Quattro Belle Figge

– Luigina! U Contini u ne fa na fotu, cun a lansetta andemmu?

– Ma cussa ti disci Enrica! Go puia nu so nuo’!

– Mi remu e ti, ti ste de prua e Irene a se mette de puppa.

– Vegnu anche mi!

– Tou lì a Fanetti! Ma te sa neigra cumme un ferrun!

– Alua metti u lesu, che mettimmu a barca in ma

– Madonna! Troppu peisu scuffiemmu!

– Speremmu! Cuscì u vegne quellu bellu zuenu du bagnin a sarvone!

– Te propriu scemma Enrica!

– Irene, ti ghe l’è un mandillu anche pe mi?

– Nu l’ho sa detu a Luigina.

– Sun tutta spetteno’!

– E va ben fa ninte tantu sta foto chissà che fin a faia’…

Tradusiun

– Luigina! Contini ci fa una foto con la barca!

– Ma cosa dici Enrica ho paura non so nuotare!

– Io remo tu stai a prua e Irene a poppa

– Vengo anch’io!

– Ecco la Fanetti, ma come sei abbronzata!

– Allora metti il tappo che mettiamo la barca in mare.

– Madonna troppo peso ci capovolgiamo!

– Speriamo così viene quel bel giovanotto del bagnino a salvarci!

– Sei proprio scema Enrica!

– Irene ce l’hai una fascia per i capelli per me

– L’avevo ma l’ho data a Luigina

– Sono tutta spettinata!

– E va bene non fa niente tanto questa foto chissà che fine farà…

Botte da Orbi au Merco’

U l’ea sa’ un pò che u duveiva succedde.

Marinin a Sguersa a l’ha tio’ na tumata a Giulla a Spellapigoggi, ma cilorba cumme a l’è a la ciappo’ in ta testa Cateinin Taggiaecuscia!

Belin cumme a se’ arragio’!

A l’ha piggio n’ova, cuscì ghe discian ou Suo’, e a l’ha tio’ in ta testa a Marinin.

“Brutta bagascia!” a ga ditu!

A ste parole u l’è sciurti u maiu Beppittu u Beccu.

” A sci? Ciappa’ stu purpu!”

Ma u purpu u l’è finiu in testa au Giuan Ciappasgrigue, quellu cun u purpu in testa u se missu a rie e u l’è andetu a spavento’ e signue madamme che ean a fo di ceti da petenea, Anna a Taggiacapotti

Quelle sun scappe’ e alua tutti a tioghe derè de tuttu, a quelle scignue cun a cua!

Antonio u Lappasuppe u g’ha tio’ de patate cun i brutti….

Nessuna descrizione della foto disponibile.

I Selvaggiastri

C’e’ un oasi di pace e frescura, dove l’acqua sgorga dal ventre della montagna.

È la magia della sorgente dei Sieizi, a Biestro.

Da sempre preziosa fonte, secondo alcuni un elisir di lunga vita

Si viene qua per le sue qualità organolettiche

Oggi eravamo in tanti, conosciuti tramite il Geocaching, un gioco che consiste nella ricerca delle cache, nascoste, da trovare tramite la geolocalizzazione.

Con noi gli ospiti della comunità Praellera, di Cairo Montenotte

Ognuno con la sua storia, con un passato da dimenticare, ma da rispettare, per umanità e per non cadere nelle solite banalità

Una malattia mentale è sempre una cosa di cui è difficile parlare e lo si deve fare solo se si hanno conoscenze o esperienze

E soprattutto ricordare, che possono sempre accadere cose che distruggono l’anima, la mente e portarci in un tunnel da cui è poi difficile, a volte impossibile rivedere la luce.

Scaduti ma presenti, qualcheduno aveva scritto sul muro di Prato Zanino, l’ex manicomio di Cogoleto.

La scritta era ancora visibile non molto tempo fa.

Scaduti perché viviamo in una società cinica, che emargina i deboli, i depressi quelli “difficili” non necessari alla macchina del potere

Ma presenti a non vergognarsi della loro malattia, con cui si può convivere, essere in cura grazie al lavoro di tanti, nelle comunità.

E’ stato un bel gesto, quello degli operatori della comunità di Praellera, essere in questa oasi e condividere una bella giornata insieme a loro.

