I Fratelli Accinelli e Piombo

Il 17 gennaio 1945, Piombo Mario, fu ucciso, nel campo di sterminio di Dachau, aveva 25 anni, stessa sorte subirono, il fratello Angelo, Antonio e Bartolomeo Accinelli, deportati e sterminati, perchè avevano rifiutato di indossare la divisa di un’esercito, che combatteva una folle guerra.

Monumento ai Deportati Cimitero di Varazze

Una tragedia dimenticata dalla nostra comunità, l’eccidio dei fratelli Accinelli e Piombo.

Chiesa di S.Caterina della Ruota alla Costa di Casanova

La chiesetta di S.Caterina della Ruota, alla Costa di Casanova, si trova al centro di un crocevia, tra la via Bianca, che saliscende dal Muntadò/Beato Jacopo e le due strade laterali, a destra verso la località de Liè, in direzione dell’Arzocco e a sinistra, verso la località de Canne, in vista da Giescia di Casanova.

I viandanti e gli escursionisti, prima di affrontare la parte finale, quella più ripida del percorso, con la salita del Muntadò, verso la chiesa del Beato Jacopo, giunti alla chiesetta di Santa Caterina della Ruota, sostano, anche solo per riprendere il fiato, al cospetto di questo luogo di preghiera e se alzano lo sguardo in alto, sotto la nicchia del Beato Jacopo, possono vedere una lapide, di pregevole fattura, posta dagli amici il 21 luglio del 1946, dove sono incisi i nomi dei fratelli Accinelli e Piombo.

Gli amici dei fratelli Accinelli e Piombo posero questa targa nei pressi del luogo dove furono prelevati i quattro fratelli, per essere poi deportati nel campo di sterminio di Dachau da dove nessuno di loro fece ritorno alle proprie case.

Questa lapide, è una Pietra di Inciampo, posta nel luogo, dove vivevano e dove sono stati prelevati quattro nostri concittadini, per essere deportati in un campo di sterminio, da dove non sarebbero più ritornati, un luogo della memoria, che ci fa pensare ad un triste periodo, vissuto dalla nostra comunità, reso ancor più struggente, dalle giovani età di quei quattro fratelli.

A questo link il perchè delle Pietre d’Inciampo: https://www.scuolaememoria.it/site/it/2021/10/01/le-pietre-dinciampo/?rit=lettura-contenuto

Furono 23.826 (22.204 uomini e 1.514 donne) gli italiani, che furono deportati nei lager nazisti.

Di questi 10.129 non tornarono più alle loro case.

La Via Bianca

All’alba del 24 aprile 1945, la via Bianca risuonava dei passi dei partigiani che scendevano dai loro rifugi, come concordato fra i vari distaccamenti, per convergere a Varazze dove i fascisti e i loro alleati, stavano tentando la fuga.

Erano finiti i rischi di quelle persone, che per superare i rigori dell’inverno, avevano ospitato, e avuto cura dei partigiani, renitenti alla leva e di quelli che avevano abbandonato la divisa, dopo l’8 settembre, nascosti in una cascina o casa di campagna, in un fienile, una cantina o in una di quelle intercapedini, ricavate nelle case contadine, che servivano per nascondere le riserve di cibo.

La guerra era finita, si doveva uscire, correre nelle strade, arrivare in città al suono delle campane e poi ritrovarsi in piazza, la sera del 24 aprile a far festa e lo fecero anche quelli sopravvissuti, nascosti, impauriti e terrorizzati dai rastrellamenti, specie quelli del novembre del 1944, che avevano decimato alcuni distaccamenti partigiani e catturato diversi renitenti alla leva, obbligati a salire su un vagone merci, con ignota destinazione.

 E di quelli che erano stati deportati, nei campi di lavoro in Germania, nessuna notizia, chissà dov’erano e quale era stata la loro sorte, la guerra era finita, ma nessuno di quei quattro giovani, di Casanova, ritornò a casa.

I loro nomi, sono incisi in quella lapide, sopra il portale della chiesa di S. Caterina della Ruota alla Costa di Casanova.

Erano i fratelli Accinelli, nati a Varazze, Antonio il 24 marzo del 1923, Bartolomeo il 14 dicembre 1924 e i fratelli Piombo, nati a Varazze, Mario il 30 maggio del 1920, Angelo il 17 maggio 1923.

Ventenni, quattro amici, chiamati alle armi, destinati a esser carne da macello, per una guerra già persa, almeno due anni prima, con le disfatte in Russia e in Africa.

Dopo l’8 settembre del 1943, la propaganda nazifascista incitava all’arruolamento per riprendere le armi contro i nemici della Patria, l’ordine ottenne l’effetto contrario, migliaia di giovani strapparono la cartolina precetto e si nascosero disperdendosi nel nostro entroterra, insieme a chi l’uniforme l’aveva abbandonata dopo l’8 settembre.

Dopo l’armistizio ci fu l’illusione che la guerra fosse finita, i militari italiani, furono messi di fronte all’alternativa prigionia/lavoro forzato o l’adesione alla r.s.i. la repubblica sociale italiana, per combattere fino alla morte, a fianco dell’alleato tedesco.

Solo il 15% di loro, accettò di riprendere le armi, ma questa loro scelta, fu dettata solo per non patire fame, freddo, botte e sevizie nei campi di prigionia, gli IMI Internati Militari Italiani, non avevano lo status di prigionieri di guerra e quindi privati di ogni tipo di aiuto.

Ricercati, perché renitenti di leva o disertori, da un folle regime che cercava altra carne da macello, per compiacere i camerati tedeschi, giovani vite, prossimi cadaveri, scelti non a caso, tra i contadini, nei paesi del nostro entroterra, brava gente già avvezza a patimenti e di buon comando.

La nostra città, già rinomata stazione turistica e balneare, durante la seconda guerra mondiale, ospitava alti gradi dell’esercito tedesco e del regio esercito; nell’ottobre del 1943 fece tappa a Varazze, il feldmaresciallo Rommel in visita al Vallo Ligure.

Oggi di quel periodo, abbiamo molte testimonianze fotografiche, di marce con fez e moschetto, cerimonie pubbliche e sfarzose feste al Grand Hotel.

L’ordine pubblico doveva essere mantenuto ad ogni costo, tramite diverse guarnigioni dislocate in diversi punti della città, nulla doveva turbare i gerarchi fascisti e alti ufficiali tedeschi in licenza nella nostra città.

A Varazze, come in altre città italiane fu largamente favorita la pratica della delazione, in un contesto di paure, ricatti e fame

Ma c’era anche chi, per invidia, vendetta e malvagità, riferiva ai comandi fascisti gli improperi, pronunciati in privato, dei suoi concittadini, verso il regime fascista, o chi era stato visto a strappare un manifesto di propaganda.

Era un efficace metodo di terrore, per mantenere sotto controllo le città.

Per un paio di scarpe o del cibo si poteva tradire anche degli amici d’infanzia

Una brutta pagina, di quei terribili anni, emerge, conoscendo la storia di quei nomi incisi nella lapide, sopra l’entrata della chiesa di S. Caterina della Ruota.

Fu la moglie di un carabiniere, trattenuto in stato di fermo dai tedeschi in Germania, sfollata e ospitata in una casa, alla Costa di Casanova, che barattò la liberazione del marito, rivelando il luogo, dove potevano essere facilmente catturati, alcuni di quei giovani, sfuggiti alla chiamata del duce.

Questa circostanza è confermata dai racconti di Benito e Gianni Piombo, nipoti di Piombo Angelo e Piombo Mario e di Giovanni Pastorino, figlio di Grossi Maria nipote di Accinelli Antonio e Bartolomeo

Imprudentemente, i quattro amici insieme ad altri renitenti di leva, che di giorno, si nascondevano in ta Costa de Casanova e nei dintorni delle loro abitazioni, in ta Canà e in te Liè, si mostrarono in pubblico e furono riconosciuti, da qualcheduno, fra quelli che erano accorsi numerosi, ai primi di giugno del 1944, sulle alture della nostra città, a guardare il triste spettacolo, di un bombardamento notturno su Genova.

La casa e le fasce della Famiglia Piombo in località Canà

Per aiutare genitori e fratelli, quando faceva buio, i fratelli Accinelli e Piombo, erano a zappare o a far altri lavori, nei loro campi coltivati o presso le loro abitazioni.

Anche quella notte di luglio, i fratelli, lavoravano veloci e con forza, in quel campo a cavar patate e non si accorsero, di quelle ombre silenziose, che stavano sopraggiungendo.

 E quando una luce illuminò i loro volti, sudati, era troppo tardi per fuggire dalla loro sorte.

Da ricerche storiche il 22 luglio del 1944, operò a Varazze a scopo repressivo un reparto di bersaglieri che arrestò sei persone.

