U Ferà de Sciu da Teiru

Possiamo dire, che all’interno della Carpenteria in Ferro di Michele e Gabriele Ciavarella, specializzata in serramenti, ringhiere e costruzioni di saldo carpenteria, coesistono due realtà lontane nel tempo, quella più moderna dove all’ingresso dell’officina ci sono i grandi banchi da lavoro per le costruzioni metalliche a freddo e poi a sinistra la fucina, costruita nel 1955 da Pietro Rebora insieme al fratello Battista “Baci”. Qualche anno dopo anche il cognato Ciavarella Domenico “Mingo” che già faceva il fabbro si aggregò a loro, nell’Officina Rebora.

Mingo

La ditta era specializzata nella costruzione di attrezzi per ogni uso lavorativo, dalla macelleria, cutelassi e marassi, all’agricoltura, sappe, sappette, bagaggi, piccuin, buei, furco’, scuria’ e messuie, alla falegnameria scopelli, ciune e ciunetti poi ancora feri da cavallu e cioi zinche’, per i cantieri navali, e in tempo di guerra i cioi pe i bruchin.

L’Anchise

Serviva l’acciaio di qualità, di solito era quello delle balestre, ma anche l’abilità nel saper usare la forgia, poi la precisione nel battere con il maglio e tanta esperienza per dare la tempra giusta.

Una di queste macchine, un maglio è ancora presente, ed espleta egregiamente il suo compito, non più azionato dall’energia idraulica, ma da un motore elettrico.

Baci

L’officina si trova in località Frati, in sponda destra del Teiro. Per arrivarci: passata la località Cin-a, in vista dell’ex Cartiera dei Defissi, prima del ristorante Dal Gombo, si attraversa il ponte ricostruito dopo l’alluvione del 1968-

Novembre 1968 la piena del fiume ha divelto il ponte in ferro in località Frati sullo sfondo la Cartiera Piccardo in località Defissi.

La ruota a pale in passato era alimentata dalla ciusa dei Defissi, forniva energia cinetica ad altri due magli, quattro mole a smeriglio e due ventilatori per le forge.

L’alluvione del 1968 con la distruzione dell’opera di presa, decretò la fine dell’utilizzo del beo e della ruota.

Novembre 1968 a cianca da Cin-a ha resistito alla piena

Pur essendo costruita sull’argine del fiume, l’officina è stata sempre risparmiata dalla furia delle acque. La curva che compie l’alveo del fiume in questo punto, genera una forza centrifuga, che ha preservato da esondazioni la sponda destra.

A Morscia

Michelino, mi guida in quello che è un vero e proprio museo di famiglia, fra morsce, banchi da travaggiu e anchise un vero e proprio spettacolo della lavorazione a caldo dell’acciaio, con gli attrezzi che erano stati costruiti da suo nonno e poi da suo papà Domenico, ancora custoditi, in un ripostiglio e in bella vista, appesi ai muri della sua fucina, ci sono le grandi tenagge per lavorare il “ferro finchè è caldo” mannaie e coltellacci per macelleria, poi ancora ferri da cavallo e poi infiniti ferri ritorti per ringhiere e cancelli, in zeneise ghirigori con le relative dime, per dargli la forma giusta.

E Seste

Mi parla delle consegne che faceva il nonno, anche in bicicletta trainando un carrettino stracolmo di attrezzatura per macellai e contadini, traspare in Michelino, la voglia di raccontare di questa attività di famiglia, una delle poche ancora tramandate, dal nonno al genero e poi al nipote. Oggi Michelino fa il “garsunetto” al figlio Gabriele, giovane discendente di questa famiglia di fabbri, un pezzo di Storia di Varazze.

Gabriele

foto b/n Archivio Storico Varagine.

Nota dell’autore

Gli articoli sono di libera fruizione e possono essere utilizzati in copia, previa comunicazione e citando la fonte, in alcun modo ne deve essere modificato il testo.

Nello

Nello

Cabassa Nello, Parma 15/04/1938, Nello per noi ragazzi, in età da motorino, anche lui è da annoverare fra Quelli Sciu da Teiru.

Negli anni 70/80, la sua officina di riparazioni moto era un punto di riferimento, un ritrovo di giovani, “in ta Cina” lungo la statale per il Sassello, fra “Gambun” e i “Frati”.

Il motocross la passione degli anni 70/80

Affabile e sempre disponibile, con noi, neofiti delle due ruote, che eravamo presso la sua officina, anche solo per stare in compagnia, quattro chiacchere ad ammirare le moto, che riparava o metteva a punto, per le gare di motocross, sua e nostra grande passione. Da Nello c’era sempre qualcheduno, amici o curiosi dentro o fuori del locale, alle prese con una moto, motorino o scooter.

Campo di motocross Bricco delle Forche

Il cross era una specie di ossessione per noi ragazzi, eravamo sempre a scorrazzare, per sentieri e stradine dell’entroterra, molte erano le piste da cross improvvisate, mitica quella, costruita da noi, sopra un deposito di terra di risulta di qualche scavo, dove ora c’è il campo di atletica, nel Parasio. Aveva un incredibile salitone con salto finale, dove solo i più bravi e con la moto ovviamente elaborata, riuscivano ad arrivare alla sua sommità, la pista, proseguiva tra le buche e la vegetazione cresciuta spontanea su quella montagnola , nessun problema, in caso di caduta, non si rompeva mai niente, i motorini erano tutti in metallo, senza fronzoli e senza plastiche!