Mentre la carne cuoceva, abbiamo steso le tovaglie e apparecchiato le tavole, dell’area attrezzata

E’ stato Renato, che ha scelto la sorgente di Biestro, per effettuare questo evento.

Riccardo ha distribuito i prodotti della lavanda, confezionati da Anna, con altri ospiti della comunità

Tutti insieme, hanno deciso di distribuirli durante l’evento

Martino ha dipinto la locandina, con la scritta i Selvaggiastri il sostantivo, con cui si indentificano gli ospiti della comunità

La Geocaching è un’attività, che viene svolta anche nella comunità di Praellera, ormai da diversi anni, coordinata da Nicola, che ha creato un bel gruppo coeso, determinato e autonomo, dove le decisioni vengono prese insieme, durante un’apposita riunione, l’uscita settimanale per il Geocaching è di venerdì

Grazie agli operatori della Comunità Praellera per il loro quotidiano impegno.

Hanno regalato un giorno speciale, a tutti quelli presenti oggi alla sorgente dei Seizi a Biestro.

Grazie a Francesco e Anna per una bella indimenticabile giornata.

L’Estate di Carlino

di Francesco Baggetti

Carlino era il più piccolo dei fratelli, ma si capiva che era speciale.

Quando aveva tra i piedi un pallone

I due fratelli maggiori, che se chiudo gli occhi rivedo, erano fatti di un’altra pasta.

Si diceva che prendevano tante botte, ogni sera quando il papà rincasava.

Era uno di quegli uomini, bestie da lavoro, i minatori, che stavano costruendo l’autostrada.

Senza la bottiglia del vino non sarebbero mai entrati dentro quei buchi

Serviva per stordirsi e poter resistere a scavar dentro la montagna.

Con la polvere nei denti e le ossa squassate dai barramine.

E dimenticare quel lavoro da bestie.

C’era l’inferno lì dentro!

Dopo il lampo della dinamite, si giocavano ogni giorno la pelle.

A star sotto quelle rocce spaccate, sempre a rischio di venir giù.

Il Capo Avanzamento era il primo che entrava e poi dopo il suo ok, entravano gli altri.

Quel giorno non aveva visto quella crepa.

E così avvenne il crollo, improvviso, mortale.

Non si può morire così, a due giorni dalla pensione!

Il capo partecipò al recupero del povero operaio.

Poi sparì nessuno sa dove.

Dicono che sia scappato in Brasile, poi mangiato da un giaguaro.

Per non dire che è in un pilastro della camionale.

Quel giorno la notizia viaggiò veloce, di bocca in bocca fino alla periferia della nostra citta

Dove c’era il nostro campetto da calcio.

Un quadrato spellacchiato di terra e pietre.

Arrivò la mamma di corsa a chiamar i tre figli

Era successo qualcosa di terribile, dentro una montagna tra Varazze e Celle.

Mi ricordo quei ragazzini pensarono a quel loro papà manesco.

Ma che portava lo stipendio tutti i mesi.

Per la disperazione, Carlino tirò verso l’alto il pallone, che fini nelle spine.

Sarà ancora lì quella palla.

Era andata bene, suo papà fu solo sfiorato dal crollo.

Ritardo’ a rincasare e da quella sera, non alzò più le mani sulla moglie e i figli

Storie dimenticate di gente comune.

A gambe nude, sporche di sangue e terra, i ragazzini come me giocavano interminabili partite e lui Carlino il migliore di tutti.

Dopo quel tragico giorno

Ogni tanto, capitava di vedere, il papà di Carlino, con le dita appese alla recinzione.

A guardar quattro ragazzini, tirar calci ad un pallone in quel campetto di periferia…..di terra e pietre.

Potrebbe essere un'immagine raffigurante 1 persona e testo

S.Lorenzo

C’è un tesoro di fede, d’arte e storia, nelle nostre chiese, quelle disperse nel nostro entroterra.

S.Lorenzo è una delle più antiche, costruita in prossimità di un crocevia, probabilmente edificata sopra un preesistente luogo di culto.

Nel 1870 Pietro Rocca, cita il ritrovamento in questa zona di alcune sepolture, d’epoca romana e i resti nell’adiacente località di Isolabella, di un’antica fornace.

Laterizi in pietra cotta, sono ancora presenti sulla copertura della chiesa

La struttura di S Lorenzo è stata rimaneggiata nel tempo, ora necessita di urgenti lavori di riparazione di una cappella laterale e del restauro, dellla grande tela, sopra l altare che raffigura il martirio di S.Lorenzo.

