
Il nostro sforzo, nel capire tutti i manufatti, che troviamo abbandonati nei boschi, altro non è che la ricerca di un passato, cancellato da tanto tempo, da quando gli anziani, non più detentori del sapere, smisero di raccontare e allora smarrendo il loro significato, lentamente si dissolsero le tradizioni, e si incominciò a dimenticare.( Biancangela Pizzorno Brursarosco)
In tempi non proibiti, accompagnato, da Francesco e Battista, siamo saliti alle Rocche Raggiose, orribile traduzione dra Rocche de Giuse, dove, al disotto di quella parete rocciosa, secondo Francesco, si trovano i resti del Monastero degli Antoniani .
Discendendo un ripido crinale, in direzione degli Armuzzi, località di Alpicella, si arriva in una zona terrazzata, con decine de muagge de pria o prea, di ottima fattura, erette con la stessa tipologia, anche se molto più antiche, dell’imponente Cà du Maggiù, che sovrasta questo territorio, un bellissimo esempio di casa rurale, destinata purtroppo a prossima rovina.

Definirla un capolavoro è il minimo che si deve, a chi, con perizia e grande maestria, ha costruito materialmente, questa casa.
Si scende, fino ad arrivare in vista, delle case sparse degli Armuzzi, oltrepassiamo a Ca di Siri e a Ca da Bellafia, con il suo grande, omonimo campo, Questa borgata è uno dei primi insediamenti abitativi, dell’Alpicella, il termine dialettale, deriva da: armussi, arma, armisu, ovvero riparo sotto roccia o capanno di montagna.

In questo ambiente, molto antropizzato, esiste una zona impervia, poco conosciuta, ma ricca di anfratti e ripari rocciosi, con notevoli presenze di muretti e “muggi de prie” testimonianze di antichissimi insediamenti umani, probabilmente del neolitico o dell’età del bronzo.
Ma la caratteristica principale, di questa zona, sono i ruderi di case, cascine ed essiccatoi per castagne, ho contato una decina di questi edifici, ognuno con il suo nome e la sua storia, ma altri devono essere da qualche parte, nel folto del bosco e scendendo laggiù, verso u Rian dell’Ommu Mortu.

Continuiamo la “stra da lese” nome derivato dal mezzo di trasporto del legname, fieno e altro, che da questi boschi, scendeva verso Alpicella e con una diramazione, verso le Faje.
Le pietre di questa antica strada, conservano i segni del passaggio delle stanghe delle lese, di chi, con un’andirivieni, dal bosco traeva sostegno per sè e per la sua famiglia.

In certi punti, si può scorgere il segno lasciato dalle “lese” che hanno consumato gli spigoli delle pietre del selciato.
Fu questa strada, per alcuni secoli, l’unica viabilità che oltrepassava il giogo appenninico.
In questa zona di transito obbligato, fu edificato un Monastero Benedettino dedicato a S.Giuseppe (cit.Mario Fenoglio “Antico Popolamento nell’Area del Beigua” 13-14 ottobre 1990 pag. 102), il simbolo dei suoi ruderi sono indicati, nelle cartine geografiche, sopra l’abitato dell’Alpicella, qui esiste una zona solatia, protetta dai venti settentrionali, da un’alta parete rocciosa denominata Rocche Raggiose.
Ma il cui vero nome dovrebbe essere Rocche de Giuse, in riferimento al sottostante Monastero dei Benedettini dedicato a S.Giuseppe

L’arrivo dei cristiani sul Monte Beigua è testimoniato sulle pietre, dove i precedenti simboli, incisi dai primi cacciatori/raccoglitori, furono trasformati in croci cristiane, da profondi solchi, fatti con forza, come a voler imporre una nuova devozione, sopra ai simboli di adorazione propri di quel grande popolo dei liguri.
Questi nuovi simboli, sono risalenti all’Alto Medioevo, quando il cristianesimo, raggiunse, con i suoi simboli, anche le zone più inaccessibili del Monte Beigua, specie nel periodo in cui i Longobardi, dominavano sulla Silva Urbis
I Monasteri costruiti lungo le strade dei pellegrini, delegazioni delle Abbazie, furono utilizzati nel corso dei secoli da diversi ordini monastici.
Nei link seguenti le diverse Abbazie, che molto verosimilmente, si alternarono nella conduzione del Monastero da Rocca dra Giuse.”
https://it.wikipedia.org/wiki/Giusvalla
https://it.wikipedia.org/wiki/Abbazia_di_Ferrania
https://it.wikipedia.org/wiki/Badia_di_Tiglieto
Ma le ultime notizie, tramandate, attribuiscono la mansione del Monastero all’Ordine Antoniano.
Questo ordine monastico, si diffuse in Piemonte e in Liguria sotto la protezione di papa Sisto IV il papa originario di Celle Ligure.
A questo link l’arrivo degli Antoniani, cristiani copti dall’Etiopia
https://www.treccani.it/enciclopedia/antoniani_%28Enciclopedia-Italiana%29/

Oggi in mancanza di notizie certe, dove fu edificato il Monastero, serve osservare attentamente i resti diruti di manufatti, anche quelli all’apparenza insignificanti presenti in un tratto pianeggiante, lungo quella importante Strà da Lese.