Molti anni dopo, in una sera d’inverno, in moto a Savona, una pratica acquisita in gioventù, durante l’esercizio del fuoristrada, mi salvò da una rovinosa caduta. La ruota posteriore dello scooter, perse aderenza sul bagnato, scivolando lateralmente, istintivamente raddrizzai lo scooter con un colpo di reni, un retaggio di giovanili scorribande, senza quella “memoria inconscia” quella sera le cose per me sarebbero andate in altro modo!

Chiunque in possesso di un motorino, era anche un po’ meccanico, grazie ai consigli elargiti generosamente da Nello. Ognuno di noi faceva la manutenzione al proprio bolide e per truccarlo, bastava cambiar il carburatore, una testata ribassata, pignone e corona, ma per altri lavori, più complessi, magari l’aggiunta di due travasi nel cilindro e comunque per malfunzionamenti, c’era Nello!

Non mancavano gli adulti, alle prese con la passione in auge in quegli anni del fuoristrada, c’era un numero infinito di costruttori, sul mercato italiano, con numerosi modelli di moto per l’enduro, il cross e per l’uso esclusivo su pista, i cinquantini la facevano da padrone, fra noi ragazzi, gli adulti in età da lavoro, invece potevano permettersi le 125 cc e le poderose 250cc. a due tempi, dalla potenza esuberante e dal rumore inconfondibile, HP veri, senza limiti e senza diavolerie strane, l’elettronica serviva solo per la scintilla della candela!

Nello aveva fondato un gruppo sportivo, per i raduni e le gare di motocross e di mini moto, dove correvano i suoi quattro figli. Fu lo sponsor della squadra femminile di calcio dell’Alpicella, partecipò anche lui al campionato Piemonte- Liguria di gokart a metà degli anni 80.

Gli avevo chiesto, se era disponibile a raccontar qualcosa della sua bella attività, con le due ruote negli anni 70/80

Accettò di buon grado e al nostro primo incontro, presso la sua abitazione, mi portò in visione, una grande quantità di fotografie, che ritraevano lui, i suoi figli e altre persone di Varazze. Sono molti quelli che riconosco e che ricordo, presenti in quegli anni presso l’officina di Nello, quasi sempre al termine dell’orario di lavoro, come essere al bar fra amici a discutere, in questo caso di HP motori ecc.. Le foto allegate a questo post, sono testimonianze di una bella e operosa attività e farebbero bella mostra, un bel ricordo per tutti noi, nell’Archivio Fotografico Varagine .

Nello era dipendente, della Società Costruzioni Autostrade d’Italia, la SCAI riusciva ad organizzarsi con gli orari, facendo prevalentemente il turno notturno, per tenere aperta la sua officina, di riparazione e vendita moto.

Non basterà un solo incontro, per scrivere di Nello! Nella nostra chiaccherata di un’anno fa,si è parlato anche di quello, che è stato, per molti anni, dal 1965 al 1994, il suo principale lavoro, l’operatore di macchine movimento terra, il palista.

Dimenticate da tutti, sono state molte le cose anche tragiche, accadute, durante la costruzione delle infrastrutture, che sono la dorsale di tutti i trasporti e degli spostamenti su gomma e su ferro della nostra regione e del nord Italia. Furono scavati milioni di metri cubi di terra e roccia poi riversati in mare in gigantesche discariche alla foce del Teiro e all’Aspera, milioni di metri cubi di cemento armato furono messi in opera.

Squadra di calcio femminile dell’Alpicella

Nello, iniziò a lavorare a a 16 anni, quando stavano costruendo l’Autostrada del Sole nei pressi di Parma, all’inizio fu addetto a “rullare” con i nuovi schiacciasassi vibranti a traino, che avevano da poco sostituito, quelli mastodontici a vapore. Fu durante l’esecuzione di questi lavori, che ebbe l’opportunità, di salire per la prima volta, sopra una pala caricatrice, era una Caterpillar 977 e da questo tipo di mezzo, non ne sarebbe più sceso, per molti anni .

Caterpillar 977

Non è possibile, mettere in un testo una vita di lavoro, Nello è un fiume in piena e mi racconta molte cose, riporterò per brevità, solo le cose che a mio parere, ritengo più salienti, conosco l’ambiente della movimentazione terra e affini, ho avuto una mia breve, ma intensa esperienza lavorativa, in un’impresa edile negli anni 70 e poi nella Centrale Termoelettrica Vado Ligure, come addetto alla manutenzione, delle macchine di movimentazione carbone i dozer che operavano nel parco carbone.

Io e il dozer CAT 690D nel parco carbone della Centrale Termoelettrica Vado Ligure

Oggi ho ripreso la mia precedente attività di manutenzione mezzi d’opera, come coadiuvante famigliare, a seguito dell’attività di Alessandro, autoriparatore, anche di mezzi d’opera e di trasporto, presso le imprese edili locali.

