U gh’ea na otta, un Re, un Mandarin e un Duca

Il Re dei Sakai, il Mandarino Gaggi-in-hi e il Duca degli Abruzzi.

Correva l’anno 1904 in un giorno di un mese imprecisato a Penang, città portuale della Malesia, ci fu uno storico incontro, fra Il Duca degli Abruzzi (Amedeo di Savoia), il Re dei Sakai (GB Cerruti) e il Mandarino Gaggi-in-hi (Giovanni Gaggino), tre personalità a livello mondiale, che dedicarono tutta la loro vita all’esplorazione e allo studio, delle terre emerse e dei mari del nostro pianeta ai primordi del XX secolo.

Al termine della cena in onore del Duca, fu offerto un brindisi con l’acqua dei Gaggini quella che sgorga dalla sorgente omonima, in località Campomarzio e che mai mancava sulla tavola di Giovanni Gaggino.

La penisola della Malesia per questi nostri due compaesani era molto famigliare, a Singapore era sbarcato per primo il Gaggino proseguendo poi verso la Cina, dove diede l’avvio ad una grande fortuna commerciale e dove fu insignito del titolo di Mandarino dell’Impero Cinese, con il nome di Gaggi in hi, viaggiò poi ancora nelle Molucche e nella Nuova Guinea e ritornò in Malesia, dove mise a dimora diverse piantagioni.

Gli affari andavano bene e chiamò, come collaboratore per le sue aziende, il non meno famoso cugino Gio Batta Cerruti, capitano di lungo corso, che viaggiò attraverso gli oceani in America del Sud, Oceano Indiano e i mari dell’estremo Oriente.

Esplorando aspri territori, nel cuore selvaggio e sconosciuto della Malesia, venne a contatto con molte popolazioni isolate di cui non si conosceva l’esistenza, come i Semang, i Negriti e soprattutto i Sakai, dove fu eletto Re, qui rimase per alcuni anni, questa sua esperienza è tramandata a noi dal suo libro “Il Re dei Sakai nel paese dei veleni e fra i cacciatori di teste”.

Del terzo personaggio, che dire…. il Duca degli Abruzzi era Luigi Amedeo di Savoia, nel giro di poco più di un decennio, tra il 1897 e il 1909, portò a termine le spedizioni, che lo resero internazionalmente celebre, tra cui la spedizione al Polo Nord, con il rimorchiatore Stella Polare, dove era imbarcato, un altro eroico nostro concittadino, Simone Canepa, un componente della pattuglia che raggiunse gli 86°di latitudine nord.

Tra il 1902 e il 1904 Il Duca d’Abruzzo, compì la sua terza circumnavigazione del globo, a bordo della regia nave Liguria, al suo comando, vi erano ancora altri varazzini, Agostino Bozzano, meccanico di bordo, Paolo Spotorno fuochista, in servizio di leva e un altro nostro compaesano, forse di Cantalupo o di Castagnabuona di cui non abbiamo memoria.

Il Duca degli Abruzzi, fu Comandante delle Forze Navali Riunite, durante la prima guerra mondiale, rimosso dal comando per disaccordi con le potenze alleate, si trasferì in terra d’Africa, in Somalia dove intraprese una grande bonifica agricola e dove, in una città chiamata con il suo nome, morì nel 1933, non lasciò eredi, in rotta con la casa reale, anche per una sua presunta relazione con una principessa somala, di lui si ricorda la celebre frase “Preferisco che intorno alla mia tomba s’intreccino le fantasie delle donne somale, piuttosto che le ipocrisie degli uomini civilizzati.».

Valente scalatore con innumerevoli imprese realizzate, in patria e all’estero, gli sono stati dedicati alcuni rifugi sulle Alpi e Apennini.

Regia nave Liguria

Il Liguria l’incrociatore Regia Nave Liguria (varato nel 1889 rottamato nel 1920) come tutte le navi da guerra, dei primordi del’900, oltre allo scopo primario della difesa delle nazioni marittime, queste navi effettuavano frequenti viaggi o stazionamenti all’estero a protezione dei traffici commerciali, ma anche per il prestigio delle colonie e dei connazionali che vivevano all’estero.

Il Liguria, operò nei mari del sud America e dell’estremo Oriente.

Dal 1903 al 1905 al comando del Duca degli Abruzzi, compì una campagna di circumnavigazione del globo con diversi scali, percorrendo 52.000 miglia, nel 1904 fece scalo a Tien Tsin e fu la prima nave italiana che approdò in Cina dopo la rivolta dei Boxer.

Trasformata in posa mine durante la prima guerra mondiale, venne quindi utilizzata come nave appoggio aerostati, scuola per cannonieri e ufficiali di macchina.

Pippo Maccarini

Testimone dello storico incontro di Penang, fu certamente il nocchiere Giuseppe “Pippo” Maccarini di San Rocco di Camogli, che raccontò nel suo diario la storica circumnavigazione del Liguria.

https://www.scmncamogli.org/oldsite/liguria_nave/nmaccar_nar.htm

Dei nostri concittadini presenti durante questo viaggio, arruolati sul Liguria, conosciamo in parte, la storia di Agostino Bozzano ( Varazze 1880 – 1953) meccanico di bordo, durante la circumnavigazione degli anni 1902/1904, al termine della prima guerra mondiale, seguì il Duca degli Abruzzi in Somalia, dove continuò a fare il suo mestiere e si rese celebre, quando riuscì a riposizionare i particolari, di una locomotiva, arrivati smontati, dall’Italia, la macchina entrata poi in servizio, fu il primo locomotore, del nativo trasporto su ferro della colonia italiana.

Quando nel 1942 cessò il dominio italiano nel Corno d’Africa, abbiamo notizie di un Agostino Bozzano tra i fondatori del PCI di Mogadiscio.

Nel 1949 il partito fu sciolto, a seguito delle pressioni degli inglesi che avevano, il protettorato della Somalia.

Di Paolo Spotorno u Lucciu ( Varazze 1882-1969), abbiamo sue notizie, grazie alla gentile concessione del nipote Alfredo Gargiulo, che ringrazio per il suo interessamento e dovizia di cenni storici.

Stupisce oggi l’età di avvio al lavoro, a 8 anni il ragazzino Paolo, era già sui gozzi, per la pesca di altura, verso la Corsica e la Provenza, a 12 anni ebbe il primo imbarco, sui motovelieri da Genova a Buenos Aires, dove rimase a lavorare fino alla chiamata di leva, effettuata a bordo dell’incrociatore Liguria durante la circumnavigazione del Duca degli Abruzzi, con la mansione di fuochista, addetto alle caldaie, fu premiato con la medaglia ricordo, per aver fatto parte dell’equipaggio durante l’impresa, ricevette poi altre onorificenze costrette, ad essere cedute, durante la campagna in epoca fascista, dell’oro per la patria.

Sbarcato al termine dei 48 mesi di servizio di leva obbligatorio, nel 1904 partì nuovamente per l’Argentina, dove un suo cugino, aveva dei rimorchiatori e lì rimase, giusto il tempo, per essere richiamato in marina allo scoppio della prima guerra mondiale.

Al termine del conflitto mondiale continuò il suo imbarco come caporale di macchina fino al 1940.

Si sposò nel 1921 con Caterina Ferrando (della famiglia dei Cianellè) figlia di un maestro d’ascia, nel 1923 nacque Tina, mamma di Alfredo e nel 1925 il figlio Paolo, che con il nome di battaglia Caio partecipò nelle file partigiane alla guerra di liberazione.

Del terzo nostro compaesano, originario di Cantalupo o forse di Castagnabuona non abbiamo memoria, magari se chi legge questo post è a conoscenza del nome e della storia di questo nostro concittadino “siaulè”o “ravanettu”che sia, può contattarmi, per la completezza di questo post.