Tra i presenti durante la visita c’è chi ricorda la festa del santo patrono, il 10 agosto e il giocare da bambini all’interno della chiesa, lasciata sempre aperta, come era un tempo per tutti i luoghi di culto.

L’attrazione di chi visita questo luogo di culto è per il gruppo ligneo, della cassa processionale.

Di ottima fattura, le figure molto movimentate che rappresentano le fasi concitate del martirio di S.Lorenzo, sono in scala ridotta di difficile realizzazione.

Il santo fu martirizzato su una graticola ardente.

La tradizione vuole che ai suoi aguzzini dicesse di girarlo sul fuoco, affinché arrostisse per bene

Nella cassa è raffigurato il martirio, dove il Santo è circondato da suoi aguzzini, un sacerdote pagano gli mostra la statuetta di una divinità, in cui porre il suo credo, ma Lorenzo confermò la sua adesione a Cristo subendo questo terribile martirio

La notte di S.Lorenzo si sta con il volto all’insù a guardare il cielo.

A partire dal 17 luglio e fino al 24 agosto, i detriti di una cometa, penetrano l’atmosfera terrestre e fondono provocando le cosiddette stelle cadenti.

Per i greci quelle scie luminose erano il seme disperso da Zeus quando si uni a Danae e da cui nacque Perso.

Oppure per i romani era il dio Priamo che fertilizzava i campi.

Per i cattolici invece le stelle cadenti sono associate alle lacrime di S.Lorenzo, mentre è arso vivo sulla graticola.

Nel 258 l’imperatore Valeriano ordinò di uccidere tutti i vescovi e preti.

A Lorenzo gli fu chiesto di consegnare i tesori della chiesa, lui davanti al prefetto romano indicò i poveri e i malati e disse “Ecco i nostri tesori sono questi”

E’ un santo molto venerato protettore di chi lavora con il fuoco, Vigili del Fuoco, cuochi, fabbri ecc.

Il suo martirio ha ispirato molti artisti, ma secondo gli storici è probabile che S.Lorenzo fu decapitato, il 10 agosto del 258 come il papa Sisto II

L’iconografia lo raffigura sopra la graticola e di questo martirio sono raccontate le più sfrenate fantasie.

Dal santo che si rivolge ai suoi carnefici invitandoli a cuocerlo per bene, al corpo ben cotto di S.Lorenzo, distribuito ai poveri per placare la loro fame.

S.Lorenzo è anche patrono di chi custodisce il sapere nei libri

Nella notte di S.Lorenzo, alla vista di una stella cadente si è soliti esprimere un desiderio è un retaggio dell’Antica Religione, quando si associava ad ogni stella, la nascita di un bambino e quando diventava adulto, la sua stella cadeva, da qui l’usanza di esprimere un desiderio per la speranza di una vita migliore.

Ringrazio Andrea Didda Isetta per la bella e interessante visita della chiesa di S.Lorenzo

Un grazie ad Andrea Firpo per le notizie sulla vita del santo.

Bricoccole e Falò

……sono stato bambino Sciù da Teiru, cresciuto, tra na Sciumea un Boscu e un Campu da Ballun……. e gli alberi da frutta…

In questo periodo dell’anno eravamo tutti indaffarati nelle nostre scorribande per boschi, a giocare in riva al Teiro, a sudare nelle infinite partite di calcio sotto il sole

La frutta, era una specie di pausa in questa nostra frenesia quotidiana.

Sciu da Teiru, tutti facevano l’orto e nelle fasce avevano degli alberi de Scesce, Nespue, Armugnin o Bricoccole, Perseghe, Brigne, Nisoe, Fighi e Merelli.

Nel periodo delle fruttificazioni, noi bambini eravamo molto attenzionati e ogni adulto era autorizzato a usar ogni mezzo, per salvare i suoi frutti e guai, poi dire, che il vicino ci aveva sorpresi nel suo orto e bastonati o presi a calci nel sedere, c’era il rischio di buscarle un’altra volta dai nostri genitori.

Gli adulti erano molto meno di oggi, propensi al dialogo con i figli, e guai a combinare qualcosa, arrivare a casa malconci sporchi o in ritardo per pranzo o cena, sberle e botte erano quotidiane.