Ritornando agli anni 70, nel periodo delle grandi infrastrutture, lungo l’arco montuoso e accidentato della nostra regione. Ci furono i giganteschi lavori, per lo spostamento della ferrovia a monte fuori dai centri abitati delle nostre città costiere, finalmente liberate da quelle pesanti e disagevoli infrastrutture, che opprimevano i centri storici, occludendo la vista del mare. Furono eliminate, molte strettoie sulla via Aurelia, che era anche attraversata in più punti, dalla via ferrata e obbligava le auto allo stop, per il transito dei treni, nella sola tratta Varazze Savona erano 3 i passaggi a livello.

Via Villagrande spostamento a monte linea ferroviaria

Durante i lavori dello spostamento e raddoppio ferroviario, Nello ebbe il battesimo lavorativo dello scavo delle gallerie, innumerevoli furono quelle costruite nella nostra regione, sia per le vie ferrate che per gli spostamenti su gomma. Partecipò, assunto dalla SCAI, alla perforazione di tutte le gallerie, nel nostro circondario. Inserito in una squadra lavori, per lo scavo, i cui componenti erano: il capo imbocco, un palista, i minatori e il fuochino ovvero l’addetto al brillamento delle cariche, per un totale di 12 componenti. Non c’erano le talpe meccaniche, che oggi fanno queste fasi in contemporanea, scavo, estrazione inerti e posa in opera dei conci, la volta della galleria.

Le tecniche di scavo, erano effettuate ancora a mano, tramite la perforazione della roccia, con l’utilizzo dei “baramine” un’asta lunga un paio di metri, forata al centro per il passaggio dell’aria, che doveva tenere pulito il foro, azionata da un martello pneumatico che la faceva ruotare a percussione, effettuava, un foro nella pietra per l’alloggiamento delle cariche esplosive. I fori erano fatti a raggiera, distanziati di circa un metro, l’innesco era a miccia o elettrico e l’esplosione fatta in sequenza, prima brillavano le cariche centrali e poi le cariche esterne, per ogni volata ( esplosione) c’era un avanzamento di circa due metri, nel cuore della montagna. Dopo l’esplosione, quando la nuvola di polvere si era diradata, la galleria era ispezionata, per verificare la presenza di massi pericolanti, al termine dei controlli, entrava in azione Nello e la sua caricatrice gommata, una Caterpillar 977 la più usata in quel periodo, per lo sgombero degli inerti, staccati dall’esplosione.

L’abitacolo delle ruspe negli anni 70, non era chiuso sigillato o con l’aria condizionata, come oggi nei moderni mezzi d’opera, le uniche protezioni erano un tettuccio di lamiera e un fazzoletto davanti alla bocca. Nello era molto apprezzato, per la sua abilità e per l’esperienza accumulata negli innumerevoli cantieri a cui aveva prestato la sua opera, conosciutissimo nell’ambiente della movimentazione terra, era richiesto in prestito da altre imprese, quando era necessario il suo insostituibile operato, in occasione di situazioni particolari e delicate.

Raddoppio ferroviario

Lo scavo delle gallerie, era effettuato sempre in una condizione di massima all’erta, un crollo improvviso, oppure anche uno sprofondamento del terreno, era sempre possibile e innumerevoli furono le vittime, oggi dimenticate, un tributo di sangue per modernizzare e velocizzare i trasporti nel nostro paese.

I minatori anziani, che avevano scavato tunnel, per le estrazioni di minerali in Italia e all’estero, erano fonte di risorse e di precauzioni dettate dalla loro esperienza preziosa di lavori confinati, che se applicata con costanza, poteva fare la differenza, fra la vita o la morte, di chi scavava nel ventre di una montagna

I“vecchi” erano soliti portare, chiuso dento una gabbietta, un topo…. che con il suo squittire li avvisava dell’imminente pericolo di crollo! In altri scenari era un canarino l’animale in gabbia, il primo a soccombere in caso di presenza di gas fra cui il grisù il gas letale, presente nelle miniere di carbone.

Un grave incidente sul lavoro capitò durante lo scavo di una galleria a Chiasso, a causa di una frana all’imbocco del tunnel, un’intera squadra, Nello compreso, rimase per otto giorni, sepolta all’interno della montagna, molti furono i feriti, anche Nello rimase ferito dal crollo della volta della galleria. La cosa più urgente era quella di scongiurare le infezioni e chi aveva delle ferite fu disinfettato con della grappa, sempre presente dove operavano i minatori.

A questo punto del suo raccontare, cambiando tono di voce e con commozione, Nello mi dice che era la grappa, che faceva sopportare attenuare e non pensare, alla fatica e ai pericoli che incombevano sopra la testa di quella povera gente, che ogni giorno si spaccava schiena e polmoni in un lavoro massacrante.