A questo proposito pubblico la foto del Liguria, la rotta della circumnavigazione e dell’onorificenza ricevuta per aver fatto parte dell’equipaggio durante questa impresa

Gagg-in-hi

Giovanni Gaggino (Varazze1846 Garaoch 1918) a 14 anni è sul mare, a bordo dei brigantini di famiglia, in Inghilterra, in Asia, nelle Americhe , dove si distingue a 21 anni nel salvataggio dell’equipaggio della nave inglese Saint George.

Capitano di lungo corso, al comando del brik Fratelli Gaggino approdò, prima nave italiana in Nuova Zelanda.

Abbandonati i lunghi viaggi in mare si stabilì a Singapore, iniziando l’esplorazione della Cina e della Malesia dando l’avvio ad una grande fortuna commerciale.

Tioman

Acquistò le isole Fresh Water e Tioman, offrendole in dono, inutilmente all’Italia, creò fattorie e aziende commerciali e industriali.

Compì un lungo viaggio attraverso tutta la Cina, raggiungendo Vladivostok qui suggerì la costruzione di una ferrovia Transiberiana.

Percorse più volte i fiumi cinesi, conosceva le principali lingue e numerosi dialetti cinesi.

Lasciò numerosi scritti tra cui La vallata dello Yang tse Kiang, un dizionario malese-italiano, Il Viaggio nelle Molucche e nella Nuova Guinea, il Mio Tesoro, compendio di aforismi, massime, sentenze e proverbi.

L’imperatore della Cina, lo proclamò Mandarino dell’Impero Cinese, con il nome di Gagg-in-hi.

In Malesia, aveva delle piantagioni e chiamò a collaborare con lui, il non meno famoso cugino Gio’ Batta Cerruti, il quale dopo avventurosi viaggi, negli oceani, lo raggiunse in estremo oriente.

Gaggino e Cerruti tornarono più volte in Italia e donarono ai musei italiani e liguri diversi reperti di quei luoghi lontani.

Un aneddoto storico è relativo ad un incontro avvenuto a Penang in Malesia, nel 1904, quando la regia nave Liguria, impegnata nel giro dl mondo al comando del Duca degli Abbruzzi, sosto’ per rifornimenti e ci fu uno storico incontro, tra il Duca, GB Cerruti, Giovanni Gaggino e Agostino Bozzano un meccanico di bordo della nave, anche lui originario di Varazze.

Ci fu un brindisi a base di acqua dei Gaggini la fonte di proprietà, con l’acqua, fatta arrivare regolarmente dall’Italia per la mensa del Gaggino.

Bozzano si distinse qualche anno dopo, quando trasferitosi in Africa, nel Villaggio Duca degli Abbruzzi, diede inizio al servizio ferroviario, rimontando una locomotiva fatta arrivare dall’Italia.

Giovanni Gaggino aveva donato nella sua eredità, al Comune di Varazze, la sorgente dei Gaggini e una cospicua somma di denaro perchè fossero costruite delle terme .

Ma gli eredi fecero causa al comune e si arrivò ad un compromesso non rispettoso delle volontà di Giovanni Gaggino.

Interessanti e dettate dalla sua esperienza di vita sono le massime, sentenze, proverbi, consigli, pensieri, aforismi contenuti nel Tesoro pubblicato nel 1917 questa è la prefazione del libro a cura dello stesso autore:

Nei miei primi anni di viaggi, e dopo un quarto di secolo trascorso nella Malesia, oltre alle mie occupazioni commerciali, rivolsi sempre il mio pensiero all’umanità, considerando gli uomini d’ogni razza, quali fratelli.

Nelle varie vicende della vita, scrissi ciò che mi venne dettato dall’esperienza.

Le mie considerazioni furono basate, per quanto ho potuto, sul buon senso naturale e sulla rettitudine.

Queste alcune massime da me estrapolate da “Il Tesoro” di Giovanni Gaggino:

La legge ha per norma il giusto; ma non è sempre giusta.

La moneta tenuta inoperosa a nulla serve, e rende schiavo chi la possiede.

La necessità avvilisce, come la ricchezza insuperbisce, umilia l’uomo dabbene, fa un birbante del cattivo.

La parola voglio, non si deve usare che comandando se stesso.

La sola idea può guarire, come può nuocere.

grandi opere furono sempre ideate da una sola persona, eseguite da una moltitudine.

L’ignoranza pedante ed orgogliosa deve esser combattuta con le stesse armi.

Non bisogna ascoltare più del necessario.

Riconoscere la propria ignoranza, è grandezza.

Soltanto l’ignorante può ritenersi felice; per chi ha cuore gentile ed intelletto sveglio, i mali che affliggono l’umanità bastano a renderlo infelice.

Una grave disgrazia che affligge l’umanità si è che gli uomini credono sia vero soltanto quello che pensano.

U Re di Sakai

GB Cerruti

Giovanni Battista Cerruti Nato a Varazze, il 28 novembre 1850.

Da giovanissimo si imbarcò come mozzo sulla nave di un prozio diretta a Buenos Aires e da allora continuò a solcare i mari fino a raggiungere l’Oceano Indiano.

Nel 1881 ottenne la patente di Capitano di lungo corso, visse e viaggiò attraverso l’estremo Oriente esplorando aspri territori, e venne a contatto con molte popolazioni isolate, come i Semang, i Negriti e, soprattutto, i Sakai.

Nel 1891, dopo numerosi viaggi, tornò a Penang, dove aveva vissuto per un certo periodo, e iniziò a raccogliere informazioni sulla misteriosa tribù che viveva da qualche parte sui monti di Malacca, tra gli stati di Perek e Pahang, il popolo dei Mai Darat, chiamati dai malesi, in senso spregiativo, “Sakai”, un termine riconducibile al concetto di schiavitù.

Estremamente affascinato dalle descrizioni che trovò su quella gente e speranzoso anche di riuscire a imbattersi in qualche giacimento aurifero, Cerruti partì alla ricerca dei Sakai accompagnato da cinque portatori con un bagaglio ristretto e una sola carabina per difendersi.

Solo dopo molte peripezie e dopo essere stato abbandonato da tutti gli uomini della scorta tranne uno, riuscì finalmente a raggiungere la meta.

Nel cuore selvaggio e sconosciuto della Malesia, dopo essere scampato a tigri e sanguisughe e dolorante per le ferite riportate, egli raccontò di aver avvistato infine il villaggio dei Sakai e di essere stato immediatamente raggiunto da una freccia scagliata dai suoi abitanti, collezionisti di teste.

La freccia però rimbalzò sulla placca metallica della sua cintura!

Fu in quel momento che quegli uomini e quelle donne per i quali il tempo era rimasto immobile e uguale a se stesso, refrattario a qualunque forma di civilizzazione, si inginocchiarono al suo cospetto riconoscendo nella sua figura “il signore del male” ed eleggendolo “Capo Supremo con diritto di vita e di morte sui Sakai”.

Tra questa gente egli rimase per ben quindici anni, interrotti solo da brevissime puntate nel mondo civilizzato.

Una di queste rapide visite al mondo moderno toccò l’Italia, nel 1906, in occasione dell’Esposizione Universale di Milano, dove Cerruti presentò gli studi fatti fino ad allora, frutto della sua convivenza con la popolazione selvaggia che lo aveva nominato suo indiscusso Signore.

Fu in questa occasione che presentò il volume dal titolo Nel Paese dei Veleni / Fra i Sakai, nel quale raccontava fedelmente la sua esperienza di convivenza con la tribù.

In questo volume, un intero capitolo era dedicato ai veleni e alla cura meticolosa che i Sakai ponevano nella ricerca delle materie e nella loro preparazione.