Non di rado, chi con la vendita della frutta ci campava, aveva un cane da guardia e lo aizzava contro i ladruncoli sorpresi nella sua proprietà, ma quelle bestiole ci conoscevano bene, avevano preso carezze e pezzi di pane dalle nostre mani e si limitavano ad inseguirci, fino al limite della proprietà e poi ritornavano indietro scodinzolando.

Nella nostra capanetta in mezzo al bosco, faceva bella mostra una cartina, da me disegnata, del nostro territorio, dove erano marcati i sentieri, ruscelli, case e la posizione degli alberi da frutta e se a guardia c’erano dei cani.

Depredavamo gli alberi, ben prima che la frutta raggiungesse la maturazione.

A lato del campetto da calcio, c’era un grande albicocco proprietà dei falegnami Mario e Michè, che non seppero mai che gusto avevano le loro albicocche!

Confessai questi furti, un giorno, qualche anno fa, quando ero andato in visita da Michè, lui ridendo mi minacciò con la mano.

Ci arrampicavamo fin sui rami più sottili per raccoglier quei frutti ancora verdi e aspri.

E che dire di quel grande campo di fragole dau Muin a Vapure, depredato a notte fonda mangiando merelli e sputando la terra.

C’era però un’occasione che ci riconciliava con il mondo degli adulti, un’occasione in cui noi bambini eravamo utili.

Nelle festività di S.Giovanni, e di S. Donato, era tradizione fare i falò.

Qualche settimana prima della ricorrenza, s’iniziava ad accatastare il materiale, la maggior parte del combustibile proveniva dal bosco, rami secchi e brughe.

Un’altra buona fonte di approvvigionamento, erano gli scarti di lavorazione, legna e riccioli, presi presso le tre falegnamerie di via Montegrappa.

Per molti era anche l’occasione di disfarsi di quello che non si riusciva a bruciare nella stufa.

I rifiuti ingombranti erano accantonati in attesa dei falò, dal vecchio comodino sgangherato alle sterpaglie dell’orto, anche gomme d’auto, poca la carta e il cartone quello era ancora utilizzato nelle cartiere.

Nottetempo sparivano, alcune cose dalla catasta, recuperate per essere riutilizzate.

Tutto serviva allo scopo, finirono nel falò anche due pneumatici d’autocarro “gentilmente offerti” da un autotrasportatore.

Quelle carcasse con le tele d’acciaio a vista, dopo una settimana dal rogo, fumavano ancora!

La raccolta e il trasporto dei materiali, furono effettuate, le prime volte, con l’aiuto degli adulti, poi solo noi a gestire il tutto.

Riuscivamo a raccogliere una quantità enorme di materiale e le cataste erano impressionanti.

Al centro, sopra un palo, era issata “ la biondina “di solito una vecchia bambola, che forse simboleggiava ancora nell’inconscio collettivo, la strega data alle fiamme.

All’ora prestabilita, gli abitanti della parte finale di via Monte Grappa, si radunavano intorno alla catasta.

Prima di appiccare il fuoco, si attendeva l’arrivo del vicino di casa o dei famigliari e se qualcheduno tardava allora partiva sempre uno di noi, in bici per avvisarlo.

Appena faceva buio, si accendeva il falò.

All’inizio la gente era stretta intorno al fuoco, ma poi era costretta, ad allontanarsi per il forte calore sprigionato.

Quando le fiamme raggiungevano “la biondina” un applauso spontaneo scoppiava fra i convenuti a vedere il falò

In quell’occasione con tutta la gente del rione riunita, si parlava del più e del meno, si rideva, qualcheduno raccontava storielle allegre, si stringevano mani, ci si dava delle pacche sulle spalle si stava in compagnia, c’era sempre una bottiglia di vino e una torta da dividere a fette.

Noi bambini rallegravamo la serata, con spettacoli pirotecnici, fatti con paglia di ferro, incendiata e poi fatta roteare con uno spago, durante la rotazione per effetto della forza centrifuga si staccavano dei tizzoni, creando un cerchio di scie luminose.

Ricordo le grida di meraviglia delle donne e noi incitati a farle sempre più grandi e più veloci nella rotazione.

Le donne….. l’età dei giochi per noi forse si era protratta più del solito.

Fu proprio dopo un falò, l’ultimo, che i miei due grandi amici se ne andarono.