La salvezza di quella squadra sepolta nel ventre della montagna, fu dovuta al tubo dell’aria compressa, che alimentava le apparecchiature pneumatiche di scavo……I vecchi lo avevano detto….. “Tenete sempre a vista il tubo dell’aria è l’unica fonte di salvezza”, il tubo dell’aria compressa era già servito altre volte, a trasportare, cibo acqua e anche notizie, a chi era rimasto intrappolato, e così fu anche in quella drammatica circostanza.

Costruzione viadotto Teiro nord

Ci fu uncrollo con drammatiche conseguenze, in una costruenda galleria autostradale, nel comune di Celle che fece una vittima. Una frana, iniziata, con una piccolo distacco di massi, precedette un altro crollo più esteso, che seppellì un minatore. Anche in circostanze come quelle, i vecchi minatori, consigliavano alle prime avvisaglie di un possibile crollo di spostarsi a ridosso della parete più vicina, dove era meno probabile restare seppelliti o subire delle lesioni, e così fece il malcapitato, ma sfortunatamente, una pesante attrezzatura, gli precipitò addosso, ferendolo mortalmente e per quelle dannate coincidenze che capitano nella vita, quello era l’ultimo giorno di lavoro prima della pensione!

Questa tragica vicenda ebbe un altro risvolto drammattico e misterioso, con la scomparsa del caposquadra, fuggito un attimo prima del crollo, non se ne seppe più nulla è probabile che in preda al panico a seguito di quella tragedia si sia tolto la vita. Il suo corpo fu cercato inutilmente senza esito e di lui non si è mai più ritrovata la benchè minima traccia e ad oggi non si sa più nulla di lui.

Nello, partecipò allo sbancamento delle colline a Valleggia di Quiliano per la costruenda Centrale Enel, anche in questo caso la sua abilità di operatore fu richiesta, per smantellare le colline più alte, dove all’apice i tedeschi, nella seconda guerra mondiale, avevano costruito dei poderosi bunker, smantellati con l’uso della dinamite. Si trattava di fare la pista per gli scraper, macchine autocaricanti e poi di scavare spianare e caricare gli autocarri.

Racconta l’aneddoto, di un addetto alla conta, dell’andirivieni degli autotreni, poco pratico con i numeri e così per tenere il conto, spostava ad ogni passaggio di camion, una pietra da una parte all’altra delle tasche dei pantaloni.

Uno scraper e lavori di sbancamento per la costruzione della Centrale a Quiliano/Vado Ligure

Termina qui questo racconto, molte sarebbero ancora le cose da raccontare specie quelle riguardanti la sua attività con le moto

Un grazie di cuore a Nello per la sua disponibilità a raccontare un pezzo della sua vita, forse meno conosciuta, rispetto a quella della sua attività nell’officina in ta “Cina”

Un luogo del cuore, per Quelli Sciu da Teiru e per tutti i ragazzi degli anni 70/80.

le foto: per gentile concessione Cabassa Nello, Archivio Storico Fotografico Varagine .

A Fea de S.Bertumè

Lungo l’asta del Teiro era tutto un susseguirsi, di opifici, cartee, muin, frantoi, segherie e nei terrazzamenti per gli orti, anche tanti gaggiun da cuniggi, pulà pe galline da ove, recinti per pegue e crave, stalle pe vacche e vitelli, muli e asini

Le attività agricole e di allevamento che procuravano il cibo di tutti i giorni, alla città de Vase erano quasi tutte qui, lungo questa stretta e tortuosa vallata.

Il Bonaparte che aveva censito ogni cosa presente sulle terre da lui conquistate, durante le campagne d’Italia, denominò come Cantone del Teiro, il dipartimento che comprendeva le città di Varazze, Stella Cogoleto e Arenzano, fu un bel riconoscimento alla laboriosità dei nostri avi quelli sciu da Teiru.

Un primato indiscusso, dovuto alle attività lavorative, che traevano la forza motrice dalle acque del nostro fiume, ma anche alle innumerevoli altre produzioni, concentrate lungo il percorso del fiume.

Con la Restaurazione, il toponimo bonapartesco scomparve, lasciando il posto ad un laconico, sciu da Teiru.

Restarono le diffidenze e le differenze sociali, tra i vari quartieri della città di Varazze.

La comunità cristiana, era divisa in quattro parrocchie, non solo spiritualmente ma anche materialmente, tramite invalicabili muri e se il confine, era appena fuori dell’uscio di casa, in caso di morte di un congiunto, per non sottostare alle gabelle della parrocchia rivale, che pretendeva un pagamento extra per esequie di “stranieri”, allora il defunto era calato da una finestra della casa, quella che si affacciava nella giurisdizione della propria parrocchia.

Editto di S.Cluod

Ci fu un sollevamento popolare quando Il Bonaparte emise il famoso editto di Saint Cloud, che ordinava lo spostamento all’esterno dei centri abitati, per motivi di igiene pubblica, dei luoghi di sepoltura,  da sempre adiacenti alle chiese.

Tale provvedimento fu mantenuto dai Savoia anche dopo la disfatta di Napoleone, le truppe piemontesi furono chiamate a domare una rivolta scoppiata in città, quando fu deciso di seppellire i defunti della città, in sponda destra del fiume, nei pressi del Colle di S.Donato.