I militari italiani, quel 22 luglio del 1944 per favorire l’arresto di alcuni ricercati, avevano tagliato le linee telefoniche e interrotto l’energia elettrica di Varazze.

I bersaglieri, quella notte arrestarono sei persone, quattro di loro verosimilmente potevano essere i fratelli Accinelli e Piombo.

Le Colonie Bergamasche nella seconda guerra mondiale furono requisite dai fascisti e adibite a centro di raccolta e di smistamento prigionieri politici e renitenti di leva

Tradotti nel carcere di Savona, gli fu fatto un sommario processo, poi inviati al di centro di prigionia e di smistamento delle Colonie Bergamasche.

La stazione ferroviaria delle Bergamasche da cui sono partiti, per i campi di prigionia, molti nostri concittadini, insieme ad antifascisti e renitenti di leva della provincia di Savona è un Luogo della Memoria e a tale scopo doveva essere adibito. Ma la nostra comunità non ha saputo o voluto preservarne il ricordo.

In attesa del treno, con destinazione il campo di sterminio, di Dachau in Baviera.

Da quella tragica notte, iniziò un calvario, un immenso dolore, per quelle due famiglie di contadini in quelle case di contadini in ta Canà e in te Liè.

Dove avevano portato i quattro fratelli? Erano giovani, appena ventenni, non avevano mai fatto male a nessuno. E con quest’ultima convinzione, in quelle case della Costa de Casanova, attesero con speranza, il ritorno di un figlio, un fratello, un amico.

Fu una straziante attesa, poi arrivò la notizia della morte dei loro cari, da chi fece ritorno a casa, un’ anno, dopo il termine della guerra.

Chi era riuscito a sopravvivere nell’inferno di Dachau, raccontò di Accinelli Antonio, morto di stenti e del fratello Bartolomeo, freddamente eliminato, per aver chiesto ad alta voce dove era il fratello.

Ma la storia di chi resta, in una casa vuota, ma piena di dolore, era sempre la stessa, uguale a tante altre tragedie dimenticate, o mai conosciute.

La mancanza di un corpo da riconoscere, di una tomba dove pregare o mettere un fiore, sosteneva quel filo di speranza, di rivedere ancora in vita, un proprio caro, e questo alleviava un po’ la sofferenza da quel dolore straziante.

 L’attesa durò per tutta la loro vita, quei genitori non si rassegnarono mai e aspettarono per anni, di veder arrivare, almeno uno di quei figli, trascinati via dalla loro terra una notte d’estate.

Cinicamente eliminati a pochi giorni dalla fine della guerra, da zelanti esecutori di stermini di massa.

Ritroviamo i loro nomi, fra le migliaia di nostri connazionali, sepolti nei cimiteri militari italiani in Germania, Austria e Polonia effettuando la ricerca su

Dimenticati di Stato al seguente link: https://dimenticatidistato.com

Accinelli Antonio matricola Dachau 113138 morto il 29 gennaio 1945

Accinelli Bartolomeo matricola Dachau 113137 morto il 14 marzo 1945

Piombo Angelo matricola Dachau 113460 morto il 17 marzo 1945

Piombo Mario matricola Dachau 113459 morto il 17 gennaio 1945.

La loro morte è registrata nella città bavarese di Muhldorf dove era il campo di lavoro e sterminio di Dachau.

Nei pressi del campo di prigionia, c’era un grande bunker, dove lavoravano i deportati ad assemblare, gli aerei Messerschmitt

Una tragedia dimenticata dalla nostra comunità: l’eccidio dei fratelli Accinelli e Piombo.

Il fratello maggiore Piombo Giuseppe, quando fece ritorno a casa, dopo cinque anni di guerra, pianse di rabbia, per essere stato soldato nell’esercito di quel sanguinario regime, che gli aveva trucidato i fratelli.

Giurò vendetta, cercando invano di rintracciare quella donna, dai capelli rossi e l’accento toscano, che li aveva traditi e che si era dileguata.

Forse per stemperare la rabbia di quei giorni, si diceva che neppure lei, era riuscita a salvare il marito, vittima dell’odio dei tedeschi contro i militari italiani.

A Ca de Liè la casa natale dei fratelli Accinelli

Visitando il rudere, da Ca de Liè, la casa natale dei fratelli Accinelli, mi sono soffermato a guardar quei muri diroccati, ho cercato e trovato i segni, gli oggetti, che ha lasciato, chi lì aveva vissuto

A Ca de Liè

La delazione fu una vergogna nazionale.

I delatori, esseri ignobili, fecero pervenire, al podestà di Varazze, durante i 18 mesi di guerra civile, un corposo carteggio, dei loro concittadini, spiati nelle loro mosse o ascoltati di nascosto.

Era la primavera del ‘45 la guerra era definitivamente persa, i nazifascisti organizzavano le vie di fuga, gli alleati, si avvicinavano ogni giorno di più.

Forse per garantirsi il perdono divino e terreno, il comandante del distaccamento tedesco, si recò dal parroco di Varazze, facendogli vedere quell’elenco di nomi, il frutto dello sporco lavoro dei delatori, nomi di donne e uomini, che erano stati consegnati ai tedeschi dai compiacenti fascisti, per essere fucilati o inviati, in un campo di internamento.

Faceva ancora freddo e la piccola stufetta della sacrestia, era bella calda, il prete prese quei fogli, dalle mani del tedesco, guardò per un attimo quell’elenco, aprì il coperchio della stufetta, lunghe lingue di fuoco, avvolsero quei fogli di carta.

Furono così distrutte tutte quelle ignobili delazioni, ma anche le prove di quell’ignominia, nessuno indagò su chi avesse compiuto quei delitti.

I nomi dei fratelli Accinelli e Piombo sono incisi nelle Pietre d’Inciampo in piazza Nello Bovani, insieme ad altri nostri concittadini, altri dieci nomi.

Dieci altre persone, di cui conosciamo solo i nomi e due scarne datazioni

Faccio un appello, rivolto ai famigliari e conoscenti dei deportati a chi può avere anche solo qualche notizia o un racconto, tramandato dai nostri vecchi, per conoscere qualcosa della vita di questi nostri concittadini, che aiuti la nostra comunità a mantenere vivo il ricordo, di chi molti anni fa fu travolto dalla cieca furia di una dittatura sanguinaria.

Dove hanno vissuto? Che lavoro facevano? Erano giovani, veterani di guerra, erano antifascisti, disertori, renitenti di leva? Catturati durante un rastrellamento? A seguito di una delazione? Durante una riunione di antifascisti? Catturati perchè visti strappar manifesti di propaganda fascista, a scrivere sui muri a parlar male del duce o che altro?

Fu un periodo oscuro e di terrore, non ci si poteva fidar di nessuno, si era denunciati e arrestati, anche per cose di poco conto, come strappare un manifesto o esprimere un’opinione contraria al regime, e se nessuno di potere, interveniva per intercedere e chiedere il rilascio, si era destinati ad un campo di lavoro, dove la differenza fra la vita e la morte, era la disperata volontà di sopravvivere.

Elenco nomi presenti nelle Pietre d’Inciampo in p.zza Nello Bovani:

ACCINELLI ANTONIO 1923 1945 DACHAU

ACCINELLI BARTOLOMEO 1924 1945 DACHAU

BERNARDIS AGOSTINO 1925 1944 HERSBRUCK

CANALE LIVIO 1893 1945 MATHAUSEN

CERRUTI ARMANDO 1923 1945 HERSBRUK

CERRUTI PIETRO GIO BATTA 1921 1945 GERMANIA

DELFINO ANTONIO 1908 1944 OBERSUE

ISETTA GIOVANNI 1918 1944 DORTMUND

KOFFLER LODOVICO 1891 1944 UBERLINGEN

LEGHISSA LUCIO 1922 1945 MUCHEIM

PIOMBO MARIO 1920 1945 DACHAU

PIOMBO ANGELO 1924 1945 DACHAU

PIGOZZI LUIGI 1921 1945 BESSARABIA

SALVIATI GIO BATTA 1912 1943 NUEBHSCDORF

Nella lapide del Monumento ai Deportati nel cimitero di Varazze sono presenti altri nomi, non riportati nelle Pietre di Inciampo in piazza Nello Bovani.

CALEFFI DARIO 1915 1944 GERMANIA

CRAVIOTTO GEROLAMO 1912 1944 STADTKRANKENHAUS

ISETTA MICHELE 1913 1944 INCOLSBEIM

Ringrazio per la stesura di questo resoconto, Benito e Gianni Piombo, Giovanni Pastorino e Piera Bernardis . Cenni Storici Fulvio Sasso.

foto b/n Archivio Storico Varagine  

Ma quante Giesce!

Non sarà sufficiente un libro, anzi dei volumi, per parlare compiutamente delle oltre quaranta chiese, presenti, sul territorio del nostro comune.