Dal libro, scritto in maniera snella e godibile, traspare tutta l’ammirazione e il rispetto che Cerruti nutriva per quella gente semplice e libera dalle costrizioni materiali della società moderna, che non conosceva l’amore ma neanche l’odio, che non beveva acqua perché in quel liquido viveva uno spirito maligno ma che piuttosto si dissetava solo con la frutta, anime nascoste al mondo civile e affatto desiderose di cambiare le proprie abitudini.

Parallelamente all’allontanamento dai Sakai, Cerruti si dedicò con sempre maggiore dedizione all’impresa che pensava potesse renderlo ricco.

Era infatti l’unico a conoscere l’ubicazione di alcuni giacimenti di stagno e wolframite che avrebbe voluto sfruttare attraverso compagnie che fornissero il capitale necessario.

La sua morte, avvenuta il 28 giugno 1914 a causa di un’infezione intestinale, rimane avvolta in un’aura di mistero e potrebbe essere legata alla rete di trafficanti senza scrupoli in cui si ritrovò invischiato e che lo raggirò per mettere le mani su giacimenti.

L’infezione intestinale che lo portò alla morte forse non gli sarebbe costata la vita se si fosse optato per una semplice operazione, invece fu lasciato morire nell’ospedale di Penang.

Le sue spoglie furono riportate in Italia solo nel 1933 grazie agli sforzi della sorella.

tratto da un’articolo di Barbara Giannini

U Tesou de Roccaguardoa

Nei primi giorni di aprile del 1800, tutto il nostro entroterra, fu coinvolto e sconvolto dai combattimenti fra le truppe francesi di Napoleone e quelle dell’alleanza austro ungaro-piemontese.

I resoconti delle battaglie ingaggiate tra i due eserciti, sono ben documentati negli archivi storici, ma anche sul web.

Io mi limito a raccontare, evidenziando un aspetto comune, purtroppo di tutte le guerre, semplificando la lettura, di un fatto storico, molto particolareggiato, con diversi capovolgimenti di fronte.

Il Generale Andre Massena

Il generale Massena, geniale generale nizzardo, sotto il comando di Napoleone, nella seconda Campagna d’Italia, era un fautore della guerra di movimento, dove l’esito di ogni battaglia era determinato dal prevedere e precedere rapidamente le mosse del nemico, questo era reso possibile da un continuo controllo del campo di battaglia e delle vie di comunicazione, da lui stesso effettuato a costo e a rischio della propria vita.

Monte Croce

Durante la battaglia di Munte Crusce a Castagnabunna, avvenuta i giorni 9-10 aprile del 1800, Massena, di ritorno verso le sue postazioni, provenendo dau Rianellu, dopo aver ispezionato il versante ad occidente dei Favari, arrivato dalla chiesa di S.Roccu, si accorse che la corda della campana, penzolava fuori dal piccolo campanile a vela.

Al generale bastò questo strano particolare, per intuire che gli abitanti del posto, avevano suonato la campana per fare dei segnali al nemico, in preda alla collera ribattezzò la borgata con il nome di Castagnamarcia!

Ma questa non era una novità, tutta la chiesa e il clero, erano nemici giurati dei francesi e soprattutto del loro capo, Napoleone Bonaparte, che era considerato, alla stregua del demonio, perché aveva osato confiscare i beni della chiesa, mettendo così in pericolo il suo potere temporale.

I credenti, incoraggiati dai sacerdoti, non esitavano a segnalare la presenza delle truppe francesi in avvicinamento alle loro borgate.

Questi avvistamenti erano notificati agli Austro Ungaro Piementesi, tramite il suono delle campane, degli innumerevoli campanili, presenti nel nostro territorio.

Santuario Nostra Signora della Croce

Il Santuario di Nostra Signora della Croce occupato e usato come dormitorio e ospedale dalle truppe di Massena fu poi sconsacrato.

Per tutta la giornata del 9 e del 10 aprile, presso il Munte Crusce si susseguirono attacchi degli austriaci e contrattacchi francesi.

Al comando del 63° fanteria, al termine della giornata Massena, aveva comunque consolidato la sua posizione sul monte e affidò la bandiera del reggimento, ai suoi uomini ricevendo la promessa, che mai gli austriaci sarebbero riusciti a conquistarla,.

Rincuorato dal morale dei suoi uomini, Massena alle ore 17.30 insieme all’aiutante, un capitano, un luogotenente e due soldati si dirige verso u Briccu de Furche, da qui si ha una bella visione du Teiru e può scrutare così le mosse dei nemici.

Ma si accorge di un passaggio di truppe in direzione du Curno` forse, pensa, sara’ la nostra brigata quella del colonello Sacqueleu, che doveva disturbare il nemico lungo la direttrice, Briccu de Furche, munte Sucau e si affida ad un pastore, incontrato sul posto, come guida per la ricerca di questo reparto francese, il quale male informato o forse per partito preso, indirizza Massena e i suoi uomini in bocca al nemico, che era accampato poco distante in località S.Martin.

Ma in soccorso del generale, arrivarono tempestivamente, sette granatieri francesi, che si trovavano “per caso” in zona durante una “maraude” ovvero un’operazione di saccheggio e di furti a danno delle popolazioni locali.

L’incontro avvenne nella zona du Maegua, sotto Roccaguardioa tra u Curno` e u Briccu de Furche.

Massena non ha tempo per indagare, d’altronde questi granatieri lo hanno appena salvato da sicura cattura e si dirige guidato dai granatieri, verso l’Arpiscella, dove si trova il grosso della brigata di Sacqueleu e lo raggiunge presso il munte Greppin.

Massena è visibilmente in collera, probabilmente l’intera brigata si è data al saccheggio della zona, invece di dar manforte ai suoi uomini, assediati sul Monte Croce.

Chiede spiegazioni a Sacqueleu, del perché non fosse intervenuto a combattere gli austriaci, aggredendoli alle spalle dalla direttrice Curno` Munte Sucao.

Il colonello cerca di discolparsi, ma inutilmente, al calar del sole di fronte a tutti i suoi soldati, viene degradato e ridotto allo stato di soldato semplice.

A questo punto, Massena prende il comando della brigata e scende a Varazze, sgombrando u Teiru e l’Arzoccu e mettendo in fuga una colonna di austriaci, provenienti da Cugou, erano le ore 22 del 10 aprile del 1800.

Le operazioni militari, continueranno, con l’arretramento dei francesi, sulla difensiva, a seguito dell’assedio di Zena.

Forse furono i frutti di quelle maraude, la causa di uno strano e misterioso fatto, avvenuto a metà dell’800 au Pei.

Questo è l’antefatto: nel periodo estivo, arrivavano in città e nelle frazioni di Vase i “careghitti” diminutivo affibbiato agli impagliatori di sedie, che arrivavano dal Piemonte, per rivestire le sedute delle sedie, e questi artigiani, erano soliti, finita la giornata di lavoro, passare la notte al Pero.

Ma un giorno sparirono alla vista, abbandonando anche i loro attrezzi del mestiere, e chi aveva visto nottetempo, la direzione da loro presa, appena fatto giorno, cercò di rintracciarli, nel folto dei boschi, in direzione del Maegua.

Qui il si dice popolare, ci narra, che furono sorpresi in località Roccaguardioa, intenti a scavar buche e a prendere delle misure contando i passi, partendo da un albero secolare.

Pare che gli scavi, portarono alla luce vecchie pentole arrugginite……piene di oggetti preziosi.

Dei Careghitti, più nessuno ebbe notizia, avevano recuperato le monete, arredi sacri, e altri oggetti, seppelliti dai soldati francesi, risulta di quelle “maraude del 9-10 aprile del 1800.

Rapine compiute a danno degli abitanti del nostro entroterra, anche provenienti da altri scenari di battaglie, combattute nella nostra regione.