C’erano comunque alcuni giorni dell’anno, in cui nonostante la divisione parrocchiale, la città si univa e festeggiava i santi di turno, o partecipava alle fiere, in particolare a quella del legno e degli animali.

Questo è un verosimile resoconto di un cronista dell’epoca, inviato a Vase (scritto in zenagliano) alla fiera degli animali che si svolgeva il 24 agosto durante la festa di S.Bartolomeo contitolare con S.Antonio abate dell’Oratorio.

A Fea de San Bertumè e de S.Antonio

 Ancòu a l’è a fea de bestie da soma, da lete, da carne, da lana, galline e cuniggi ma anche roba da mangio’ frutta, verdua ove e furmagetta.

Stamattina fitu, in spiaggia davanti au ma, gh’ean ciù di quaranta vacche, tanto magre, che ci contavi le costigioe, tante pegue cun a lana, giana de pisciu e quarche ase, che tiava di casci.

 Ean tutte bestie dell’Arpiscella, Faje, Sciarburasca, du Sciascellu e de San Martin, ….tante e pegue che vegnivan da Pegui!

In tanti sono arrivati a Vase pe la fea ma anche pe a festa de S.Bertumè e de Sant Antonio patrone dgli animali, gh’ea gente da Cogou, Rensen, Selle, Arbisoa, Sciascellu, Steia, Cianpanù e de Lurba.

Ean tanti quelli de Sciu da Teiru, vegnivan dau Pasciu, Bosin, Gambun, Cin-a, Suttafusellu, S.Anna, Tascee, Valoia, Cian Batò, Beuca, Pancodu, Spalla d’Ursu, Posi, Peiagatti, Pei, etcetera!

Sti manenti e stalè ci hanno portato in ciassa vacche da lete e vitelli, le galline, appeise per le sampe legate con un spago e tanti cuniggi in te gagge, poi ove, furmagette e tumate, meisane e sucche e ci avevano il cantò, per pesare la roba.

u Cantò

Povera gente con le braghe rattopate, signorotti con il vestito della festa, tutti contenti di scendere in piazza per la fiera, di andare in chiesa e nella processione in onore di San Bertumè.

C’era chi portava il Cristo in crocco e chi faceva lo stramuo, era un momento conviviale, di persone semplici, bestie da lavoro, cun niè de figgi da levoghe a fame.

Dal sciu da Teiru ci hanno portato anche due ghinni, tantu grossi, che manco caminavano e si sentiva tanta spussa, prima ancu di averli veduti.

Due signue ben ingiarmate, per fa bela figua in procesciun, se tappavan u nasu e g’han ditu “ma come spussano queste bestie!”che un du  Pei, ci ha risposto di tappase la bocca invece di dire delle belinate, che si sente il cattivo alito, che ci avevano!

Finita la messa han fetu a prucesciun de San Bertumè, con la cascia che è arrivou in Ciassa Banchi, pe fò l’inchin au ma e ai monti, tutti si son fatti u segnu da crusce e si sono messi in senugge.

Finiu de cantà e di dire messa il preve, dallo stradun, ha benedettu  tutti, cristian e bestie tanto fa lo stesso!

 Abbiamo assiso a una bella lite, il preve, finito li sacramenti, ha scelto due galline, pe ove, da mullò in te l’ortu du parrucu, ma un figgiuettu’ de quelli sciu da Teiru, che teneva legate le galline per le sampe, vureiva che u preve, ce le pagasse con le palanche, quelle galline, da ove, ma u preve u ga ditu dammele de badda e me piggiu anche un cuniggiu o ti nu ti entri ciù in Giescia !

Ma a quel seotto poco importava della messa e dei previ.

U figgiuettu alua u l’è andato a ciamare so papà che ci ha dato due lerfoni e di far la penitensa in senuggio sulle prie e di domandare scusa al preve! 

Fatta la festa al Santo, tutta la gente a l’è andeta a vedde le bestie in riva al ma.

Un vegiu pescou, raccunta che tanti anni fa si sono demoati a fare la cursa di asi da Ciassa du Banchi a Santa Cateina e riturnu, c’era tanto da rie a vedere ste bestie, che facevano quellu che vureivan, c’era chi si ciantava con le sampe e non voleva più mesciarsi, un altro ase che andava verso il Teiro, perché ci aveva sete, un’ase ragnava tanto forte che la gente ci faceva il verso, un altro ase tiava casci, tutti si sono demuati e sti asi han fatto tantu rie tutti!

C’era u Senziò, il capopiazza che ciappava le offerte per le varie bestie da vende e poi mettiva d’accordu, chi vende cun chi u l’accatta cuscì alla fine quarcosa ciappava anche lui.

Chi ci aveva il marchio lo faceva scardare sul fogo e fare lo stampo sul didietro delle mucche che aveva cattato.

A vedde sta cosa gh’ea tanta gente, tanta spussa de pelle brusciò e si sentiva tanto ragliare belare e muggire.

L’ommu du mascellu ha cattou de vacche pe la carne, è stato triste vedere quelle povie bestie che andavano all’amasso e pareiva che già lo sapevano perche muginavano.