E alua per adattarlo al formato social, ho fatto solo un elenco, dei luoghi di culto, della nostra città, con qualche loro peculiarità, e qualche cenno storico, le descrizioni, la storia ecc. sono incomplete per ovvie ragioni di tempo di lettura.

Le chiese sono poste in sequenza per effettuare un ipotetico percorso turistico/ religioso.

Di alcune chiese non ho trovato foto d’epoca in b/n

La quantità di chiese, cappellette, edicole votive e i caratteristici nicci dell’entroterra (il più famoso il Nicciu du Bruxin è crollato circa un’anno fa) è indubbiamente una prerogativa unica della nostra citta,’ non penso esista in Liguria, ma forse in tutta Italia, un’altra città così santificata, dalla presenza di luoghi di culto e con un rapporto così elevato, di chiese/residenti.

Ho inserito in questo elenco, anche tre edifici religiosi, forse appartenenti alla categoria delle cappellette, ma con grandi storie, fatte di lavoro e di devozione, luoghi di preghiera, inseriti in mezzo alla natura dei nostri boschi, con dei panorami incredibili, struggenti in ogni stagione!

In questo elenco, che non ha la pretesa di essere assoluto, ma suscettibile di qualsiasi suggerimento e modifica è opportuno considerare, a mio parere, anche i luoghi di preghiera, presenti all’interno dei grandi edifici di proprietà della chiesa, attivi nel sociale privato, quali la RSA La Villa, l’Asilo Guastavino, e le residenze, La Provvidenza e Canossiane.

Versus Solem Orientem, come per i pagani, anche per i cristiani, la rinascita e la salvezza, erano verso est, dove sorge il sole e la gran parte delle nostre chiese, hanno l’abside orientato verso est.

A partire dalla medievale chiesa di S.Ambrogio, di cui rimane solo il bel portale, inglobato nelle vecchie mura, sulla collina di Tasca.

Sono quattro le chiese edificate a S.Ambrosis, i resti delle prime, sono fagocitate nella cerchia delle vecchie mura, una terza aveva l’abside rivolta ad est ed era molto bella, in stile romanico a tre campate di questo edificio di culto resta il bel Campanin Russu.

La più significativa testimonianza storica della città, con i resti della torre e della cinta muraria di Tasca, è preclusa alla cittadinanza, perché facente parte di una proprietà parrocchiale.

Si parte con l’antica chiesa di S. GIACOMO IN LATRONORIO, bella con le sue pietre e mattoni faccia a vista, in stile romanico, inserita in un contesto di ville gentilizie e giardini fioriti.

C’è anche la versione femminile S. MARIA IN LATRONORIO, famosa per il singolare crocifisso bifronte e la sua storia, che si trova all’interno del comprensorio, una meraviglia naturalistica, con il Castello dei Marchesi d’Invrea a picco sul blu del mare.

All’ingresso della residenza FATE BENE FRATELLI, nei pressi del casello autostradale, c’è una chiesetta, che accoglie le persone anziane e non, che si possono permettere, finanziariamente, un soggiorno in questa struttura.

Molto partecipati, sono i matrimoni, qui celebrati, con la possibilità di ottimi scenari, per i servizi fotografici, nello stupendo parco della residenza.

Si arriva a Varazze e qui si trova la chiesa a cui è più affezionata la cittadinanza, quella di S.CATERINA, che fu costruita, quando i nostri avi, si ricordarono del voto fatto alla Santa, da quel giorno, ogni anno i fedeli partecipano alla processione, il 30 aprile, per sciogliere il voto di ringraziamento fatto per il debello della peste dalla città.

Poco distante, la chiesa a strisce di S.DOMENICO, con la palla, sparata da un cannone di una nave inglese, o dai francesi dal Monte Croce, durante una battaglia della seconda campagna d’Italia di Napoleone, infissa nella facciata.

Da qui si parte, per una bella escursione sul Monte Grosso, dove si può ammirare, il più bel panorama della città, dal sagrato della chiesa della MADONNA DELLA GUARDIA, qui sono custodite le salme di alcuni componenti, della famiglia Centurione d’Invrea.

Lì vicino anche la cappella votiva, sempre dedicata alla MADONNA.

Ritorniamo nel centro urbano, per la chiesa di S.BARTOLOMEO, con la sua bella statua lignea del Maragliano, portata in processione il 24 agosto, la festa che celebra la fine dell’estate e dove i miscredenti, vedono, nella raffigurazione del martirio del santo, il bagnante milanese tartassato.

Sul “ponte” l’oratorio dell’ASSUNTA contornata dalle vecchie mura.

Lì vicino, la salita dei frati dove si trova la chiesa dei FRATI CAPPUCINI dedicata a S.Francesco d’Assisi.

Nell’Oratorio Salesiano la sala di preghiera a S GIOVANNI BOSCO.

Completiamo le chiese del centro città, con la chiesa Colleggiata di S.AMBROGIO la parrocchiale di Varazze, superfluo parlare di questa ricchissima chiesa, con pregevoli opere d’arte e con la sua bellissima piazza, fatta con il rissou de prie de mo.

Lì vicino l’oratorio di S. GIUSEPPE, queste sono le uniche due chiese, per motivi urbanistici e di spazi, con versus occidentem.

Ma forse la più bella piazza, sempre con il rissou de prie è quella della chiesa di S. NAZARIO E SAURO nell’omonimo quartiere.

Andemmu Sciù da Teiro dove sorge la chiesa di S.MARIA IN BETHLEM dell’omonimo ex ospedale cittadino, in ricordo di questo, è rimasto solo un numero il 675 sul codice fiscale, di chi è nato e poi battezzato in questa chiesa di Varazze. Dall’atrio dell’Ospedale sono stati sfrattati i busti dei benefattori che avevano donato alla nostra città questo grande e ancora integro luogo di cura. Una città Varazze che non ha onorato la loro volontà e la loro memoria, svendendo questa struttura a dei privati.

Sopra un colle, nel Parasio, troviamo la chiesa più antica della città, S.DONATO già S. Michele costruita sopra un’antica pieve romana, dove è possibile ammirare, una rarità, quello della presenza di simboli bizantini nelle mura di sostegno da qui passava la strada che conduceva al porto romano di Ad Navalia che era ai piedi del colle.

Si sale verso la frazione Casanova, all’inizio c è la piccola borgata di S.Pietro con l’omonima chiesetta di S.PIETRO.

Nella località Costa troviamo la chiesa di S. CATERINA DELLE RUOTE dove è infissa una lapide che commemora, i quattro fratelli Accinelli e Piombo deportati e uccisi a Dachau.

Si arriva nella piazza di Casanova, con la CHIESA DELLA NATIVITA DI MARIA’ e lì vicino l’oratorio della S. CROCE. Da vedere a Natale il grande presepe vivente.

Seguendo la via Bianca si arriva alla chiesa rurale, dedicata al BEATO JACOPO DA VARAGINE forse costruita, prelevando le pietre, dall’antica via romana l’Emilia Scauri il cui tragitto dopo aver oltrepassato diverse colline proveniente da Hasta,Sciarborasca qui con un crocevia, scendeva verso il mare e verso Campomarzio.

Ultima arrivata in questo elenco è la diruta e dichiarata pericolante, ma dall’aspetto ancora imponente, chiesa privata della MADONNA DELLA GUARDIA di Casanova, con la sua storia e la singolare pianta a sezione esagonale, si trova in località Torazza, un paio di curve oltrepassata la piazza della chiesa di Casanova.

Su un’ altura nei pressi della Ramognina, c’e’ uno dei più spettacolari panorami, ed è quello che si può ammirare dalla chiesa privata di CRISTO RE orientata a nord, ma dove la vista spazia sull’azzurro del mare e il verde dei boschi, costruita per sciogliere un voto, sconsacrata ormai ridotta ad un rudere, ma degna per la sua storia di essere annoverata nei luoghi di culto di Varazze.

Si scende dalle Muggine per incontrare la CHIESA DEI GAGGINI dedicata alla Madonna degli Angeli. famosa per la sua fonte e la sua storia, legata a Giovanni Gaggino, il quale aveva lasciato un ingente eredità, non onorata, al comune di Varazze, per costruire proprio qua, uno stabilimento termale.

Nella vecchia chiesa di S. LORENZO nei pressi della località di Campomarzio, dove sono state scoperte alcune tumulazioni di epoca romana.

Al Pero ci sono due chiese dedicate alla SANTISSIMA ANNUNCIAZIONE, la vecchia chiesa, che si pensava pericolante e infestata dai fantasmi è ancora lì imponente e molto più rappresentativa, di questa comunità, rispetto alla discutibile architettura della chiesa nuova. Il campanile della vecchia chiesa, ha da raccontare una storia esilarante.