Il loro papà aveva costruito un’altra casa, più grande e bella, ma dall’altra parte della città.

Ricordo quando ci salutammo, li vidi scendere giù dalla strada in discesa, e io andai loro incontro, come al solito, ma era l’ultima volta.

Ci stringemmo la mano come fanno i grandi.

Ci salutammo, con la promessa che sarebbero, poi tornati a giocare, qualche volta insieme a me.

Li guardai andare via.

Ma la promessa non fu mantenuta, non ci rivedemmo più Sciu da Teiru.

Solo qualche volta per caso, in città.

Per la prima volta, provai una sensazione profonda di delusione e sconforto.

Era finita un’età, quella più bella della mia vita.

A Nae in ti Scoggi

A Maccaia e u Caligu fanno ricordare un fatto accaduto a Varazze.

Nelle serate di primavera, noi zuenotti si usciva per ritrovarsi con gli amici al bar Marilena, per una partita a biliardo o un giro di carte, l’appuntamento fisso erano le partite di coppa viste alla tv del bar, in mezzo al fumo e al tifo di chi aveva trovato posto sulle seggiole.

Quella sera di maggio o forse giugno del 1973 o 1974 però successe qualcosa di insolito, era arrivato il caligo, la nebbia di mare, che aveva avvolto la città in una coltre impenetrabile.

In una pausa di gioco e di parole, si senti distintamente un forte suono provenire dall’esterno.

“Belin ma ..stei un po sitti ei sentiu?” ” Cusse ti ghe te beivu troppu? ” ” Ei sentiu, cussa le’ sta cosa, ma a l’e’ na sirena?”

Ricordo siamo usciti dal bar e a intervalli regolari si sentiva la sirena di una nave.

Incuranti del nebbione salimmo, sui motorini, altri trovarono un passaggio in auto, tutti in direzione del mare e poi di Celle dove all’Aspera c’ erano delle luci e provenivano i squilli di sirena.

Sul posto c erano già diverse persone, nel tratto di Aurelia che sovrasta il mare, lo spettacolo che si presentava era qualcosa di veramente inverosimile!

Una bettolina la Corallina Bunker, si era incagliata con la prua contro gli scogli dell’Aspera, altre luci erano in avvicinamento, quelle di un rimorchiatore, chiamato in suo soccorso e quei suoni di sirena erano proprio diretti a questa imbarcazione, per riuscire a localizzare in mezzo alla nebbia la nave in difficoltà.

Assistemmo per qualche ora, al tentativo, non riuscito, di disincagliare la nave, il primo cavo, quando fu messo in tensione si ruppe con un sibilo e uno schiocco violento, quando uno dei tronconi del cavo colpi’ lo scafo della bettolina.

Fu agganciato un secondo cavo, più robusto, il rimorchiatore diede manetta al motore, ma non riuscì a smuovere lo scafo incastrato fra gli scogli, si udiva un gran frullare di eliche in cavitazione.

Ci furono delle parole urlate nella nebbia forse bestemmie o chissà che.

Il rimorchiatore abbandono’ l’impresa e lo vedemmo a poco a poco, sparire nel caligo.

La mattina dopo la visibilità era buona e chi era presente sul luogo dell’incaglio, racconto’ di un enorme rimorchiatore, forse esagerando, più grande della bettolina, proveniente del porto di Genova, che senza alcun sforzo, tolse la nave dagli scogli.

Il caligo con visibilità zero fu la causa dell’incidente, ma c’era chi disse che forse l’equipaggio era distratto ad ascoltare la partita di coppa.

Nessuno si fece male, non ci furono altre conseguenze, la bettolina non imbarco’ acqua, fu solo necessaria la riparazione dello scafo.

la foto non è della nave incagliata all’Aspera

S.Paragorio e il Solstizio d’Estate.

Eravamo in molti questa mattina, ad assistere allo spettacolo del solstizio, nella chiesa di S.Paragorio a Noli.

Il cielo coperto e qualche goccia, hanno vanificato questa bella tradizione.

Ogni anno è atteso l’arrivo di un raggio di sole, all’interno di questo magnifico monumento nazionale, già cattedrale della diocesi di Savona Noli.

Alle h.10.40, la luce solare disegna una croce sul pavimento della navata centrale, accarezzando il crocifisso situato in alto sopra una trave.

