Tratto dal mio racconto “Olio di oliva e Cotone”
A metà anni 60 arrivo’ “gente” nuova
Li conobbi una mattina d’inverno Antonio, Angelo e Mauro e poi Massimo che era il più giovane e si aggregò a noi dopo qualche tempo.
Mio padre aveva la falegnameria ed io fornii loro il materiale per costruire spade di legno e ipotetici fucili, anche i riccioli di legno erano utilizzati nei nostri giochi.
Diventammo amici.
Sotto alla strada il “campo” testimone, suo malgrado di interminabili partite, dove neanche un filo d’erba riusciva più a crescere a causa delle nostre corse dietro al pallone.
Fra nuvole di polvere, consumando le suole di vecchie scarpe in disuso.
Il campo da calcio era in realtà un quadrato, delimitato con i riccioli di legno, prelevati dalla montagnola dove erano stati scaricati i residui di lavorazione della vicina falegnameria.
Avevamo costruito anche le due porte, con tre legni quasi diritti, fissati con lunghi chiodi, la struttura era però instabile e guai a beccare la traversa con una pallonata!
Il pallone era sempre lo stesso, bucato, era inutile giocare con un pallone nuovo, gonfio, vista la vegetazione circostante, composta prevalentemente da rovi irti di spine.
Bastava un solo fuoricampo e subito si udiva il sinistro sibilo dell’aria che fuoriusciva dai fori sul pallone!
E la regola era: l’ultimo che aveva toccato la palla, doveva poi andare a recuperarla.
Quest’operazione, a volte si protraeva per diverso tempo, a seconda della potenza del tiro e della zona d’entrata.
Avventurarsi in quei grovigli di rovi, era un’impresa ardua e una volta individuata la sfera ci si aiutava con dei legni per recuperarla, spesso si usciva strappati e sanguinanti da quell’inferno, ma pronti a riprendere il gioco.
Mi regalarono un pallone di cuoio, fu un avvenimento eccezionale, una grossa novità.
Finalmente un pallone vero, inconsciamente questo aumentò l’impegno e l’agonismo nelle nostre partitelle.
E se per caso finiva in mezzo ai rovi, nessun sibilo sinistro!
Era giallo, ma ben presto perse il suo colore consumandosi per l’uso frequente.
Disgraziatamente, dopo un lancio, terminato fuori campo, il pallone finì sotto le ruote di un’auto, esplodendo con un boato.
L’auto si fermò e il conducente che non gradiva i nostri schiamazzi, con aria soddisfatta ci restituì il pallone, o quel che rimaneva, simile oramai ad un berretto schiacciato, da cui come una lingua rosa, fuoriusciva la camera d’aria.
Giurammo vendetta, e qualche giorno dopo, individuata la sua auto, armati di chiodi incidemmo due lunghe righe su entrambe le fiancate dell’auto e per finire, anche sul cofano.
Il pallone, invece, fu
riparato alla meglio, da uno zio di mio padre, Genio, che lavorava nella falegnameria lo squarcio fu chiuso con un cordino, passante in mezzo a delle borchie in metallo.
Le borchie però con l’uso si assottigliarono e i bordi diventarono micidiali rasoi quando il pallone si stampava sulla pelle.
Neppure il buio della sera ci fermava, io e i miei amici giocavamo in notturna alla luce del lampione stradale.
Era il 1970 l’anno del mondiale di calcio in Messico, ricordo le interminabili partite, emulando i nostri eroi oltre Oceano.
foto tratta dal web





