Ricordiamo a circa metà strada verso il centro, la chiesetta di S.ANNA, famosa per il suo presepe. Li vicino nell’alveo del Teiro un piccolo rudere, la casa rossa, ci ricorda l’eccidio del partigiano Emilio Vecchia ucciso a vent’anni e il cui corpo fu lasciato legato ad un’albero.

Saliamo in quota con la chiesa di S.ANTONIO all’Alpicella con i quattro altari provenienti dalla vecchia chiesa di S.Lorenzo di Genova.

Le modalità organizzative per la costruzione di questa imponente chiesa può dare una spiegazione, del come sono state costruite tante chiese, nel nostro territorio. La parrocchia fu divisa in quattro cantoni, ognuno dei quali doveva contribuire con risorse proprie, all’edificazione della chiesa e il lavoro era scandito dal suono della campana.

Da Bin, la colorata chiesa anche lei dedicata alla MADONNA DEGLI ANGELI restaurata dagli abitanti di questa località.

Alle Faje, la chiesa di NOSTRA SIGNORA DELLE GRAZIE con il suo singolare porticato.

Nel fondo valle dell’Arrestra, biancheggia in lontananza, il Convento dell’Eremo del Deserto, con la chiesa dedicata a S.GIUSEPPE a seguito di un pio lascito, negli anni 80 è stato completamenterestaurato, non così è stato per i suoi romitori, solo uno è ancora eretto, in queste casupole vivevano in solitudine i novizi, che avevano come unico collegamento con l’eremo, una campana da suonare per ogni evenienza.

Sulla cima del Monte Beigua il SANTUARIO DELLA REGINA PACIS, da qui nelle fredde e serene, mattine invernali lo sguardo spazia su tutto l’arco della regione e da dove in caso di neve arrivano fantastiche foto di paesaggi invernali.

Scendendo dal Beigua si scorge al Bricco delle Forche o BRICCO DON BOSCO l’omonima chiesa dedicata al santo

Nella località Vignolo sulle alture di Cantalupo, al cospetto di un’ altro stupendo panorama, c’è un’altra chiesa dedicata a S.ANNA.

Ciesa di San Giovanni Battista a Cantalupo

Nella piazza di Cantalupo la chiesa di S.GIOVANNI, i ciaulè di Cantalupo, sono da sempre rivali, con i ravanetti di Castagnabuona e si dice, che siano invidiosi delle tre chiese, di cui si fregia la borgata rivale, con la chiesa del SANTUARIO DI NOSTRA SIGNORA DELLA CROCE, teatro di una delle tante battaglie napoleoniche, trasformata in ospedale dai francesi, fu sconsacrata e poi riabilitata agli onori religiosi.

Qui una croce ricorda il passaggio del papa Innocenzo IV e a seguito di questo evento storico, fu costruita una prima chiesa della MADONNA DELLA CROCE oggi trasformata nella sacrestia del santuario. Sull’altare il discusso gruppo marmoreo del conterraneo Michele Ramognino.

Si scende verso SAN ROCCO, dove durante la battaglia napoleonica che insanguinò per due giorni questa località il generale Massena ribattezzò la frazione con il nome di Castagnamarcia, perché gli abitanti, avevano avvisato gli austriaci, suonando la campana, della presenza dei francesi.

Si scende e nella località dei Favari dove sotto la strada c’è la chiesa di S.BERNARDO.

Finita la conta delle chiese, di culto cristiano, nella nostra città, è da annoverare nei luoghi di preghiera la SALA DEL REGNO DEI TESTIMONI DI GEOVA in via Piave.

Nell’ elenco delle chiese segnalo anche le cappellette, di discrete dimensioni, di S.SEBASTIANO alla Costa di Casanova, S.BERNARDO al Fossello la CROCETTA di Cantalupo, quella di S.ANNA sopra l’abitato di Alpicella e la cappelletta dedicata a GESÙ BAMBINO DI PRAGA in località Castè sempre all’Alpicella.

Poi sparsi per tutto il territorio della città di Varazze, ci sono inumerevoli nicci, edicole votive, purtroppo la maggior parte depredate della statuetta.

Sul monte Beigua la maestosa Croce.

Chissà chi erano quelle persone, non a caso divise, in cantoni, rioni, borgate, famiglie, che negli anni hanno scavato, trasportato pietre, calce, mattoni, legni, fatto le impalcature, impastato, spaccato pietre, tagliato marmi e con la perizia e fatica del loro lavoro.

Chi ha edificato, materialmente, questi luoghi di culto?

Quasi sempre, senza alcun compenso, nei giorni di festa, dopo una settimana di lavoro nei campi, nei boschi o in un cantiere, in segno di una devozione di un profondo legame con la propria contrada, località o frazione.

Ma tutto questo immane lavoro, fatto dai nostri avi, non è servito come monito, incentivo o da sprone, alla proprietà di questi beni, per conservare chiese cappellette e altri manufatti, oramai ridotti a ruderi o in procinto di esserlo.

Molti altri sono in attesa di qualche intervento che ne preservi la stabilità.

La conta ( provvisoria ?) di chiese e luoghi di preghiera è di 47. L’elenco supera le 50 unità se si considerano anche altri luoghi di culto, distrutti durante bombardamenti, esondazioni, demolizioni e chiese inglobate in abitazioni.

foto dal web e da Archivio Fotografico Varagine

A Giescia de Cristu Re

Non è stato semplice, trovare la Chiesa di Cristo Re, conoscevo l’esistenza, ma non avevo mai visto, questa chiesetta, alle pendici del Bricco della Forca (472 m), che si erge nei pressi delle Lenche’ “da e Prie de Lima *” (la zona è quella soprastante la Ramognina)

*L’idioma dialettale Limma in dialetto volgare, è riferito alla ruggine limma limaggiu, limagia rausia (arruginita) e può essere riferito alla colorazione particolare di alcune pietre, qui presenti, contenenti del minerale di ferro, che le colora di marrone scuro, ma anche lime una storpiatura dialettale che significa lume, lucerna.

Muggiu de Prie e un crocifisso sulla cima du Briccu da Furca

Il toponimo Bricco della Forca, è similare a quello del più famoso Bricco Don Bosco, u Briccu de Furche, anche questa altura, in posizione strategica, domina dall’alto, un’antica viabilità romana, che dal passo di Leicanà, scendeva verso Campomarzio e intersecava due vie da lese, traini animali per il trasporto di materiale.

Due importanti crocevia, da dove transitava buona parte del legname che arrivava ai cantieri navali di Varagine, è verosimile pensare, che a monito della povera gente e per i malviventi, anche in questo luogo, vi fosse permanentemente posizionato un patibolo.

Nella ricerca da gescia, ho sbagliato più volte direzione, sono passato molto vicino, alla costruzione, che stavo cercando, ma era celata alla vista dalla vegetazione, che su questi monti è del tipo sempreverde, molto fitta e con estese colonizzazioni de ruvei, rovi.

Ma di necessità virtù, cercando la chiesa ho visto altre cose, su queste alture, qui ci sono notevoli tracce di antiche frequentazioni umane, diversi muggi de prie, la risulta di bonifiche, per pascolo e taglio erba, muretti, diverse le zone umide, alcuni canali di scolo, che riempivano nel periodo delle piogge, un piccolo laghetto, poi in tempi più recenti, durante l’ultimo conflitto mondiale, anche scavi di trincee, postazioni per armi da fuoco e un ampio rifugio, scavato nella roccia.

Queste opere militari, della seconda guerra mondiale, facevano parte di un’accurata strategia, da mettere in atto, in caso di ritirata delle truppe nazifasciste dai presidi costieri.

Per fortuna è zona di transito dei biker, che mantengono viva l’impronta dei sentieri ( ma perchè non usare i toponimi locali per indicare le direzioni?) e poi ci sono le piste degli animali selvatici, che anche in questo caso, mi sono servite, per districarmi tra la vegetazione e arrivare allo spiazzo, dove sorge la chiesetta.

Non esiste più alcuna strada o sentiero in questa zona, tutto è stato inglobato dalle eriche, rovi, pungitopo e qualche pianta di mirto, avevo quasi deciso di abbandonare le ricerche, ma un ultimo tentativo, è stato quello risolutivo, andato a buon fine.

Eccola la Chiesa di Cristo Re!

Costruita da Fazio Lazzaro e dalla sua famiglia, detta dei Furtuin, negli anni 20 del secolo scorso, come ringraziamento per il ritorno, dopo anni di emigrazione in America, di un loro congiunto.

E’ evidente la devozione religiosa, con il ringraziamento fatto, tramite lo scioglimento di un voto, erigendo, non una cappelletta, un edicola votiva ecc. ma una vera e propria chiesa ! E’ la chiesa di Cristo Re la cui ricorrenza è il 20 novembre.

