se c’era qualche volto conosciuto e dove erano dei divani liberi.

Nei conosciuti, c’era anche chi le stava aspettando.

Nel buio dei divani, si facevano conoscenze, quasi mai il finale della serata, era scontato.

Sincere le storie di chi, uscito dal locale, ebbro di bellezze.

Privatamente si consolava da solo

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24 novembre 2019

C è stato un momento particolare, domenica mattina 24 novembre 2019, che ho potuto cogliere, perché come sempre mi succede, dal 4 ottobre 2010, il giorno dell esondazione del rio Riva, passo le notti insonni a scrutare l’acqua che scende dalla parte alta di via Scavino.

Quella strada diventata, in un attimo un fiume di acqua e fango, in quel lunedì di qualche anno fa, immagine indelebile nei miei ricordi.

Alle 4.30 da qualche minuto la pioggia incessante, aveva rallentato il suo ritmo, all improvviso, una folata di vento e a seguire, dopo qualche minuto, diverse altre raffiche di tramontana, erano la prova, della rottura dell accerchiamento temporalesco, che da due giorni stava flagellando la nostra città è stato il segnale, dell imminente fine delle piogge, perlomeno di quelle più intense.

Le prime luci del nuovo giorno, svelavano le ferite inferte dal nubifragio, in primis, un ecatombe di frane, di strade invase da massi, terra, alberi da sgombrare, lo stesso scenario, anche nei comuni limitrofi.

Ma le ferite più dolorose, dovevano ancora arrivare, il giorno dopo, lunedì con l ordinanza di sgombero a causa dell instabilità del terreno, dove affondano le fondamenta, di alcune case.

65 persone dovevano abbandonare le loro case, i loro affetti i loro sogni, magari da poco realizzati, fino a data da destinarsi, in un silenzio pieno di dignità, dalle case uscivano con le valigie, in direzione dei mezzi privati o verso i mezzi della protezione civile.

Giovani coppie, giovani genitori, con la disperazione negli occhi: -Che cosa faremo ora, con il mutuo da finire di pagare e con una casa chissà se ancora abitabile?-

Anche un neonato in braccia alla sua mamma, con la curiosità nei suoi grandi occhi.

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A Bumba sutta au Punte

Verso l’una di notte, di venerdì 23 novembre del 1974, una signora in via Piave, alla finestra, sta aspettando l’arrivo del marito.

Proveniente dal centro di Varazze, vede arrivare una Fiat 600 di colore scuro, che si ferma nella curva davanti al Bar Marilena.

E’un auto rubata.

La proprietaria, Teresa Castellaro, nel pomeriggio l’aveva parcheggiata davanti alla stazione ferroviaria.

Lasciata lì, perché a suo dire i freni non funzionavano.

La signora alla finestra si incuriosisce, anche perché a quell’ora il bar Marilena è chiuso.

Dall’auto scende un giovane, sulla trentina, e con passo veloce si avvia verso Varazze.

L’uomo sparisce dalla sua visuale, per ricomparire dopo qualche minuto salire sulla 600 e ripartire in direzione del Parasio.

L’auto è seguita a poca distanza da una Renault 4 color grigio o celestino, con un grande portabagagli.

La signora vede le due auto attraversare u Punte Novu e svoltare verso via Montegrappa.

Quella 600 sarà poi parcheggiata in via Accinelli, una traversa di via Montegrappa, nel piazzale sotto al viadotto Teiro Sud, a poca distanza dalla caserma dei Carabinieri.

All’una meno venti, una violenta esplosione, distrugge la 600 e manda in frantumi tutti i vetri delle case lì vicino.

Alcuni rottami di ferro sono scagliati fin sopra il tetto del grande condominio che fiancheggia via Accinelli.

Fortunatamente i piloni del viadotto autostradale non subiscono danni.

Le indagini stabiliscono che l’innesco è stato effettuato con una miccia a lenta combustione.

Quella di Varazze sarà l’ottava di dodici bombe di stampo fascista fatte esplodere a Savona e provincia a fine 1974 inizio del 1975.

A differenze di tutte le altre bombe fatte esplodere nel tardo pomeriggio quella di Varazze è fatta deflagrare di notte ed è la prima volta che viene usata un’auto bomba.

Tratto dal libro di Massimo Macciò “Una storia di paese” le bombe di Savona 1974/75.

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U Garbu d’Invrea

Il più grandioso e stupefacente manufatto, della nostra città si trova nell’estremo levante di Varazze.

È la galleria Invrea lunga quasi 300 metri, dell’ex tracciato ferroviario Genova Ventimiglia

Scavata a metà dell’800 a mano, e con la polvere da sparo, in ta pria neigra d’Invrea.