E alle18, l’ultimo raggio di sole, prima del tramonto, attraversa tutto l’emiciclo e va a «morire» su un tabernacolo.

L’attesa di questo evento, è stato l’atto finale di una bella e interessante iniziativa delle Guide del Golfo.

“L’Alba di S.Eugenio e il Solstizio d’estate”

Partenza alle 6, dalla località Merello, a Spotorno e arrivo a Noli, percorrendo la panoramica strada di S.Eugenio.

E’ una viabilità di mezza costa, antichissima strada di collegamento, scavata e strappata dalle rocce di un’acclive pendio a precipizio sul mare, al cospetto della bellezza del Golfo dell’isola, uno stupendo scenario della nostra Liguria.

Interessanti le notizie e le curiosità, illustrate durante il percorso, da Rita Trinchero la nostra guida, molto competente, precisa e gentile.

E poi la medievale Noli, una delle perle della Liguria, da visitare in ogni stagione, meta di numerosi stranieri alla ricerca nella nostra terra, delle testimonianze storiche che questa città ha saputo mantenere, valorizzare e promuovere.

Sono tanti gli angoli suggestivi e le sensazioni, che questi luoghi sanno dare.

L’apoteosi si raggiunge a S.Paragorio, che lascia a chi la visita, la sensazione della bellezza, del sacro e della Storia che permea ogni ciottolo, marmo, legno o pietra con cui è stata costruita.

Belli i bacili, conservati in una teca, il crocifisso in legno arrivato dal mare, la cripta, il trono del vescovo, le pietre tombali, qui è tutto da vedere!

L’escursione per alcuni, è proseguita percorrendo il sentiero, verso Capo Noli, per una visita ad un’altra bellezza naturale, la grotta dei Falsari.

Ricevo e ringrazio Henry Desantis per il seguente link di archeostronomia.

http://www.archaeoastronomy.it/san_paragorio.htm…

Dau Vino’ a Balin-a

Dal n°6 de I Racconti di Paolo Baglietto U Russu

In ta Crusce de vie du Vino’ ci sono quattro strade per il Parasio, il Teiro a Balina e u Sucau

Nella strada verso a Balina ad certo punto ci sono dei precipizi poi la strada continua e arriva in te Rue dove cè un rudere di una casa.

Dietro al bricco Riviasco e le Rue ci sono i Saverghi li c’era una tubazione, che portava l’acqua fino al Vinò.

Un’altra vallata è chiamata e Tane con pietre che sono tane per animali, di fronte a S.Anna, lì mio papà aveva dei prati e erano gli ultimi di Cantalupo

Si doveva passare per bosco perche i fascisti potevano prenderci il grano che passando da questo sentiero portavamo a macinare da Nettin in tu Muin di Posi

Con Franco Pisano siamo a percorrere questa antica viabilità che taglia a mezza costa gli acclivi pendii del monte Zucchero.

Un passaggio pedonale che diventava Stra da Lese in prossimità de Tascee.

Cuba il cane pastore di Franco ci precede e a volte ci indica dove passare ogni tanto fiuta l’aria e si lancia all inseguimento di qualche animale selvatico che si sente grugnire nel folto della vegetazione

Franco richiama più volte Cuba con urla e fischi e mi racconta le avventure venatorie del cane che senza alcuna fatica sale e scende il ripido pendio più volte solo la lingua penzoloni tradisce il suo affanno, ma si percepisce il suo esser a proprio agio in quest’ambiente.

Intorno a noi le testimonianze di un duro lavoro per strappare la terra da questi acclivi pendii

Più volte mi fermo ad ammirare queste incredibili manufatti ogni pietra ha avuto una mano che l’ha messa a posto quello giusto e per sempre resterà lì

Il sentiero segue i contorni attraversa su solide terrazze gli innumerevoli rian uno per ogni gola che incide il monte.

Ad ogni diradamento della vegetazione il sentiero ci regala stupende viste della Custea de Casanova fine all’apoteosi dello scenario du Vignò.

Ringrazio Franco per avermi accompagnato lungo questa antica via di collegamento del Sciu da Teiru

+21

A Muntà da Cappeletta

Al pianoro di S.Lorenzo, arrivava la mulattiera/strada romana, che proveniva dai Posi, Valloia, Peccetti e Cian de Saccun, da qui si dipartivano due strade in salita a Muntà per l’Arpiscella, raccontata nel mio U Pe du Diau e quella in direzione delle Faie, a Muntà da Cappeletta, oggi via Primavera.