Una P.G.R. per quale motivo? Una grazia ricevuta, uno scampato pericolo o un buon esito lavorativo? Ma forse, non serve sapere altro, sono motivazioni personali, affettive, di devozione quelle che hanno eretto questa chiesa.

Lo sguardo spazia, verso un impagabile panorama verso la nostra città, Varazze, da cui arrivano attutiti, i rumori delle attività umane, poi l’azzurro del mare e le montagne imbiancate che fanno da cornice in questo luogo, procurano una bella sensazione di pace al sottoscritto…..anche perché è stata molto tribolata la ricerca della chiesa!

Ammiro sempre i manufatti in pietra, penso al lavoro alla fatica e ogni pietra, passata più volte nelle mani di un uomo, chissà chi erano quelle persone che in questa zona, così impervia acclive, hanno edificato questa pregevole opera?

Osservo i particolari, la scelta delle pietre e poi i riempimenti degli spazi vuoti, perché tutto serve a dare stabilità, anche in questo caso forse le pietre erano di recupero da qualche muggio de prie, che abbondano in questa area, ed è evidente la perizia di chi ha effettuato questo lavoro con la parete curvata dell’abside e poi quella copertura in cemento armato, in parte crollata, l’esito non riuscito, di stabilizzare la struttura, con i lavori effettuati negli anni 80, quando la costruzione fu oggetto di lavori di manutenzione commissionati dal dott. Massone.

Oggi lo stato di conservazione, lo si evince dalle foto, ha bisogno di un urgente intervento di consolidamento e ricostruzione, basterebbe anche solo stabilizzare lo stato attuale, forse si è ancora in tempo per evitare la completa distruzione di questo incomparabile manufatto.

Siamo nelle vicinanze della discarica, dove stormi di gabbiani, stanno arrivando per il pranzo, con l’andirivieni degli autocarri come sottofondo,.

Anche au Briccu da Furca c’è la presenza della plastica, qui trasportata dal vento e rimasta impigliata nella vegetazione.

Troppo facile, riduttivo e banale, incolpare la vicina discarica, siamo noi cittadini/consumatori, tutti colpevoli, con il nostro eccessivo uso, spesso non necessario di questo polimero, che dovrebbe, essere conferito nella differenziata.

Sconsiglio vivamente, l’avventura fuori dai sentieri, difficile districarsi, fra la vegetazione cresciuta spontanea visto anche la notevole presenza di rovi.

Come segnavia, per ritrovare la chiesetta, si può, con buona approssimazione avere come riferimento il traliccio lato ovest, della linea elettrica, dell’ex Cotonificio, a 50 metri in direzione mare si trova la Chiesa di Cristo Re.

Anche se decaduta, sconsacrata, abbandonata e oramai rudere, la voglio annoverare tra le chiese del territorio di Varazze.

U Briccu de Furche

La vetta du Bricco de Furche, 450 m, ha il singolare compito di demarcare il confine, fra tre comuni, Vase, Selle e Steia

E’ conosciuto, anche come bricco Don Bosco, per la presenza in vetta di una chiesetta, dedicata al santo.

Inaugurata nel 1954 con una solenne processione, che porto’ la statua del santo sulla cima di questo monte, che puo’ essere raggiunta con una strada carrabile, oggi molto dissestata.

Ogni anno, nel mese di giugno, si svolge la tradizionale” giornata al bricco”.

Nell’Archivio Fotografico Varagine, si possono trovare numerose foto storiche, di alcune di queste feste, datate anni 50/60.

Il termine “forche” incute un certo timore, sarà per la particolare forma di questo bricco, con due rilievi separati da un’avvallamento, a simboleggiare una forca, un valico? E’ questa la causale del toponimo Bricco delle Forche?

Forse il suo nome ha un’altra origine……

Forche: “Patibolo sul quale vengono eseguite impiccagioni (in questo senso, un tempo fu più usato il plurale forche, con lo stesso significato. del singolare), formato da due pali di legno fissati verticalmente al terreno e congiunti in alto da un legno orizzontale a cui è assicurato il capestro” (Vocabolario Trecani)

Un’altro bricco del circondario, ha questo toponimo, che si ritrova in altri comuni della nostra regione e anche d’Italia

Molte stampe antiche, di città europee, mostrano come deterrente, una forca permanente, eretta su una collina , o più comunemente vicino al castello o altro posto di giustizia, e a seguito di una condanna, i malcapitati, erano lasciati a penzolare per giorni, appesi al cappio. 

U Briccu de Furche, nell’Alto Medioevo, vista la sua posizione dominante, sulla valle du Maegua e ben visibile da lontano, era verosimilmente, luogo, di esecuzioni capitali

La via Emilia Scauri au Maegua

Probabilmente i corpi degli impiccati, erano lasciati sul patibolo, come monito alla gente del posto e ai briganti, che imperversavano in questo territorio, compiendo rapine e omicidi, rendendo insicure le strade, specie la via Emiia Scauri, l’antica viabilità, ancora utilizzata per gli spostamenti da e verso l’entroterra.

La strada romana, parallela au Maegua, saliva alla località Verne, dove in un crocevia, che segnava il confine di Varagine, vi era una stazione di posta e forse un dazio.

La strada poi proseguiva verso S.Martino.

Le giornate invernali, come quella odierna, con sole e assenza di vento, sono ideali per fare dell’escursionismo, ma mai da soli, nel nostro entroterra.

L’assenza della massa vegetale, dovuta al riposo stagionale, ci permette di osservare e notare molti particolari, decisamente preclusi in altri periodi dell’anno.

Girovagando intorno al Bricco, si notano discrete tracce, di probabili antichi insediamenti umani, alcuni “muggi de prie” forse dei castellari diruti, altre pietre, si trovano sparse nei pressi di quello che poteva essere un riparo sotto roccia.

La presenza di questi manufatti in pietra, rafforzano l’ipotesi, di un’ antico interesse dei nostri antenati, per questo luogo, da cui si gode un bel panorama sulle vallate sotostanti.

E’ probabile, che la scelta di erigere qui la chiesetta a Don Bosco, abbia seguito gli stessi criteri di un’antica civiltà, che si era insediata in questa zona, per avere un buon punto di osservazione, in una posizione dominante.

Questa civiltà primordiale , avrà costruito qui, dei primitivi ripari e chissà, forse ammaliata da questo spettacolare panorama, avrà eretto anche i suoi simboli religiosi, pietre fitte, menhir o un piccolo tempio, con un altare magari per officiare dei sacrifici .

Furono innumerevoli, le testimonianze storiche, distrutte con l’arrivo del Cristianesimo, a partire dal 400 DC, la furia degli adepti, della nuova religione si impose in tutto il continente, smantellando sistematicamente, ogni manufatto adibito ad altri culti.

Cappella di S.Anna (Alpicella) eretta in prossimità di un antico luogo di culto

Possiamo affermare, con quasi assoluta certezza, che chiese, cappelle, edicole votive, che si trovano erette sopra una cima o in un luogo particolarmente suggestivo, affondano i loro basamenti su vestigia di origine pagana o di altre primitive religioni.

Innumerevoli alberi secchi, giacciono abbattuti, sono la risulta degl incendi, che hanno devastato questi boschi negli anni 80/90

Non mancano, le solite immancabili presenze di plastica e rifiuti, sparsi nel bosco ci sono anche diversi rottami ferrosi.

Allego altre foto della chiesetta e dei suoi interni.

foto b/n Archivio Fotografico Varagine

L’Incendiu de Bosin

Come riferisce la cronaca, sul Secolo XIX, l’undici maggio 1895, divampò un violento incendio, ma in quale casa, non è dato a sapere, nella borgata del Bolzino a Varazze.

La gente accorsa, per domare le fiamme, fu allontanata in malo modo, dai proprietari, due persone anziane, che vivevano in condizioni di indigenza.

Non volevano rivelare, ad altri, dove era nascosto un piccolo tesoro, che custodivano in alcune pentole, poi a stento riuscirono a mettersi in salvo, mentre la loro casetta, fu quasi completamente distrutta dalle fiamme.

Questa è un’ipotetico, verosimile resoconto, dell’incendio de Bosin, raccontato da un testimone dell’accaduto.

“Sabbu passo’ emu in Teiru a sercare le anghille sutta le prie e ci abbiamo veduto fuoco e sciamme in Bosin!”

“Semmu camminati di sprescia per smortare il falò, le sciamme erano gia alte nella cuxinha di una baracca, con tanta fumme e tanta caize.”

“I due veggetti che ci han casa qui si erano scordati quarcosa in sa grixella, forse quache oscello a strinà e ciumme, che c’era tanta spussa di carne abrustolita, e sciamme hanno poi dato fuoco al teito, che brusciava ben.”

“Go ditu a Giuanin, un me amigu, vai a far suonare S.Duno’ e digghe au preve di vegnire de cursa in Bosin!”