Forse, ma anche senza il beneficio del dubbio, una parte della “spartizione del tesoro” sarà stata elargita a qualche nostro compaesano, presente e prestante aiuto, durante gli scavi, per il recupero del bottino di guerra, ma questo non lo sapremo mai!

E chissà, quale sarà stato il destino di quei soldati, forse proprio quei sette granatieri, artefici di quelle scorribande e dell’occultamento dei beni trafugati ?

Solitamente,quando dei contenitori arrugginiscono, restando troppo tempo sottoterra, nella vana attesa di essere disseppeliti, significa solo una cosa, una ferita grave o la morte nei campi di battaglia di chi a Roccaguardoa aveva seppellito quel tesoro

Ma allora chi e come, cinquant’anni dopo, era venuto a conoscenza di quel luogo di sepoltura, descritto e dettagliato molto probabilmente sopra una mappa?

Anche questo particolare, sarebbe interessante conoscerlo, ma non si saprà mai, perché ci sono cose, che gridano ancora giustizia e non sono mai state perdonate!

Con il senno del poi, oggi, quei beni trafugati con la minaccia o con la morte, il frutto di una vita di sacrifici e di lavoro, gli arredi di una chiesa o di una casa nobiliare, dovevano ritornare ai legittimi proprietari nelle chiese e nelle case dove furono trafugati e non essere privilegio dei soliti furbasti all’italiana.

Il fenomeno dei saccheggi, durante le campagne napoleoniche in Europa, fu un “male necessario” che ricompensava in certo modo, i soldati della grande armeè.

Napoleone inflisse alcune severe punizioni agli artefici di questi reati, ma non riusci’ o non volle, porre fine a questo fenomeno, che a Vase colpì duramente soprattutto le frazioni di Arpiscella, du Pei, Casanova Invrea e Castagnabuna.

Ma questi saccheggi avvengono ancora oggi e sono presenti in ogni guerra, in corso sul nostro pianeta.

Altri detti popolari, raccontano del tesoro di Roccaguardioa, nascosto lì da possidenti della zona, per paura di essere depredati dai soldati, che in quei giorni scorazzavano nel nostro entroterra, ma perché farlo su un luogo di battaglia e poi perché non fu più recuperato?

A riprova, che quel tesoro, fosse un bottino di guerra, fu un altro ritrovamento di monete, nei pressi di Munte Crusce effettuato qualche anno fa, tramite l’utilizzo di un metal detector.

Poi c’è l’altra storia/leggenda dell'”Asino d’Oro di Napoleone” che racconta di una povera bestiola sul cui basto era stato caricato dell’oro, chissà, forse fuso nella fornace da Custo’nella zona di Beffadosso ( La fornace è ancora visibile oggi)

L’asino fuggì al controllo dei soldati francesi e fu ritrovato ad abbeverarsi, alla Ciusa du Spurtigiò (nei pressi Piani di S.Giacomo, la direttrice percorsa dai francesi nella ritirata verso Genova) privo del suo carico d’oro.

Ma questa è un’altra storia.

U Banca’

…”fatto ultimo giorno dell’anno 31 dicembre 1883 Giuseppe” Scritto con il lapis su questa lastra di legno di castagno, trovata mentre restauravo un mobile, ci porta in un altro mondo quasi 150 anni fa, dove non si celebravano come oggi i fasti di fine anno.

Ma era il lavoro il centro della vita di tutti, forse l unica felicità di quel giorno è stato quello di terminare quel manufatto, che avrebbe garantito un po’ di tranquillità economica ad una famiglia in quel lontano 1883, con un Italia fresca di giovane patria, ma inconsapevole del suo futuro incombente di sanguinose guerre, non sapremo mai chi era quel ” bancalaro” che scrisse questa frase, mi piace pensare che sia vissuto a lungo e che la sua famiglia, abbia prosperato, con quello che per me e per il mio papà che me lo ha insegnato, resta forse il più bel mestiere del mondo il falegname ” u banca’” in dialetto.

Ricordiamo sempre di mettere il lavoro al centro della nostra vita, per far prosperare le nostre famiglie, ma sopratutto dobbiamo rispettare quello degli altri, quelli che hanno avuto forse meno opportunità, quelli che sono costretti a riempire le loro giornate con un lavoro pesante, precario e oggi in questa strana Italia dalle mille sfaccettature anche mal retribuito , sono queste le persone migliori!

Dopo queste” quattro righe” auguro a tutti un Felice Anno e Buon Lavoro a tutti!

U Sci Nautico a Vase

Giuseppe Piccardo

In memoria di Giuseppe Piccardo, che ci ha lasciati il 18 dicembre.

E’ uno spettacolo, vedere i surfisti dau mo de Teiru , a volte, mi fermo ad ammirarli.

Li osservo quando aspettano l’onda, quella giusta, poi li vedo saltare sulla tavola e cavalcare l’onda, compiendo diversi cambi di direzione.

Con un passaparola sui social, quando i venti di libeccio o meglio lo scirocco, hanno gonfiato il mare e formato le onde adatte, eccoli che arrivano, anche da località remote, nello specchio di mare antistante la città, sul molo del Teiro, ma anche presso il molo S.Caterina.

Sulla passeggiata, si raduna una piccola folla plaudente, fatta di amici, ma anche di persone comuni

Anche a fine anni 60, presso il molo del Teiro lo spettacolo non mancava.

Patrone Teresa e allieva sul motoscafo costruito dai cantieri San Giorgio di Savona sul modello degli scafi tipo Riva – motorizzato con motore da 180 cv

Era la base di partenza dello sci nautico, il titolare di questa attività era Piccardo Giuseppe insieme alla moglie Teresa Patrone “Tere” a Varazze dal 63 al 67 e poi nel 68 a Celle.

Abitavano nella mia stessa strada, l’ex via Monte Grappa, nel primo palazzo che fu costruito dall’Impresa Edile, dei Fratelli Venturino, nei garage,di loro proprietà, tenevano i motoscafi e l’attrezzatura, nel periodo invernale.

Piccardo Giuseppe classe 1927 detto “il Balilla” per le sue origini genovesi città natale di GB Perasso (il Balilla) partecipò con i partigiani, nella guerra di liberazione.

Fu arrestato, a seguito di una delazione, mentre ritornava a casa da Savona, il 23 aprile del 1945, riuscì però a fuggire e il giorno, dopo partecipò al disarmo della guarnigione tedesca di stanza a Varazze, con la liberazione della nostra città, avvenuta il 24 aprile.

Il giovane Giuseppe, ebbe l’incarico, di tenere sotto tiro una colonna di camion tedeschi, con una mitragliatrice Breda, che era stata tenuta nascosta, ma pronta all’occorrenza, in mezzo alle macerie delle case distrutte dal bombardamento di Varazze del 13 giugno 1944.

I tedeschi e i fascisti, consapevoli che per loro la guerra era finita, fuggirono la mattina presto, da Varazze, verso il passo dei Giovi, alcuni di loro furono fermati dagli uomini della resistenza, prima di riuscire nell’intento di lasciare la nostra città.

Ci fu una breve trattativa e vista la loro riluttanza, a deporre le armi, furono convinti dal lancio di alcune bombe a mano e da una finta esecuzione, di un loro camerata, a questo punto, gli assediati, chiesero di arrendersi al CLN.

Grande fu il loro stupore, quando si accorsero di essere stati disarmati da dei ragazzi.

Colonna di prigionieri tedeschi scortati in direzione di Genova

Ai tedeschi fu chiesto di levarsi le scarpe, per evitare tentativi di fuga e furono poi condotti verso Genova, la prima città d’Italia, che fu liberata dai partigiani.

Pur avendo dei sospetti su chi poteva essere stato il delatore, che lo fece arrestare, non volle mai indagare o vendicarsi dell’accaduto.

La guerra era finita,

Piccardo Giuseppe fu assunto presso l’Italsider come tecnico.