Tutto questo pianoro è protetto dai venti settentrionali, dall’alta parete rocciosa dra Rocca de Giuse.
I macigni, che sono precipitati dalla Rocca, avevano offerto in questo territorio, riparo, per i primi insediamenti umani, ma anche il materiale, per i primi manufatti in pietra.
Un’ampia zona, terrazzata bonificata e spianata, a lato della Strà da Lese, era destinata alle coltivazioni.
Gli innumerevoli muretti e cumuli di pietre, sono risulte di ampie bonifiche del terreno, effettuati in questa zona.
Un paio di avvallamenti, sembrano essere opere di scavo, forse utilizzati come riserva di neve o acqua.

Francesco Ratto, ha individuato, qualche tempo fa, la zona dove molto probabilmente era edificato il Monastero.
Dopo aver fatto, un ampio giro alla vista di numerosi manufatti, in questa zona a lato da Stra de Lese, Francesco, mi fa notare, in una zona solatia, sopraelevata, a ridosso di una piccola parete rocciosa, le basi di un’edificio diruto, da cui tramite la disposizione delle pietre rimaste se ne può dedurre la pianta. La discreta sezione dei muri di base, depone per un’edificio a un piano.

Una porzione di muro in pietra, ben conservato, presente nel vano più grande, formante un angolo retto, era probabilmente il luogo di culto dedicato a S. Antonio, ma in un altro periodo storico, verosimilmente, sarà stato consacrato a S. Michele
Chi pensava di arrivare al cospetto delle spoglie, di un grande edificio resterà deluso.

A differenza di tanti altri manufatti, ridotti a muggi de prie, perchè diruti a seguito di un prolungato stato di abbandono, qua siamo al cospetto di una vera e proprio spogliazione, un ratto di pietre, caricate con relativa facilità, sulle lese e destinate ad essere inglobate in altre abitazioni.

Ci fu un’accanito e indebito accaparramento, delle pietre provenienti da questo Monastero, pietre benedette che furono utilizzate, come buono auspicio nella costruzione di altre abitazioni.

Di questo primordiale luogo di culto, restano solo vaghe tracce, oggi le pietre di fondazione, demarcano la presenza di un’edificio con tre vani all’apparenza non comunicanti, è probabile che l’accesso al piano sopraelevato, era effettuato, con scale esterne, partendo da un piccolo rilievo roccioso facente funzione di parete nord del Monastero.

Qualche giorno dopo la prima esplorazione, con Francesco Canepa, abbiamo fatto alcuni rilievi. Un primo vano, ha dimensioni interne di sette metri per otto metri, in aderenza un altro vano con dimensioni più piccole, sette per tre metri e mezzo e infine il vano più grande, di forma rettangolare, con dimensioni sette metri di larghezza per undici metri di lunghezza.

Il vano piu gtrande, verosimilmente, poteva essere il luogo di preghiera, una cappella con l’abside, perfettamente orientata in direttrice est ovest, Versus Solem Orientem e curiosamente allineata al Monte Grippino.
Presso il Monastè dra Rocca de Giuse, sostavano i pellegrini, che intendevano raggiungere, tramite altre viabilità, oltre l’Appenino, la via Francigena in direzione di Roma.
La sua decadenza, come luogo di culto, avvenne intorno al secolo XIV, forse per penuria di monaci.
I pellegrini, potevano scegliere altre viabilità e il Monastero fu abbandonato. Dopo poco iniziò la spogliazione delle pietre, riusate per l’edificazione di nuove case.
Oggi di quel centro di religiosità e operosità dove i Monaci Antoniani vivevano seconde Le Regole, erigendo innumerevoli muretti di sostegno per creare terrazzamenti e recinti per animali trasformando completamente questo ampio territorio, restano solo miseri resti.
Questo post non è e non poteva essere esaustivo, delle vicende storiche che si sono susseguite in questo pianoro, in mancanza di notizie certe e documenti
Concordo con le conclusioni di chi mi ha accompagnato, queste pietre sono verosimilmente, i ruderi del Monastero.
Resta comunque il ragionevole dubbio, che sia proprio questo il posto, dove era edificato, quel luogo di culto e lavoro, serviranno altre verifiche e forse degli scavi per ampliare le nostre conoscenze di questo sito.
Voglio ringraziare chi mi ha accompagnato nelle escursioni.

Battista Perata e Francesco Ratto

Francesco Canepa
Ringrazio GB Ratto, papà di Francesco, per la sua sempre gentile disponibilità, a raccontare con dovizia di particolari, le vicende storiche della sua Alpicella.














































































































