“Sono arrivou dau fogu e a quei due veggetti, ci ho sbragiato di scappare, che ghea da perde a pelle a restou li !”

” Ma quei veggetti mi hanno dato un ronsone, che ciùn po’ caseivu, mi hanno fatto sciortire e ci han ditu che davano le baccate a chi vureiva entrare!”

“U preve è arrivato fitu, tutta a gente, se feta u segno da crusce e locciavan la testa e ci han detto au don, che erano due meschinetti”

“Manco ci avevano da mangiare, ciappavano quarche oscellettu, con il vischio, per mangiare poi roba dell’ortu, reste de pan duo, quarche anghilla e pesci de Teiru e chissà se mai si erano roscentati il cavallo! E a messa nesciun li avevan mai visti”

“E anche le loro lensuola, nessuno le aveiva mai viste desteise! A ga ditu na scignua vegia e brutta.”

“Sono arrive’ i ommi da Fabbrica e sun andeti in mesu al fuoco e alle sciamme a cercar delle pignatte da impi’ d’equa, per smortare il fogu, che ne ha trovate due, ma quando le hanno inversate, sono sciortite tante di quelle palanche, che pareivan d’ou!”

“A stu puntu sun arrivati i dui veggetti, che si erano despogiati, perché le sciamme ci avevano brusciato i vestii, ean tutti nudi, ma tantu brutti da mio’ che u preve u l’ha mando’ via e donne e i figgiò!”

“E sti veggetti invece che smurto’ e sciamme, lasciavan bruciare la baracca, mentre coggivano le palanche, da rimettere nelle pignatte!”

” Cun de cunche d’equa quelli da Fabrica han smurto’ u fogu”

“Alua u preve u ga ditu a tutta quella gente, de turno’ a ca, che locciando la testa se n’è andeta”

” U preve u l’è restò lì………mi nu so cussa u ga ditu, ma dumeniga, i dui vegetti ean in ti banchi de S.Duno'”

“U don u l’ha fetu na bela prediga, u l’ha ditu che u l’è stetu u diau cun e sciamme dell’inferno, e che u vureiva ciappoghe e palanche”

” Han fetu na vita da repessin de quei dui veggetti, pe muggio’ tutte quelle palanche pe poi mettile in te na pignatta….. bo’ chissa duvve saian aua quelle pignatte pin de palanche!”

A nutisia du Secolo dell’ Incendiu de Bosin a l’è in tu libbru “Vase te voggiu ben”

E fotu in g/n sun de Archivio Fotografico Varagine.

A Ca du Scrivan

Semmu a i Tiè, una località di Alpicella, il prosieguo della strada conduce alle sorgenti du Nasciu e al fiume Teiro.

La vista spazia, da Ca Valle, i Pre de Pursemmu, u Castelè e come sfondo, il mare, allineato allo stesso livello della chiesa, della Madonna della Guardia di Varazze.

Il toponimo Tiè, deriva dal tiglio, la cui essenza, era adoperata, per le sculture in legno.

Qui, lungo la strada, sono presenti diverse abitazioni, di recente ristrutturazione, case coloniche e cascine in pietra.

Con Maurizio Briasco, visitiamo questa casa, di sua proprietà, nei pressi della sua bella abitazione.

Il sole sta tramontando dietro i Pre de Pursemmu, per aver accesso all’edificio è necessario tagliare, virsci e ruvei, rampicanti e rovi, che hanno colonizzato questa vecchia abitazione.

In passato, la casa, dovrebbe essere stata di un notaio, u scrivan

Maurizio, mi fa notare le finiture di pregio, evidenziate da e ciamblan-e, le fascette dei braghettuin, i telai delle porte interne.

La formella romboidale, dell’elegante porta di ingresso

 Il suo portale, in mattoni ad arco, con la raggiera a simboleggiare il sole

 La grata alla finestra, in ferro battuto e chiodato, di pregevole fattura.

Non manca la nicchia, per una madonetta.

Gli architravi in legno, con i chiodi di ancoraggio per l’intonaco, che in origine doveva essere colorato di celeste.

I muri in pietra sono di buona fattura, le pietre adoperate, sono variegate, probabilmente di risulta, di qualche altro manufatto, la lelua ha invaso il piano superiore.

In aderenza alla struttura principale, vi è un’altra costruzione in pietra, molto probabilmente, era la dimora dei manenti di questa proprietà.

La finestra, del locale a pianterreno.

La tipologia delle pietre usate, per la costruzione di questa pertinenza, è diversa di quella da Ca du Scrivan

Le case rurali, non avevano i servizi igienici all’interno delle abitazioni, questi solitamente erano posizionati in prossimità delle concimaie.

I WC erano ricavati all’interno di una baracca in legno, dove i bisogni corporali, erano sempre effettuati con estrema rapidità……… d’inverno a causa del freddo, mentre in estate, erano gli insetti e l’odore nauseabondo a velocizzarne le operazioni di evacuazione.

Singolare e unica nel suo genere, la toilette di questa dimora, ricavata in un vano ricavato in mezzo ad una porcilaia.

Nell’interno di un muro di sostegno, sono stati ricavati tre vani separati. Nella foto uno dei due vani laterali adibiti a porcilaia.

In quello centrale, vi sono due sedute, per le proprie operazioni corporali.

Due persone, potevano in contemporanea, utilizzare la toilette .

Due feritoie, nel locale centrale, servivano per alimentare i maiali.

Singolare e unici, questi servizi igienici, erano una peculiarità da Ca du Scrivan.

Era un’indubbia comodità avere la toilette vicino casa.

L’argomento trattato è abbastanza inusuale e probabilmente susciterà ribrezzo e schifo a pensare agli sgradevoli miasmi che si sprigionavano in mezzo alle due porcilaie.

Ed è vero, che in quelle latrine si stava il tempo strettamente necessario ad espletare le proprie funzioni corporali, questo lo sperimentai io, in età giovanile, in campagna dai miei nonni, dove il gabinetto era all’interno di una cabina lontano dall’abitazione, sopra la letamaia.

Tempi passati, in cui anche nelle città le acque nere, erano raccolte e servivano da concime, tutto era riciclato e pochi erano i rifiuti che dovevano essere smaltiti.

Poi arrivo’ la chimica, con i suoi concimi e chissà che cosa contengono.

Fabrizio de Andre’ nella sua “Via del Campo” cantava:…. dai diamanti non nasce niente, dal letame nascono i fior

Oggi 11 gennaio, nel 1999 Fabrizio ci lasciava.

…me po’de vedde

A Testa de Pria de Beffadosso

E’ capitato a tutti, osservando un oggetto, pietra o nuvola che sia, scorgere con sorpresa, figure di oggetti, animali, profili e sembianze umane.

La scienza, spiega questo fenomeno, come un riconoscimento inconscio, attuato dal nostro cervello, che estrapola figure già note, anche se sono contenute nel vapore acqueo di una nube, tra le rugosità di una roccia o in qualsiasi altro oggetto.

Questa abilità ha un nome, si chiama Pareidolia visiva ( in zeneise ” me po’de vedde”)

E’ soggettiva, ed è molto sviluppata, ad esempio nei giocatori di scacchi, che riescono a riconoscere rapidamente, alcune situazioni di gioco, ma è presente anche in radiologia, per la diagnosi degli esami e in tante altre attività umane, dove serve concentrazione

Famosa, la visione di un gigante dormiente, ben visibile percorrendo l’autostrada in direzione Ventimiglia, che ha dato il nome all’abitato di Orco Feglino.

Questo fenomeno, si rivela, anche osservando il menhir du cian da Munega.

Arrivati ad una certa distanza, da questo monolito, si intuisce il perché di questo toponimo, in effetti c’è molta somiglianza, con la sagoma di una monaca, dalle generose dimensioni, vista di spalle e con quella leggera pendenza, è come se fosse in movimento, forse in fuga, perché disturbata dalla nostra presenza.

Altre figure, si rivelano, guardando da vicino questa roccia, c’è chi vede un agnello, portato in spalla sinistra della monaca, ma anche il volto di un bambino dall’altra parte.

Un pò di storia du Cian da Munega

Nel 1941, Garea segnalò l’esistenza di un menhir, in località Salice e della presenza nei suoi dintorni, di notevoli testimonianze di insediamenti umani.

Furono ritrovati alcuni manufatti, consegnati poi alle autorità comunali.

Questi reperti, analizzati qualche anno dopo da Mario Fenoglio, ispettore di zona, della Soprintendenza, furono attribuiti alla fine dell’età del bronzo, inizi età del ferro.

Il megalite fu dichiarato un bene archeologico e così salvato, da sicura distruzione a seguito della costruzione del raddoppio autostradale.

Per preservare questo bene, fu modificato il tracciato di questa infrastruttura e nei pressi del megalite, furono costruite due scale di accesso, con un’area adibita a parcheggio.