Nel 1963, iniziò l’attività di scuola sci nautico, presso il molo del Teiro.

Una recinzione di legno, delimitava la parte terminale del molo, qui la base in cemento, era stata ricoperta di sabbia che ricreava l’ambiente della battigia, con ombrelloni e sdraio, uno striscione con la scritta Sci Nautico, era visibile dalla passeggiata.

Piccardo Giuseppe con allievo

Ancorato agli scogli del molo, c’era un pontile, che si prolungava in mare per una decina di metri, costituito da tubi da ponteggio e ricoperto con tavolame ad incastro, pronto per essere smontato, nel periodo invernale, o all’approssimarsi di una mareggiata.

Il precedente scalo, costruito con travi in acciaio, era stato divelto, durante una mareggiata.

Ai due lati del molo, delle boe segnalavano il corridoio di manovra, per le partenze e gli arrivi dei due motoscafi entrobordo, un Florida da 180 cv e un Super Florida da 350 cv, costruiti in teck, con finiture in mogano, dai Cantieri S. Giorgio di Savona.

La linea di boe, che partiva ai lati del pontile, raggiungeva a quattrocento metri, perpendicolare ad altre due linee di boe, che segnalavano, per una lunghezza di mille metri, lo spazio acqueo, destinato alla pratica di sci nautico.

Era uno spettacolo, ammirare le evoluzioni dello sciatore, che doveva avere buoni doti fisiche, ed essere esperto, per mantenere l’equilibrio, i più bravi facevano ampie curve, in piega, come fossero su di una moto, capaci di tenere la fune solo con una mano e di compiere una serie di giravolte.

Naturalmente, lo spettacolo era anche assicurato, da quelli meno bravi, intenti fin dalle prime lezioni, ad effettuare la manovra più difficoltosa, che era quella della partenza, con conseguenti spassose cadute.

L’ultimo spettacolo, lo facevano i titolari, Giuseppe e Tere, che effettuavano vere e proprie acrobazie, effettuavano anche una serie di spettacoli notturni.

Una boa di appoggio, antistante il Kursal, serviva come punto di attesa, per chi aveva prenotato le corse.

Era molti i partecipanti ai corsi, che erano effettuati da maggio a ottobre.

I Piccardo, Giuseppe e la compianta moglie Tere, avevano conseguito il titolo di maestri, della specialità nautica di sci e Piccardo Giuseppe, fu eletto consigliere della federazione nazionale sci nautico, il cui presidente era Carraro, futuro sindaco di Roma.

Teresa Patrone prima maestra di sky nautico

Con i più bravi allievi, si formò una squadra, per effettuare gare con altri centri nautici, in quasi ogni località turistica ligure, c’era una scuola di sci nautico

Anno1967 – Marconi Silvia Terracciano Silvia Marconi Diego con il maestro Piccardo Giuseppe

Anno 1967 – maestra Patrone Teresa davanti ai premi vinti dai suoi allievi Marconi Silvia, Terracciano Silvia e Marconi Diego

A margine di questa attività, Piccardo si era reso disponibile, in caso di emergenza, per prestare soccorso in mare.

Anno 1969 – premiazione del maestro Giuseppe Piccardo primo classificato in una gara internazionale

Diverse furono le richieste di aiuto.

Un giorno, Piccardo, fu allertato, per effettuare la ricerca di una famiglia che al largo dei Piani d’Invrea a bordo di un’imbarcazione a motore, non aveva fatto ritorno a riva, ed era sparita alla vista.

Qualcheduno dette l’allarme, ma dopo qualche ora, di ricerca infruttuosa, la famigliola era stata data per dispersa e si pensava al peggio.

Capo Noli e sullo sfondo Punta Crena

Conoscendo bene quel tratto di mare, Piccardo con una buona scorta di carburante e qualche coperta, si portò al largo, spegnendo il motore, per capire, a seguito delle condizioni di vento e mare, quale era la possibile rotta di un’imbarcazione alla deriva.

La direzione della corrente era verso ponente, si diresse quindi al largo di Capo Noli e fu lì che ritrovò l’imbarcazione, con l’intera famiglia a bordo , il motore era andato in panne e non avendo remi, erano rimasti in balia delle onde.

A seguito di mancati accordi con la municipalità, nel 1968, fu aperta una nuova sede di sci nautico, nella vicina città di Celle Ligure, ma l’aggravio dei costi, altre opportunità di lavoro per Giuseppe, ed infine la nascita della figlia Lara, determinarono la chiusura dell’attività.

Qualche anno fa avevo fatto leggere a Giuseppe il mio “Olio di Oliva e Cotone” e gli avevo chiesto, se voleva raccontarmi qualcosa, di una sua precedente attività, da inserire nel testo del mio racconto, quando con la compianta Tere, aveva la Scuola di Sci Nautico a Vase da u mo de Teiru.

Lo Sci Nautico era la sua passione e lo si percepiva, dalla voglia che aveva di raccontare, in modo energico, tipico della sua personalità, fatti persone e cose di quel bel periodo della sua vita, quando in ogni città di mare, si poteva praticare lo sci d’acqua, per diletto o in modo competitivo, fino a raggiungere come fece Giuseppe, importanti successi e riconoscimenti a livello nazionale e in campo internazionale, un bel periodo per tutti, anche per me, bambino, che mi piaceva vedere le evoluzioni dei motoscafi sull’acqua, anni di cose semplici e di sorrisi, immortalati nelle foto, le cui copie sono state donate da Giuseppe, per il tramite di Giovanni Giusto, all’Archivio Fotografico Varagine.

Oggi chi osserva quelle foto, è come immerso in un mondo ormai lontano nel tempo, dove grazie alla passione e alla volontà di due persone, Giuseppe e Tere la nostra comunità ha un bellissimo ricordo fatto di sole, mare, allegria.

Grazie Giuseppe e Tere.

Le foto b/n: per gentile concessione di Giuseppe Piccardo e Archivio Storico Varagine

Il post è tratto dal racconto “Olio di Oliva e Cotone” di Giovanni Martini.

Fogetta u Pirata de Vase

La Storia di Tedisio Foglietta https://www.ligurianotizie.it/riscoprire-il-nostro-passato-di-tedisio-foglietta/2022/02/17/485246/

Questo aneddoto marinaro è tratto dall’itinerario di Antionotto Usodimare, coraggioso navigatore genovese e precisamente da un codice cartaceo, miscellaneo latino, della seconda metà del secolo XIV, in esso sono tramandate le notizie sulla nave, comandata da Luchino Tarigo e le memorie del suo memorabile viaggio nel mar Caspio, dopo aver riconquistato le rotte mercantili dell’oriente, nel mar Nero, citate anche da Marco Polo nel Milione.

Il resoconto di questa spedizione è merito di Ranieri Bellomini, già mercante di Chio e Caffa, imbarcato sulla galea di Tarigo.

E’ necessario chiarire le differenze tra i due termini, corsari e pirati.

La cosiddetta guerra di corsa, era ufficialmente autorizzata dalla Repubblica di Genova, con la “lettera di marca” dove il comandante si impegnava ad aggredire, solo quelle navi, il cui proprietario era nominato nella lettera, mentre i pirati erano ladroni senza legge e assalivano e derubavano chiunque.

Questa è la cronaca in zeneise misto, di un episodio accaduto durante la spedizione di Luchino Tarigo.

Clepsamia

Il mozzo u giava a clepsamia, quando finiva a rena, giurnu, doppu giurnu, sempre cun la puia, di veder spuntare e galee de teste fasce’e si era domandato, ciu’ de na votta, ma chi me l’ha fetu fa, de esse’ chi, con sto fetente, in mesu a questo mare, de sciabecchi e gabibbi, pe ando’ in tu Geluchelan, duvve discian, che ghe sun di gorghi e di grunghi grossi, che se mangian e barche e u ghe anche la morte neigra!