 E per finire c’è stata la cosa ciu bella na demua a pagamentu, che hanno fatto quelli sciu da Teiru, che a l’ea quella de ciappò e vinse na gallina che era stata mullo`in ta ciassa de San Bertumè u gh’ea tempu un giu de reloiu a pue, pe ciappola, ma nesciun u ghe riusciva sulu quarche ciumma ciappavano.

Le galline du Teiru sono forti e scappan anche dalla vurpe!.

E finia cuscì sta giournò de fea, gh’ea quellu cuntentu perchè ci avevano venduto le vacche e le pegue, otri arraggè cun u senziò, perche l’eiva fetu u furbu e volevano daghe de botte, ma gh’ean e guardie in ta ciassa che te mettivan in gattabuia se ti rattelovi.

Per rispettu a San Bertumè ancò nu se doveva spellare le bestie e così le guardie hanno ciappato due seotti che spellavan i cuniggi in Arsocco e ci hanno dato le baccate!

Quelli sciù da Teiru eivan venduu tuttu, gh’ea restè sulu quarche furmagetta e quattru cuniggi….. e quei dui ghinni che spussavan tantu che nessuno li ha accatati.

Tutti andovan a ca cuntenti de cuntò quella bella giornò de S. Bertumè au ma.

foto tratte da Archivio Fotografico Varagine e da Opifici ad acqua nella Valle Teiro di Lorenzo Arecco

I Giominetti

Gambun

I Giominetti

La famiglia Delfino, residente già dal 700 in Bolzino, erano soprannominati i Giominetti, perchè trasmettevano da sempre, al primogenito, il nome Gerolamo (Giomu) per cui: Gerolamo, di Gerolamo, fu Gerolamo!

I Giuminetti ci avevano case e terren, una ostaia e na bitega in Bosin, e quarche stalla, anche in Gambun , dove cominciava la caretea du Legnu

Qui si fermavano a riposare cavalli mu, pegue e crave.

Bosin

I pastori per poter posà e ossa, anche loro dentro la stalla, ci davano tutto il latte delle pegue, anche i cavalli e mu sderene’ e sbursi de camalo’ du legnu se posavan nella stalla, cun un po’ de brennu, biava e pan bagnou.

Dove finisce la via del legno ci ha un troggio, che viene sempre l’acqua del Quinno e nelle seianne d’estate, si trovano qua, zueni e belle figge dei paraggi a ciappettà e a fare del bordello, che poi chi vuol dormire, dalle gioscie, ci cacciano sempre un bogiolo d’acqua, ma tanto fa caldo e va bene così.

I Giominetti, ci avevano in Gambun, anche una fabbrica de pasta e un bardotto alla noia per far girare le macchine. La faina era quella buona de Utri, che faceva venire buona anche la pasta e la vendevano bene. Ma nel 1915 l’alluvione ci amasso’ il bardotto, con l’acqua nella stalla, che la povia bestia non poteva più scappare e manco respirare e dopo un po’, scoppio anche la guerra e non c’erano più palanche e di pasta nessuno ne voleva più, nel 1920 così serrarono la fabbrica della pasta.

I Giominetti ci avevano anche un barba, che tutti lo ciammavan u Brissoa, perché ancun non aveva mestiere, di dire bene Albissola, era Antonio Caviglia, baccan dei massacani, che era stato quello che con i muin e la calcina, ci ha tirato su il camino della Fabbrica, tanto bene e bella, che ci hanno dato la stella del Cavalier del Lavoro.

I mastri massachen erano capaci di grandi imprese, ben pagati, ricercati dagli imprenditori o dal privato benestante, che voleva costruire o modificar palazzi o ville, qualcheduno di loro  diventava famoso come nel caso di Antonio Caviglia, ma dietro al mastro muratore c’era sempre una torma di boccia, aiutanti  giovani alle prime armi o già mesa casoa, che procuravano, preparavano e fornivano  tutti i materiali da costruzione impalcature e quant’altro il mastro esigeva e come in tante altre attività, gli ultimi arrivati erano sottoposti ad angherie e sfruttamento.

Eredi della famiglia dei Giominetti sono Bianca, Gerolamo, Aldo, Caterina, Prospero e Antonio papà dell’ex Sindaco Giovanni e del dottor Carlo Delfino. ( cit. Giacomo Robello)

La  famiglia Delfino, aveva una fabbrica di pasta, famosa, dove facevano i vermicelli, nel Parasio, in località Busci, il pastificio era di Gerolamo (1878) figlio di Giacomo (1849) che era cognato del Vescovo Bernardo Pizzorno. Giacomo era nipote di un altro Gerolamo (1780) originario di Cogoleto a sua volta figlio di Gerolamo Delfino e di Ginevra Teresa Martini. Giacomo arrivò a Varazze nel 1821, un’anno dopo sposò Nicolosina Baglieto e aveva un’osteria in Bosin ( cit. Mario Damele)

La ciminiera era del Cotonificio Ligure, che per oltre un secolo diede lavoro e benessere alla città , alta circa 40 metri, a seguito del deterioramento della struttura fu rinforzata, con una “camicia di cemento” perdendo così la bellezza originaria dei mattoni a vista.