E’ possibile che altri reperti archeologici e manufatti, che erano presenti nell’area del menhir, siano stati distrutti, durante i lavori, di costruzione delle infrastrutture autostradali.

Nell’area adiacente al menhir, oggi si possono notare antichi terrazzamenti, in buono stato di conservazione.

Serve effettuare un riassetto di quest’area archeologicica, colonnizzata da canne e rovi.

La testimonianza di un primordiale luogo di culto religioso o di sepoltura, della nostra città, che dovrebbe essere maggiormente valorizzato

I menhir, sono spesso associati al movimento degli astri, nel nostro caso, l’azimut del suo profilo allungato è risultato, da studi e misurazioni effettuate, orientato, verso il sorgere della Luna piena, nel solstizio estivo.

Due cippi autostradali e una recinzione, che preclude l’accesso, per una visione ravvicinata della “munega”, ci indicano che il menhir e di proprietà delle Autostrade.

Sono molte le rocce nel Lungomare Europa o sciu dai nostri bricchi, in cui si intravvedono delle sembianze umane, animali o cose, vorrei invitare chi legge questo post, a proporne di nuove, indicandone la localizzazione e quale sembianza appare.

La testa quadra dai laghetti

Un profilo umano nella foto di Marco Battistini

Un primate nella foto di Maurizio Briasco

Allego alcune bellissime foto, del mio collega, Gianpiero Dominoni, che ringrazio per la sua gradita disponibilità

Appassionato di foto, ma le sue istantanee, sono vere e proprie arti visive, ha partecipato a numerose rassegne mostre e concorsi fotografici.

Al link che segue, Gianpiero Dominoni, descrive la sua passione per la fotografia.

http://www.piemontepress.it/piemontepress/portale/index.php?com=13690

E Prie de Beffadossu

A Testa de Pria

I Bricchi de, Beffadossu, quellu de Mesu u Bric Berleise e a Custà, dividan l’Aniun da u Leistra.

Posti serveghi

A sciumea da Leistra, Arrestra segna sulle carte il confine con Cogoleto.

Nel fondovalle la  borgata della Lamberta sembra svolgere la funzione di dazio, e forse in antichità questo era il suo compito, con il controllo del ponte sul Fosso dei Vasin.

Il letto del Leistra si contorce, cercando la via del mare, formando laghetti, al cospetto di strapiombi, aggirando gli acclivi pendi, nella strettoia dei bricchi che lo circondano.

A mezza costa, ad occidente, dello spartiacque tra le valli dell’Arenon e dell’Arrestra, nascosta dalla vegetazione e all’occhio umano vi è una delle più mirabili opere dell’ingegno e dell’operosità dei nostri avi.

Qui un tempo l’acqua scorreva a pelo libero contenuta in un canale in pietra e calce.

Oggi è intubata, prelevata da na ciusa sutta u cunventu di fratti au Desertu.

Rio Gambin residui du beo de Invrea

Una grande opera, ad uso irriguo, similare ad un’altra via d’acqua, un beo d’equa, che captava le acque dal rio Gambin, il rian delle Faje, passando da u Muagiun, (un imponente canale, che oltrepassava la viabilità verso il Deserto, di cui ben poco è rimasto)

U Muagiun al bivio per il Deserto

Il sentiero verso la Ramognina corre sopra il beo d’Invrea

Il beo dell’Invrea, proseguiva in direzione della Ramognina, dove se ne perdono definitivamente le tracce.

Isola del Deserto

Nel Beo di S.Giacomo, l’acqua in arrivo dal Deserto in sponda destra dell’Arrestra, oltrepassa e irrigua le località di Isola, Mungiarina e Lamberta.

A mezza costa intubata e interrata a prova di incendi , arriva ad una grande vasca,alla base del Bricco di Beffadossu.

L’invaso, è stato costruito dalla SCAI, la Società Costruzione Autostrade, in accordo con la proprietà d’Invrea, per avere l’accesso, durante i lavori del raddoppio dell’A10, alla sottostante galleria.

Per costruire una rampa di accesso al sottostante cantiere autostradale, fu demolito una porzione della via d’acqua, che scorreva sopra un muro, verso i Piani di S.Giacomo.

Non ho trovato tracce su libri o nel web, degli artefici di questa grande opera idraulica.

Ma si può ipotizzare, che furono i Vallombrosani, forse consigliati dai Cistercensi della Badia di Tiglieto, grandi ingegneri idraulici, che progettarono questa via d’acqua

https://it.wikipedia.org/wiki/Convento_di_San_Giacomo_di_Latronorio

E chissà chi erano, quelle persone che hanno realizzato materialmente quest’imponente opera, povera gente aggrappata, legata a queste rocce con il rischio di precipitare, a spaccar pietre e a scavare, dall’alba al tramonto per un tozzo di pane e per garantirsi nell’aldilà, un angolo di paradiso.             

L’ordine religioso dei Vallombrosiani nel XII secolo, aveva eretto due edifici religiosi, S.Maria in Latronorio sullo scoglio d’Invrea  e S.Giacomo in Latronorio in quella bellissima  terrazza sul mare dei Piani di S.Giacomo.

Oggi questo acquedotto è gestito da un consorzio per l’utilizzo ad uso irriguo dell’acqua   

Ho cercato tracce di questa via d’acqua anche sulla sommità del Bric Beffadosso

Questo toponimo, comune anche in altre zone d’Italia è l’unione di due parole, doso in zeneise è dorso, schiena, gobba e può essere riferito alla rotondità di questo bricco.

La vetta di questo monte svela, un’incomparabile panorama a 360° la vista spazia dalla cornice del Beigua che incombe sulle frazioni pedemontane di Sciarborasca e di Lerca.

Davanti a noi quell’immenso pianoro di Prato Zanino il più grande ex manicomio d’italia con i suoi 13 padiglioni e le recinzioni sopra il canyon dell’Arrestra.

Come sfondo verso il mare, la città di Genova.

Volgendo lo sguardo a occidente tutt’altra vista con le praterie e i boschi del Monte Grosso u Briccu Brigna e a Custea.

Muggi de prie sutta ai pè.

Chissà chi erano quegli uomini che in tempi remoti hanno lasciato le loro  testimonianze di frequentazione di questo monte

Anche i nostri avi furono suggestionati da questo luogo

E hanno espresso le loro emozioni, la loro gratitudine a qualche divinità erigendo pietre fitte e dei menhir.

Sul bricco di Beffadosso vi sono alcuni massi che potevano essere dei menhir.

Uno di questi è ancora eretto anche se privo della parte sommitale.

La sua base è stata stabilizzata con dei cunei di pietre.

Sul Bric Berlese, un’altro muggiu de prie, forse un riparo da temporali, na trunea, diruta, costruita con le pietre di risulta, della bonifica di questo suggestivo, servego, territorio della nostra città, adibito a luogo di fienagione e pascolo. 

Numerose le sbaragge di cacciuei.

U Munte Grippin

Il Monte Greppino

Sono diverse le località della nostra città, ricche di storia, quella grande che finisce sui libri e quella della vita di ogni giorno, fatta di fatiche paura gioia e speranza, tramandata ma destinata a scomparire dalla memoria della nostra comunità.

Uno di questi luoghi dove si intreccia la grande storia con quella reale di ogni giorno è u Munte Grippin,toponimo che deriva da Groppo, mucchio di sassi

La sagoma dei 678 metri del Monte Greppino, vista dall’abitato di Varazze, si staglia sullo sfondo nebbioso inesistente del Beigua, in una mattina d’inverno, probabilmente alle sue spalle è in corso una nevicata.

Questo rende ancor più visibile questo monte carico di storia e di vicende umane, e la visione solitaria di questo rilievo, evidenziata nelle giornate di maltempo, rivela il perché, questo monte fu ritenuto sacro dai nostri antenati.

A destra il Monte Greppino visto dalla Rocca di S.Anna

Questa cima solitaria, era solita attirare i fulmini forse per le serpentiniti qui presenti e così questo luogo divenne sacro, nell’immaginario di chi, in questo territorio, nell’età del ferro, viveva, si procurava cibo e riparo, quando fu costruita la strada megalitica che magnificava il solstizio estivo.

La sagoma di questo monte è ben visibile e fa da sfondo, quando si raggiunge la sommità del percorso megalitico.

La Tana di Levre’ e’ un riparo sotto roccia, che si trova sul versante marino del monte Greppin

Non esistono documenti, che attestino un’antica presenza di un gruppo di levrusi, lebbrosi nella Tana di Levrè, ma i toponimi fanno sempre riferimento a fatti o avvenimenti realmente accaduti e tramandati anche in forma verbale, come in questo caso, ed è probabile quindi, che nel medioevo oppure più recentemente, questo sia stato l’ultimo rifugio che trovarono delle persone colpite da un male che non dà scampo.