Chio

U lea Luchino Tarigu, u fetente, baccan, cumandante da galea de Zena, nasciu a Pegi, ommu de mo, cun u muru, brusciou dau su e da sa, u vureiva arrivare a Maona de Chio e a Caffa, doppu i Dardanelli.

I Giustiniani gheiva detu tante palanche e tante, ce ne avevan prumisse, se Zena a pureiva ancun traffigu con a gumma, u mastice, cuttun e l’allume che in Gazaria, ne arrivava, tanta da l’Anatolia e dall’Abcasia.

I Giustiniani

U Giustinian e u gheiva trovou na galea, ma nesciun maina’ vureiva partì, sensa savei di poter tornare!

Alua u Tarigu u l’ha sercou in tutti i recanti de Zena e ha trovato solo i ciù brutti musi che ghea, gente che t’amassa per dui scui, avansi de galea e pendaggi da furca!

E cuscì, in tu 1373 han lasciò Zena, custessandu in tu ma, pin de taggia gue.

I Dardanelli

Aua, doppu tante burrasche e notti sensa luna, grassie au Portulan Venesian* du Tarigu, sono tosto arrivè ai Dardanelli.

*https://www.metropolitano.it/la-geografia-dei-marinai/

Ma quarcosa sta pe succede!

Tarigu, con un braggiu, ciamma u mozzo u ghe disce di rampignose sulla cuffa e di tenere l’occhio a una vela distante, quarche miggia, che solo lui ci aveva visto, in messo alle onde, poi ciamma tutti i ommi de stare prunti e nascusi, che ghean e teste fasce, turchi o cumme belin se ciamman, che arrivavano, e u l’ha fetu dare della peisce sul ponte, per far sgrugiare i piedi dei pirati.

Quando il cielo è diventato scuo, sono arrivati sti ladruin, hanno mainato le vele e a remmi ci hanno dato una botta nel scianco da galea e braggiando, sono montati a bordo, ma erano pochi, desgrasiati e morti de famme e ci prendevano le salaccate e le culate con la peisce sul ponte.

I ommi du Tarigu, ean ciu’ tanti e ciù cattivi, che li hanno ciappati tutti e ci hanno dato tante di quelle botte, che quei meschinetti vureivan ritornare sul loro legno, ma Tarigu da sulu, ci ha dato fuoco e poi l’hanno vista fondare.

Ean undici e li hanno catenati e cacciati a calci e bacchè in ta stiva da galea.

L’indomani mattina,u Tarigu cun un certo Bellomini che sapeva da leggere e da scrivere bene, tirarono foa dalla stiva i meschinetti, che ce li volevano cacciare a mare, ma prima duveivan savei chi erano e vedde se pureivano ciappare de palanche de riscattu.

U Bellomini, scriveiva tutte ste cose , ma quandu ci ha saputo i nomi: Enrico Gratiadeo di Ovada, Ogerio da Bonassoa, Facciolo Ferracane da Assereto, Vivaldino di Auria, Cagnola da Utri, Tedisio Foglietta da Varagine, Sorleone Balestra da Pieve, Asperto Vernasano da Ciavai, Nicolao Torriglia da Saona, Stefano Vaccarosa da sant’Eusebio, s’accorsan che i pirati ciappati sono de Zena e tutti paesan!

U Tarigu alua dalla raggia, ha inisiato a cristonare “Brutti cagnari traditori fetenti, morti de famme, ladruin e sensa segnù!” “nu ve caccio vivi ai pescechen perché prima voggiu stranguove”

A stu puntu a vita di sti meschinetti a lea nelle mani del Bellomini ,che u l’ha cunseggio’ au Tarigu, de tegnì st’ommi, che potevano servì, pe ciappò a Maona di Chio.

Ma a na cundisiun, (che anche un scemmu u ghe diva de sci), “O vi tegnu sulla Galea,ai miei servigi o ve impiccu e poi ve cacciu ai pescechen”

Doppu na streita de man, anche quei pirati, aua fan parte da Galea de Tarigu!

Arrivou a Chio, u l’è bastou ste tante facce, tantu brutte e fo un po’ di burdello, quattro braggi e sensa fare delle battagge, sono riuscii a riconquistare la colonia e turnà a fo i cummerci cun Zena .

A stu punto, cuntenti de avei sarvò a pelle, tanti pirati se sun fermè nella colonia zeneise, altri si sono spersi in giu pe u mundu, sulu un, u nostru paesan u Fogetta u l’è resto’ con Tarigu……

Foglietta divenne uomo fidato di Tarigo e restò al suo fianco compiendo un’altro incredibile viaggio.

Raggiunta la meta e lo scopo ufficiale della spedizione armata dai Giustiniani, che era il ripristino della rotta commerciale di Genova nel mar Nero, ora quegli uomini al comando di Tarigo, potevano dare sfogo ai loro primari istinti predatori.

Nel 1374 Luchino Tarigo e un drapello dei suoi marinai, tra cui il nostro compaesano Foglietta, armarono una fusta, una piccola galea, e partirono da Caffa, l’attuale Feodosiia, risalirono il Tanai ( fiume Don) e nel punto che più si avvicina al Volga, trascinarono l’imbarcazione, per circa sessanta miglia sulla terraferma e la rimisero in acqua nel mar Caspio, costeggiando quel grande invaso d’acqua, depredarono molte ricchezze dalle città, dalle imbarcazioni e dalle carovane di commercianti, subirono diversi attacchi da altri predoni.

Abbandonarono la nave e riuscirono a raggiungere via terra le colonie genovesi del mar Nero e da lì ritornare a Genova, ricchi dei preziosi e delle monete che avevano trafugato.

Caffa

(n.d.r. Da Caffa nel 1346 durante l’assedio dei mongoli, si diffuse un’epidemia di peste, che a causa anche dei commerci marittimi, contagio’ la nostra regione)

Tedisio Foglietta è l’antesignano di altri nostri compaesani, che si avventurarono per mari sconosciuti, forti della tradizione marinara e cantieristica di Varazze, in un periodo storico, dove essere predone, era forse la massima espressione dell’abilità e delle competenze di un navigatore.

L’eccidio del Forte Madonna degli Angeli

La sera del ventitré dicembre 1943, a Savona, una bomba di notevole potenza, lanciata nella “Trattoria della Stazione” (luogo di ritrovo, in via XX settembre, di fascisti e tedeschi) causò 5 morti e 15 feriti (tra questi ultimi, uno dei più noti collaborazionisti, lo squadrista Bonetto, accanito persecutore degli antifascisti savonesi).

Le autorità germaniche, anziché permettere ai fascisti una incontrollata azione di rappresaglia, suggerirono l’opportunità di dare un maggior rilievo all’avvenimento, con una “punizione esemplare” che consentisse di approfittare della circostanza, per eliminare alcuni tra gli antifascisti di maggior prestigio politico locale .

Naturalmente, tale compito venne lasciato alle autorità italiane di polizia e ai fascisti, i quali, dopo aver inutilmente offerto 100.000 lire di premio, per chi avesse fornito notizie sugli autori e sui mandanti dell’attentato, procedettero (per iniziativa del capo della provincia Mirabelli) nella stessa notte dal 23 al 24 dicembre, ad effettuare numerosi arresti di cittadini, sospettati di avere sentimenti antifascisti.

Ma gli obiettivi sulle persone da colpire, erano già abbastanza precisi, la questura savonese, procedette infatti, quasi contemporaneamente, in collaborazione con quella di Genova, a far tradurre a Savona dalle carceri di Marassi (dove si trovava da 2 mesi) l’avvocato Cristoforo Astengo, esponente del movimento Giustizia e Libertà, la sera stessa del 25, si aggiunse alla lista degli arrestati, un esponente del movimento cattolico, l’avvocato Renato Wuillermin, di Finale Ligure.