A Ciminea da Fabrica

Venne abbattuta nel 1999 a seguito della costruzione del complesso residenziale di Corte di Mare, ero presente insieme a molte altre persone per l’annunciato abbattimento della ciminiera, tre suoni di sirena precedettero l’esplosione, che distrusse la base della ciminiera, la quale per alcuni istanti restò ancora in piedi, per poi precipitare al suolo, emettendo un enorme sbuffo di nerofumo, che investì le persone più vicine, spettatori e testimoni dell’abbattimento.

Mario Damele: Nel 1700 i Giuminin-Giuminetti, erano a Cogoleto, sono arrivati a Bolsino nella prima metà dell’800.La fabbrica di pasta era nel Parasio e ci faceva i vermicelli Gerolamo Delfino (1878) di Giacomo (1849) nipote di Gerolamo (1780) di Cogoleto, arrivato a Varazze nel 1821 ( aveva un’osteria in Gambun). Giacomo era cognato del Vescovo Bernardo Pizzorno, avendo sposato la sorella Maria Antonietta Pizzorno.

Roberto Pelosi

Grazie alle informazioni di Mariangela, arrivo da Bin, dove abitano Roberto e Dina Pelosi. So di recar disturbo e per questo scelgo un’ora appropriata di un pomeriggio festivo nuvoloso e raffrescato dal vento di mare, guarderò più volte l’orologio per non indugiare troppo e non essere d’incomodo.

Dina mi indica dove abita Virginio Roberto Pelosi, per tutti Roberto, classe 1937 che mi viene incontro, circondato dai suoi cani, che anche se di taglia minuta, svolgono egregiamente il loro compito di guardia.

Gli vorrei chiedere, di quella casa Dei Pelosi, un tempo eretta al culmine della salitella finale di via Monte Grappa, prima dell’inizio di via Scavino, visitata da bambino con Mariangela e mia sorella Clara, le persone che l’abitavano erano gentili e affabili e di loro,  conservo un buon ricordo.

u palassu i orti e che da Fabrica in via Montegrappa

Pelosi divenne il nome di quel lembo di terra, dove ora si ergono i capannoni con le officine del centro artigianale. Era una casa grigia e bianca, con al pianterreno il posto auto coperto e una porticina che conduceva in un magazzino, a sinistra il pilastro che sosteneva il grande cancello, del passo carrabile, mentre al piano adibito ad abitazione, ci si accedeva, oltrepassando un cancelletto, tramite una scala a destra della casa.

Arrivati a questo punto, dopo aver oltrepassato un pergolato, ombreggiato da un vitigno, con tavolo e sedie per i pranzi estivi, si spalancava alla vista, il grande cortile interno dove si potevano parcheggiare le auto e faceva bella mostra di sé una bella zona erbosa, con un’altalena fissata ai rami di un albero.

Oltre il cortile, c’era una vasta zona coltivata ad orto, in alto quasi nascosta dalla vegetazione, c’era a Ca Vegia adibita a stalla che poteva contenere anche tre mucche. L’acqua per irrigare, era raccolta da un peschea, una vasca, che riceveva le acque del rio che scendeva da Castagna, la località abitata negli anni 60/70 da u San Martin, nomignolo, che indicava senza possibilità di errore, la zona di origine di Giacomo Masio.

a Ca di Pelosi, u Muin a Vapure, da Berio, S.Dunòu, u cunventu de de Suore de Maria Ausilatrice e orti du Gnarin

La strada sterrata, che arrivava fino alla casa da Castagna, divideva la sua proprietà, da quella del Cotonificio Ligure, che comprendeva un bel terreno terrazzato e piantumato a ulivi, questo posto era chiamato da noi bambini i prè, i prati, dove c’era l’erba alta per fare gli scivoloni, meta di giochi e passatempi, ma anche luogo dove si appartavano le coppiette.

Era di proprietà del Cotonificio Ligure, anche la casa Dei Pelosi, data in usufrutto a Romano Pelosi, il papà di Roberto, che faceva il custode della Fabrica.

 Romano Pelosi, nato a Milano e cresciuto a Busto Arsizio, a Varazze per lavoro, visse poi in questa casa, con la moglie Maria Milani nata a Genova da famiglia di antica discendenza genovese, da cui ebbe otto figli, Roberto li elenca in ordine cronologico, Rosetta, Angelo, Clelia, Guido, Roberto, Emilio, Pio, Dina.

Romano Pelosi e Maria Milani

Roberto mi racconta della sua attività lavorativa, prima al cotonificio, quindi nella società dei telefoni IGE, e poi alla Olmo, dove conobbe Gepin Olmo, scopro così, che questo famoso nome, non è legato solo al mondo delle due ruote a pedali, la famiglia Olmo a Milano, Lissone e Zingonia, aveva anche fabbriche specializzate nella produzione di materiali plastici, attività iniziata dopo l’avvento del poliuretano, con tutti i suoi svariati sottoprodotti, tra cui la schiuma sintetica, la base dei materassi tipo permaflex

Negli anni milanesi, Roberto conobbe Giovanna Ferrari che diventerà poi sua moglie nel1967, insieme fondarono un’azienda dedita alle lavorazioni del poliuretano e derivati.