Le meraviglie di Lungomare Europa ( pe quelli de Vase A Villa Araba) non sarebbero usufruibili oggi, senza l’ex ferrovia ottocentesca, grandiosa opera che nella parte di levante di Varazze, annovera 9 gallerie, 7 ponti, muraglie di sottoscarpa e sottotipa.

Galleria S. Caterina I (m 26,70)

Galleria S. Caterina II (m 21,00)

Galleria Madonnetta (m 57,00)

Galleria Valsassina (m 125, 60)

Galleria Pescatori (m 92,00)

Galleria Invrea (m 290, 65)

Galleria Forno (m 97,45)

Galleria S. Giacomo (m 70,00)

Galleria Maddalena ( m 40,70)

Si conoscono i nomi dei signorotti locali, che fecero deviare per capriccio o per averne vantaggi il percorso della linea ferrata.

Ma chi erano invece quelli che materialmente hanno scavato queste rocce?

Nessuno ha curato la loro memoria.

Nessuno ha mai fatto i loro nomi la loro storia, raccontato delle loro vite grame, a perdere, nel buio di una galleria o nelle armature di un ponte.

Meschinetti orbi de fatiga cun u buttigiun de vin, pe nu senti’ fatiga, duu e disperasiun.

Cuntenti de sciurti da quellu garbu pe un toccu de pan e pe do’ na scheno’ in ta pagiassa.

Non sappiamo niente di quella moltitudine di operai e minatori, è taciuto, forse per vergogna o mai annotato, quanti di loro perirono per scavare queste gallerie

Del loro passaggio terreno, ci sono rimasti i segni dei loro attrezzi, scolpiti in ta pria neigra d’Invrea.

Dove le luci illuminano le Gallerie troveremo la loro fatica.

E anche se ci soffermeremo a pensare, alla vista di quei segni lasciati nella roccia, non riusciremo mai a capire tutto l’immenso lavoro e fatica, per fare questa grandiosa opera.

Le Bombe di Savona

Il 20 novembre in via Giacchero n°22, la bomba collocata dagli esponenti fascisti di Ordine Nero, esplose, con una deflagrazione devastante, molto più potente delle precedenti.

Un intero vano scala, di un condominio crollò, insieme ai solai degli appartamenti del primo piano.

Le operazioni di soccorso dei feriti furono immediate, prima ancora dell’arrivo dei Vigili del Fuoco e delle P.A, semplici cittadini richiamati dall’esplosione iniziarono a scavare le macerie, nonostante il pericolo di ulteriori crolli.

Per soccorrere le persone bloccate ai piani superiori, venne usata l’autoscala e un sacco di salvataggio.

Tutte le persone furono estratte vive dalle macerie, ma alcune di loro erano in gravi condizioni.

Qualche giorno dopo morì, a seguito delle ferite riportate Fanny Dallari, seguita tre mesi dopo da Virgilio Gambolati, anche lui rimasto gravemente ferito nell’attentato.

Furono dodici le bombe di stampo fascista, fatte esplodere a Savona, fecero due morti e 20 feriti.

Una bomba fu fatta esplodere anche a Varazze, dove salto’ in aria una Fiat 600.

La popolazione seppe reagire si mobilito’, effettuando cortei, presidi e servizii di vigilanza notturna alle scuole e nelle fabbriche.

Io partecipai a queste iniziative, facendo un servizio di vigilanza notturna, il 30 novembre del 1974, da mezzanotte alle quattro del mattino, presso le Scuole Elementari di Varazze di via Camogli, dove andava a scuola mia sorella Laura.

Le indagini appurarono collegamenti con l’organizzazione fascista di Ordine Nero, fino ad arrivare ad indagare esponenti della P2, ma finirono nel nulla e a tutt’oggi, non esistono colpevoli o mandanti.

30 aprile 1974 Savona, Via Paleocapa bomba nel portone di un edificio

9 agosto 1974 Vado Ligure due ordigni vengono lanciati contro la centrale Enel

9 novembre1974 Savona bomba davanti al Palazzo della Provincia

12 novembre 1974 Savona, via Machiavelli bomba davanti all’atrio di una scuola

16 novembre 1974 Savona, località Santuario bomba sul viadotto ferroviario

16 novembre 1974 Savona, via dello Sperone bomba in uno stabile

20 novembre 1974 Savona, via Giacchero bomba nel portone di un palazzo

23 novembre1974 Varazze

autobomba davanti alla stazione dei carabinieri

23 novembre1974 Quiliano, località Cadibona bomba sull’autostrada Savona-Torino

24 febbraio 1975 Savona bomba dietro il palazzo della Prefettura

25 febbraio 1975 Savona, località Madonna degli Angeli bomba contro un traliccio dell’Enel

26 maggio 1975 Savona bomba contro la Fortezza di Monte Ciuto

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