A Quiliano si ricercava intanto all’avvocato Vittorio Pertusio che sfuggi miracolosamente alla cattura.

Il mattino del 27 dicembre, alle 4, vennero così prelevati dal carcere di Sant’Agostino, (incatenati tra loro in due gruppi) e condotti, su un furgone della questura, alla caserma della milizia in corso Ricci gli Antifascisti:

Cristoforo Astengo avvocato di 56 anni.

Renato Willermin avvocato di 47 anni

Francesco Calcagno contadino di 26 anni

Carlo Rebagliati falegname di 47 anni

Arturo Giacosa operaio di 38 anni

Amelio bolognesi soldato di 31 anni

Aniello Savarese soldato di 21 anni

Alle 6 il furgone poteva già ripartire con i condannati verso il forte di Madonna degli Angeli dove li attendeva un plotone di esecuzione formato da 40 militi.

Anziché essere esposti al tiro dei fucili del plotone, i condannati, sempre incatenati gli uni agli altri, vennero invece obbligati (dal seniore della milizia Rosario Privitera) a voltare la schiena e furono falciati dalle raffiche di un fucile mitragliatore manovrato da 3 militi.

Le sventagliate fecero cadere le vittime gli uni sugli altri; Alcuni tra cui Astengo, Calcagno, Rebagliati, risultarono soltanto feriti.

Fu il brigadiere di pubblica sicurezza, Cardurani che li finì a revolverate, scaricando poi l’arma sui corpi, già privi di vita degli altri caduti.

Questi nomi, sono oggi incisi su di una lapide, affissa al muro, imbiancato di recente, nel piazzale del forte. Nell’intonaco, sono ancora visibili, i segni dei colpi di un mitragliatore di grosso calibro.

Un cartello messo su questo muro, sembra quasi voler supplicare, di avere rispetto e non imbrattare con scritte o disegni, anche questo luogo di storia di un’efferato eccidio fascista.

Mi accompagna, nella visita al forte, effettuata il 30 agosto del 2020, nonostante l’incubo dell’allerta meteo, Giorgio, mio amico ed ex collega, sono stati molti, gli anni passati insieme in Centrale, assunti lo stesso giorno, molti anni fa.

E’ Giorgio, che mi illustra le varie parti del forte.

Grande e’ la delusione, che provo, alla vista delle opere dei grafomani, rispetto a quella provata nella visita del forte di Monte Ciuto!

Nel forte di Monte Ciuto, i cosiddetti graffiti, erano quasi piacevoli, i loro colori, facevano da contrasto, al grigio e al nero degli ambienti.

Ma vedere, l’imponente Forte della Madonna degli Angeli, così imbrattato in ogni sua superfice, senza una logica, con molte scritte senza nesso, anche con le solite cagate pallonare e politiche, fa veramente male!

Si salva solo qualche disegno, di buona fattura, ma poi è solo uno scempio perpetrato da idioti della bomboletta!

E si percepisce anche lo sfogo di rabbia, di una generazione persa e allo sbando, che ha avuto cattivi maestri di vita.

Una nota di biasimo, verso le autorità, amministrative, del demanio, ma anche verso quelle associazioni, che dovrebbero denunciare questa incuria!

Lo stato di abbandono ha contribuito, senza ombra di dubbio, al mancato rispetto di questo luogo della Memoria della città di Savona.

Anche in questo forte, si percepiscono, vent’anni almeno di completo abbandono, evidenziato dalla crescita della vegetazione, dentro e all’esterno delle mura.

E poi….Giorgio mi fa notare tutte quelle palline bianche, che cosa sono?

Ce ne sarà almeno un milione, di questi pallini bianchi!

Sono i proiettili, dei giocatori di softair, chiamati anche softgunners, termini anglofoni, per individuare un “gioco” che si fa con sofisticate armi giocattolo ad aria, simulando azioni belliche, scimmiottando il guerrafondaismo anglo-americano, di cui si nutrono questi marines de nuiotri.

Mi sono documentato, dovrebbe essere plastica biodegradabile il materiale di quelle palline, ma la solita ingannevole parola eco non ci dice quanto tempo impiegherà l’ambiente per “digerire” l’ingente massa di palline, presenti dappertutto in questo monumento storico.

Osservando i diversi accumuli di questi “proiettili”, si può intuire anche, l’accanimento e la ferocia dei combattimenti!

Questo “insano divertimento” è vietato ai minori, quindi gente consapevole e che va a votare…..Scemi di guerra in tempo di pace!

Noi ragazzini, eravamo maestri nell’arte della guerra, perché invece che sofisticate armi giocattoli, avevamo armi di legno, ma una potente forza, che si chiamava fantasia!

Poi però siamo cresciuti aborrendo le armi di qualsiasi tipo!

Resto comunque impressionato, come sempre, di fronte a questi imponenti manufatti, il forte è stato costruito intorno al 1881 dai Savoia e rimase in attività sino alla fine della seconda guerra mondiale.

Deve essere stato enorme, il lavoro effettuato per erigere questa fortezza, in particolare la messa in opera delle cupole, in cemento armato e poi tutti i sistemi e i meccanismi, non più esistenti, per sollevare i proiettili dalla riservetta ai cannoni.

Servirebbero come sono in tutti castelli manieri e fortezze, delle tavole con descrizioni e indicazioni nomi ecc.

Ma che ce frega a noiatri basta far la guera con mio cuggino!

Misuriamo lo spessore, dell’acciaio delle cupole, di osservazione che risulta essere di 5 cm.!

Alcune gocce, ci fanno ritornare all’auto, non prima di qualche foto all’abitato di Savona ai nostri piedi.

Intorno a noi, altre postazioni sono quelle della contraerea che qui aveva alcune postazioni.

Arriva altra gente, una coppietta si scambia delle effusioni e un auto parcheggia nel piazzale.

Attenzione anche, alle numerose feci di cane!

Arriviamo alla Rocca di Legino e mi accorgo di non avere più la camicia di jeans, rimasta su una ringhiera del forte.

Va be’ poca perdita, non ritorno di certo indietro a prenderla inizia a far buio e anche se sono grande e grosso mi inquieta ritornare al forte.

Nel 2018 la lapide che ricorda il luogo dell’eccidio della Strage di Natale è stata vandalizzata da un rigurgito fascista.

Il Comitato e Coordinamento Antifascista di Savona, Medaglia d’Oro al Valor Militare per la Resistenza, il 13 ottobre 2018, pose in opera una nuova targa in sostituzione di quella distrutta a settembre.

Un grazie al mio amico Giorgio

fonte: Cronache Militari della Resistenza in Liguria di Giorgio Gimelli

Lelio Basso

Lelio Basso

Uomo politico italiano nato a Varazze il 25 dicembre 1903, deceduto a Roma il 16 dicembre 1978, Avvocato, studioso marxista, parlamentare e dirigente socialista.

Antifascista fu incarcerato durante la dittatura Deputato e senatore in più legislature e per più raggruppamenti (PSI, PSIUP, sinistra indipendente), per tutta la vita si dedicò al progetto di una società socialista e alla battaglia per i diritti umani, dando vita a fondazioni politico-culturali di grande peso e facendosi promotore di importanti iniziative internazionali.

Membro della Costituente a lui si deve l’Articolo 3 e 49 della nostra Costituzione

Articolo 3 Tutti i cittadini hanno pari dignità sociale e sono eguali davanti alla legge, senza distinzione di sesso, di razza, di lingua, di religione, di opinioni politiche, di condizioni personali e sociali.

Art.49 Tutti i cittadini hanno diritto di associarsi liberamente in partiti per concorrere con metodo democratico a determinare la politica nazionale.