Altre vicende umane lo vedono protagonista durante le scorribande dei saraceni la sua vetta, era un buon posto di osservazione, verso l’abitato di Varazze utilizzato da chi era riuscito a sfuggire alle loro violenze.

il Generale Massena

Ci fu un episodio particolare, durante la seconda campagna d’Italia di Napoleone qui il generale Massena, incontro’ il colonello Sacqueleu e lo degrado’ sul campo reo di non essere intervenuto con la sua brigata a difesa dell’avamposto di Castagnabuona.

Alle pendici nord, in un quadrivio da dove, provenienti dalla Ceresa, si può salire a destra sul monte Greppin a sinistra in direzione del sentiero megalitico e proseguendo diritti si arriva alla casa Dufour, c’è un’edicola votiva

U Nicciu du Culettin, fu costruito da Lorenzo Canepa, per grazia ricevuta. Lorenzo fu uno dei sopravvissuti al terremoto di S.Francisco nel 1906.

Il Monte Greppino durante la seconda guerra mondiale fu utilizzato come punto di osservazione dai partigiani durante la guerra di liberazione qui avevano anche un riparo fatto poi saltare in aria.

Oggi una spada nella roccia infissa, simbolicamente da Galgano, un cavaliere medievale fatto poi santo, vissuto in Toscana nel XII secolo , che scelse una vita da eremita, domina dall’alto il bellissimo panorama.

un belinun

Da non dimenticare, la nostra Corale Alpina, a cui è stato dato il nome di Monte Greppino.

Alua ti parti?

Esposizione Internazionale di Milano 1906

Com’è finita.

Nell’incontro, avvenuto a Penang, a casa del Cerruti tra lui e il cugino Gaggino, possiamo immaginare e ricostruire in chiave ironica e in dialetto, a seguito delle informazioni recepite nelle loro biografie, un ipotetico dialogo mentre erano in attesa dell’arrivo della regia nave Liguria e del Duca d’Abruzzo.

L’argomento era la prevista partenza del Cerruti per l’esposizione internazionale di Milano nel 1906.

“Alua ti parti?” disse Gaggino, rivolto al cugino Cerruti

“ Sci vaggu a Milan pe affori e vedde de vende stu libbru” (Fra i Sakai nel Paese dei Veleni)

“Ma stamme a sentì, secundu ti, la gente è tanto abbortumelita, che ci crederà alla stoia della freccia avvelenata, che ciun po’a t’amassa, e invecce a le piccou nella sintua? Perché nu ti ghe disci, che ci avevi una corassa di ferro contro le freccie?”

“ E bravu Giuan cuscì u letture pensa che seggie u solitu italian, furbo, che u ciappa in giu i indigeni!”

“ Perché a nu lè vea Baciccia ? Te rischiou a pelle per serco’ l’oro e te trovou sulu l’ou de Nissa!”

“Guarda che quello che tu ciammi l’ou de Nissa se ciamma stagnu e ne serve tanto per fare il bronso!”

”Ma alua dimme, Baciccia, duvve a l’è a minea?, perché se ti ve a piccu in fundu al mare, almeno ghe pensu mi a to famiggia e a chi resta”

“Stamme a sentì Giuan, mi e ti semmu parenti, ma anche serpenti, mi nu voggiu savei cumme te fetu a fare tante palanche, mancu cumme a l’è andeta pe diventare Mandarino Gagg-in hi, girano de vusci che te sfruttou di meschinetti in Manciuria”

“Le grandi opere, caro mio Bacciccia furono sempre ideate da una sola persona, eseguite da una moltitudine”

“E basta cun sti pruverbi du belin nu te supportu ciu’!”

”Va ben tou se che mi te voggiu ben, Bacciccia e nu schersu quandu te diggu de pensoghe prima e de fo testamentu, mi faiò testamento e ai miei parenti nu ghe lasciu un belin de ninte! E a Vase u ghe saià un museu cun il mio nome e duvve u ghe l’equa cuscì bunna ( sorgente dei Gaggini)ci saranno le Terme de Vase! ”

“ Me cou Giuan, mi nu ghe pensu a ste cose, vaggu a Milan fassu a bella vita donne e palanche e se me va ben, vendu u segretu de minee a quarchedun che u gan ciu palanche che ti!”

Ma il finale delle loro esistenze, non rispettò l’esito di quel dialogo, GB Cerruti si dedicò con sempre maggiore dedizione all’impresa che pensava potesse renderlo ricco.

Era infatti l’unico a conoscere l’ubicazione di alcuni giacimenti di stagno e wolframite che avrebbe voluto sfruttare attraverso compagnie che fornissero il capitale necessario.

La sua morte, avvenuta il 28 giugno 1914 a causa di un’infezione intestinale, rimane avvolta in un’aura di mistero e potrebbe essere legata alla rete di trafficanti senza scrupoli in cui si ritrovò invischiato e che lo raggirò per mettere le mani su giacimenti.

L’infezione intestinale che lo portò alla morte forse non gli sarebbe costata la vita se si fosse optato per una semplice operazione, invece fu lasciato morire nell’ospedale di Penang.

A GB Cerruti è stata dedicata una strada a Varazze ed erano dedicate a lui le nuove Scuole Medie di Varazze in via Garibaldi.

Giovanni Gaggino, aveva redatto due testamenti, il primo nel 1914, il secondo nel 1917. In essi lasciava al comune di Varazze beni immobili e oggetti da lui posseduti sia in Italia sia a Singapore per costruire un Museo Gaggino più 50.000 per un fabbricato nel quale doveva essere allocato il museo con anessa biblioteca.

Destinava inoltre alcuni terreni in località Campomarzio frazione Pero per l’insediamento di uno stabilimento idroterapico “per il fatto che nei terreni stesse una sorgente che il defunto riteneva avesse speciali virtù medicamentose “ come recita la delibera del consiglio comunale di Varazze pubblicata nell’albo pretorio il 10 agosto 1920.

In tale occasione il consiglio decideva l’accettazione dell’eredità con il beneficio d’inventario.

Era di notevole consistenza il patrimonio immobiliare che il Gaggino lasciava al Comune ( e in piccola parte alla locale congregazione di carità).

Villa Paradiso già villa Malesia

Ricordiamo il palazzo di Pontinvrea e villa “Malesia” ai piani d’Ivrea.

Inoltre numerosi oggetti libri cimeli.

I parenti intrapresero però un’azione giudiziaria e il Comune considerate le difficoltà che si frapponevano al raggiungimento di una soluzione della vertenza, in seguito alle prime sentenze sfavorevoli, temendo di doversi accollare spese ingenti per l’esecuzione della volontà del defunto, giudicando inoltre inattendibile il convincimento del Gaggino sulle virtù terapeutiche dell’acqua del terreno di Campomarzio, preferiva addivenire ad una transazione.

Così fini con l’accettare quella che era all’epoca una somma ingente di 10.000 lire, in cambio della rinuncia all’eredità.

Fu così che non sorsero mai il Museo Gaggino e la biblioteca e la pinacoteca che dovevano affiancarlo, di conseguenza la maggior parte degli oggetti orientali molti dei quali di gran pregio dalle grandi collezioni di monete di quadri dai mobili cinesi e malesi alla raccolta di lance fu suddivisa fra varie istituzioni comunali di Varazze e di Pontinvrea per fornire un sussidio a studi e ricerche sul Sud Est Asiatico e sull’Estremo Oriente.

Museo d’Arte Orientale Edoardo Chiossone Genova

Nel Museo Civico di Genova sono custoditi alcuni oggetti donati dallo stesso Giovanni e che altri si trovano nel Museo Chiossone.

Inoltre vari libri che appartennero a Giovanni Gaggino furono donati da un erede nel 1935 alla biblioteca Ferrari di Genova mentre numerosi altri ( forse un paio di centinaia non ancora catalogati) si trovano nella biblioteca comunale di Pontinvrea.

Nel giardino della villa di Pontinvrea figura una grande conchiglia di Giovanni Gaggino nel Museo di Scienze Naturali di Genova sono esposte due spugne donate dal Gaggino nel 1885 e nel 1913/14.

Il comune di Varazze ha dedicato una strada al nome di questo suo benemerito cittadino e nel comune di Pontinvrea si trova “Piazza Giovanni Gaggino Filantropo”

Chiesa dei Gaggini

Sorgente dei Gaggini

Nella località dove sgorga quella sorgente, che oggi alimenta l’acquedotto cittadino, è stata eretta la chiesa campestre dei Gaggini, con il suo bello e originale porticato.

L’ultima domenica di luglio si faceva la festa per ricordare la ricorrenza della Madonna degli Angeli

Grazie ad un volenteroso gruppo di persone, la festa religiosa, si era ampliata con una sagra, dove oltre il mangiare c’erano giochi, spettacoli e musica.