Mi è capitato di percorrere, qualche anno fa, nel periodo invernale, questa Muntà, che prosegue per poi confluire, nella soprastante via Poggio

Appropriato il nome Primavera, la natura in questo lembo di territorio soleggiato e protetto dai venti da nord, era già in fase avanzata, con delle belle fioriture di mimosa.

Oggi dell’originale via Primavera, che si diparte al termine dell’asfalto, solo un tratto è percorribile, con grande difficoltà per l’eccessiva crescita della vegetazione, Ruvei, Freisce, Gasie, Frasci, Serveghi, Nimose e tante Brughe.

Poi si arriva alla gigantesca voragine, della frana che proprio qui, il 23 novembre del 2019 si è staccata dalle pendici du Posu, trascinando a valle migliaia di metri cubi di terra e pietre, nella sottostante via Campomarzio, travolgendo centinaia di alberi e grandi massi, cancellando la strada da e verso le Muggine.

Solo se si arriva al cospetto del fronte franoso, ci si rende conto dell’entità di questo enorme distacco, una porzione di collina non c’è più.

Tutto il nostro entroterra e’ un fragile territorio, che sta lentamente, inesorabilmente scivolando a valle.

E’ necessario curare e monitorare le nostre colline, che sono a rischio ad ogni nubifragio, quasi sempre, nel periodo autunnale, quando sulle nostre zone si abbattono tempeste con eccezionali portate d’acqua.

Purtroppo ci siamo abituati al continuo stato di emergenza o far sempre interventi urgenti.

Non esiste una pianificazione, a livello regionale, per la tutela del nostro entroterra e di prevenzione, se ne parla soltanto, ma poi in pratica, sono cose difficili da realizzare, per queste cose mancano sempre i fondi le risorse ecc. e allora non si fa nulla, per mettere in sicurezza questi territori.

Fino al prossimo nubifragio

Eppure se solo ci addentriamo in un bosco, come quello che sovrasta via Primavera, si scopre che qualcheduno, tutto questo lo aveva già previsto molti anni fa.

Con le limitatezze tecniche del suo tempo, ma con un grande e immane lavoro, aveva posto in essere dei rimedi o almeno mitigato gli effetti dell’acqua di dilavamento.

Che questa era una zona a rischio de sbigge, ben lo sapevano quelli che molti anni fa in questi boschi, da dove traevano il loro sostentamento, avevano eretto una quantità enorme di muri a secco, anche con pietre di grandi dimensioni, creando dei terrazzamenti, il cui compito primario era di contenimento e di salvaguardia da eventuali frane.

Ho voluto documentare il lavoro fatto da generazioni di nostri concittadini con le foto allegate a questo post.

Miagge de Prie a perdita d’occhio e alcune Pose, basamenti in pietra dove erano caricati con pesanti fardelli i muli o le schiene degli uomini e poi i Surchi, altra indispensabile opera idraulica, canali per regimentare, trattenere e far defluire le acque, che sarebbero risolutivi anche oggi specie quando i pendii sono molto acclivi come in questa zona.

Posto de Piccapria, nella boscaglia soprastante c’e’ a Ca di Scopellin, cave di pietra la materia prima non mancava, alcune cascine in zona, servivano per gli attrezzi e per il riposo dei cavatori, ma anche zona di coltivazioni, qui favorite dalla presenza di fonti e dal clima mite, anche nella stagione fredda.

Non ultimo un grande panorama con vista dell’alta valle Teiro e in fondo l’orizzonte del mare, questi furono i fattori che determinarono degli insediamenti umani in questa porzione di territorio.

Peccato per il sole che crea isole di luce e confonde i contorni delle cose da vedere in foto.

Appena sopra a Muntà da Cappelletta si trova una cosa insolita, un gigantesco ciappun de pria, uno scivolo naturale , stranamente delimitato nella parte bassa da un muro di notevole spessore, forse eretto per dare stabilità al megalite, oppure molto probabilmente per chiudere la cavità, che formava la grossa pietra, e creare, un riparo sotto roccia, la cui entrata, laterale oggi è occlusa dalla terra, altre dimore dello stesso tipo sono nella zona soprastante, detta delle Agugiaie.