La Fondazione Lelio e Lisli Basso-ISSOCO è un’organizzazione non-profit costituita il 30 luglio 1973, per iniziativa di Lelio Basso e della moglie Elisa (Lisli) Carini, ed eretta in Ente morale con decreto del Presidente della Repubblica italiana n. 503 del 18 giugno 1974 [1]. Nel 2005 si è fusa con la Fondazione Internazionale Lelio Basso (1976), integrando nelle sue attività la promozione dei diritti umani.

La fondazione è un centro di documentazione e di ricerca, di formazione e di promozione culturale nato dalla fusione della biblioteca personale di Basso (all’epoca già dotata di oltre 40.000 volumi) con l’Istituto per lo studio della società contemporanea (ISSOCO), associazione di studi e di ricerche fondata dallo stesso Basso nel novembre 1969 [

https://www.fondazionebasso.it/2015/

La città di Varazze nel 1989 pose una targa in sua memoria.

La Sala Consigliare del Comune di Varazze è intitolata a Lelio Basso.

Targa in memoria di Lelio Basso in via Recagno

Altre notizie biografiche

L’Oratorio

Sciu da Teiru, dove il fiume compie un’ultima curva, girando intorno al colle di S.Donato, prima di sfociare in mare.

Eravamo dei piccoli selvaggi, io e i miei tre amici, dei scavezzacolli anche un pò delinquenti.

Intenti sempre a combinar qualche malefatta.

Sporchi e a volte sanguinanti, con le ginocchia perennemente scorticate.

Si rientrava a casa la sera per beccarci le urla e le botte dei nostri genitori, con la vana minaccia di non uscire più di casa!

Noi padroni del nostro territorio, che era tutto lì, dove il Teiro compie l’ultima curva, intorno al colle di S. Donato, delimitato in alto dalla sommità du Vigno’ e dal colle du Buntempu.

Di questi posti, conoscevamo ogni cosa, ad occhi chiusi, tutti i sentieri del bosco, i posti più inaccessibili dove costruire le capanette o giocare alla guerra.

Sapevamo dove erano gli alberi da frutta, da depredare nella bella stagione.

Avevamo anche un campetto di calcio, dove in quelle calde estati, si alzavano nuvole di polvere, durante le interminabili partite, sotto un sole cocente e poi il fiume….

Il Teiro fonte di innumerevoli giochi e passatempi, come quello della caccia ai “mungagi” le bisce d’acqua, che rischiarono l’estinzione in quegli anni!

E poi i violenti scontri, botte e pietrate, contro la banda del Parasio, quando invadeva il nostro territorio.

1960 inaugurazione del campo di calcio don Morelli e Francesco Cilea

Nel disperato tentativo di “civilizzarci” fummo iscritti all’Oratorio Salesiano.

C’era Don Morelli, che ci sapeva fare con i tipi “difficili” come noi.

Oratorio Salesiano campo di calcio in località Valli

Qui potevamo dar sfogo alle nostre energie, giocando a pallone, su dei veri campi da calcio .

Dopo la messa si faceva colazione al baretto e poi si formavano le squadre, con i due capitani che sceglievano i giocatori da schierare.

Spesso però, per l’abbondanza di materia prima, non si riusciva a entrare in squadra.

Allora provai il ruolo di portiere, c’erano pochi pretendenti e si riusciva a giocare qualche partita.

Durante un incontro, però nel tentativo di deviare un bolide, indirizzato verso la rete, da me difesa, opposi la mano sinistra, e la pallonata me la piegò violentemente all’indietro.

Provai un dolore lancinante e fui costretto ad abbandonare il campo.

Il polso mi fu fasciato stretto, non era rotto, ma dopo una settimana il dolore persisteva e non riuscivo a recuperare l’uso della mano.

Fui accompagnato anche da “un guaritore” a Celle, che sistemava i nervi con un unguento miracoloso oleoso e profumato e con strane parole rituali.

Riacquistai l’uso dell’arto dopo circa un mese!

Non giocai più in porta.

In estate, l’Oratorio organizzava dei tornei, con tanto di sponsor, dei bagni marini o di qualche esercizio commerciale, io solitamente durante queste partite giocavo in difesa.

Con lo sponsor del Biscottificio Giordano, arrivammo a giocarci la finale, e io dovevo marcare il capocannoniere del torneo.

Fisicamente era una lotta impari, lui grande e grosso, io sempre il solito mingherlino.

Riuscii, comunque, a “marcarlo stretto” lui aveva un tiro potente, ma era lento e io riuscivo ad anticipare sempre, le sue giocate.

Ricordo i gesti di stizza, ogni volta che gli portavo via la palla.

La partita finì con un pareggio, e poi per colpa di un arbitraggio scandaloso perdemmo la bella.

Cappella del vecchio Oratorio Salesiano con la statua di Maria Ausiliatrice

L’Oratorio diventò la nostra seconda casa, io e due miei amici facemmo anche i chierichetti, ma non durò molto, eravamo costretti a star troppo tempo fermi e a rispettare tutta quella disciplina era un vero supplizio per noi.

Tutto si svolgeva secondo ritmi prestabiliti, la messa, la partita di pallone, poi il pomeriggio, la funzione pomeridiana con la benedizione e il film al teatro, con l’immancabile sacchetto di patatine e la bottiglia d’aranciata.

La visione del film era gratuita, se sul tesserino c’erano il timbro della messa al mattino ed era stata perforata la tessera, con la stelletta della funzione pomeridiana.

A fine anno, si consegnavano i tesserini e si aveva diritto ad un premio in base alle presenze segnate sopra.

Ricordo quando come primo premio, c’era in palio, una bicicletta.

Io avevo una vecchia bici con le “bachette” e mi piaceva molto quella bici bella nuova.

Allora m’impegnai e riuscii ad avere, a fine anno, una tessera con tutte le presenze della messa al mattino e della funzione pomeridiana.

Ero il bambino, che aveva totalizzato il maggior numero di presenze, il primo premio era mio di diritto.

Ma sfortunatamente, durante la cerimonia di premiazione delle tessere, nel cinema teatro dell’Oratorio, in mezzo al frastuono e alle urla di noi bambini, non udii il mio nome.

E il primo premio, la bicicletta, stranamente, fu ritirata dal palco.

Non c’era più Don Morelli, misteriosamente allontanato qualche anno prima da Varazze.

Mi recai dal nuovo direttore, insieme a mio papà, per chiedere spiegazioni dell’ingiustizia subita.

Ma per tutta risposta, il direttore mi disse, che il mio nome era stato pronunciato, ma nessuno aveva risposto, perché probabilmente io non ero presente durante la premiazione!

E quindi quella bicicletta era stata ritirata e consegnata ad un’altra persona!

Un pensionato che faceva dei lavoretti per l’Oratorio.

A niente servirono le mie proteste e la mia vera versione dei fatti, dove dichiaravo la mia presenza durante la premiazione.

Ma ero un bambino e quindi, secondo il direttore, non potevo essere sincero!

Come contropartita fu commissionata a mio padre, la riparazione di una porta dell’ufficio della direzione dell’Oratorio

Io ebbi un premio di consolazione, un porta penna con l’effige di Don Bosco!

Mai tradire un bambino!

Da quel giorno deluso da quella ingiustizia subita, iniziò il mio allontanamento dal mondo religioso e dai suoi riti.

Per anni, ogni volta che vedevo quella bici, in giro per la città, mi faceva ricordare del torto subito, la riconobbi anche quando cambiò proprietario e fu riverniciata.

Quella fu senz’altro la mia prima e purtroppo non l’ultima, grande delusione della mia vita, brutta cosa però tradire la fiducia di un bambino…..

tratto dai racconti: “Un Bosco un Fiume e Quattro Amici”e “Olio di Oliva e Cotone” di Giovanni Martini.

foto Archivio Fotografico Varagine