Giovanna Ferrari e Roberto Pelosi

Si sta bene, in compagnia di Roberto e Giovanna, nella loro bella casa con vista panoramica, oggi purtroppo offuscata dalle nuvole di condensazione, si parla di tante altre cose, immancabile l’attualità, in primis lo scempio paesaggistico, operato nella nostra città, in balia del profitto del mattone e delle masse festive del turismo mordi e fuggi. Tutt’altra cosa il nostro entroterra più vivibile e senza lo stress della bolgia estiva.

Chi è nato o abita nelle nostre frazioni, ha un profondo radicamento al territorio e alle tradizioni locali. Questo vale anche per Roberto e Giovanna, che hanno contribuito a mantenere solidale questa piccola comunità di Bin. Giovanna, orgogliosamente, mi fa vedere un grande album di foto, scattate durante il restauro della chiesa della Madonna degli Angeli, la Giescia da Bin, avvenuto nel 2004, dove sono evidenziati i lavori effettuati, con la sostituzione delle travi, tavolame e tegole del tetto. A causa dell’ammaloramento dei muri perimetrali, non è stato possibile mantenere le pietre a vista della struttura esterna, questo ha comportato un ulteriore lavoro di consolidamento dei muri portanti, effettuato con un rinzaffo in cemento e successiva intonacatura, viceversa il campanile a vela è stato riportato in pietra a vista come era in origine.

a giescia da Madonna di Angeli in località Da Bin

Belle le foto dell’album, dove si vedono al lavoro anche Roberto e Giovanna, insieme con gli abitanti di Bin e dell’Alpicella, e poi la foto dei festeggiamenti di fine lavori, con il campo adiacente stracolmo di persone.

La chiesa è privata e una parte delle risorse per il suo restauro sono state ottenute, con gli introiti delle feste della Madonna degli Angeli, effettuata il primo di agosto, di ogni anno, con il piatto forte delle trippe e delle crescentine, cosi chiamate le focaccette bolognesi, cotte nello strutto, consumate accompagnate con affettati e formaggi il menu della sagra comprendeva anche altri piatti e gli immancabili dolci, spesso confezionati dalla gente di Bin.

Con Roberto si parla degli anni del conflitto mondiale, quando nella zona a ridosso del Colle di S.Donato, c’erano diversi insediamenti militari, nei pressi della Ciusa da Fabrica, c’era una batteria contraerea, mentre nell’ex Convento delle Suore di Maria Ausiliatrice alloggiavano degli ufficiali tedeschi, i soldati tedeschi e le milizie fasciste, avevano requisito anche il mattatoio pubblico nel Parasio, qui erano tenuti i cani per ricerca, ma divenne anche una prigione dove erano interrogati gli oppositori al regime fascista e i partigiani o sospetti tali, catturati a seguito di delazioni o di rastrellamenti

 Roberto ricorda la mobilitazione degli abitanti del Parasio, per disinnescare gli esplosivi, messi dai nazifascisti, che avevano minato il tratto di strada dau Puntin, nella salita prima di arrivare nel Parasio, Roberto aveva 8 anni ed era presente quando la dinamite fu gettata nel Teiro, il disinnesco di queste cariche, scongiurarono un’esplosione e conseguente crollo della parete rocciosa, che avrebbe interrotto la strada da e per le frazioni e la direttiva carrabile verso il Giovo Ligure.

Lapide commemorativa dello sminamento, in località Dau Puntin

Parlo del mio girovagare per strade e boschi, dove ci sono molte testimonianze del passato, spesso dimenticate e lasciate all’oblio del tempo, a proposito di questo, Giovanna mi fa partecipe di una sua “scoperta” accompagnandomi a vedere un antico ponte, con due edicole votive poco lontano dalla loro abitazione, ovviamente quasi del tutto inglobato dalla vegetazione.

Arriviamo al cospetto di questo bel ponte ad arco, di ottima fattura sovrastato da un’edicola votiva, come tutte le altre ovviamente priva di statuetta, alto almeno quattro metri, un’altra edicola o nicciu, più piccola, si trova in sponda opposta, nei pressi di una probabile posa, un posatoio per carichi pesanti.

ponte ad arco dau rian du Mu

 Ringrazio Giovanna di avermi accompagnato al cospetto di uno dei molti luoghi presenti nel nostro entroterra, con testimonianze di fede e soprattutto del lavoro, dei nostri conterranei.

Ringrazio Roberto e Giovanna per la loro gentile e cordiale disponibilità a raccontare una parte della storia della Famiglia Pelosi, persone da me conosciute, in quella parte di città denominata Quelli Sciu da Teiru.

Mascee e Panse Voe

Durante i nostri vagabondaggi giovanili, inoltrandoci tra le eriche, pungitopo e rovi, nella zona del rio Riva e la Suia, (la zona soprastante, tra  via Scavino e il campo di atletica ) scoprimmo un posto misterioso, con grandi terrazzamenti, da almeno un secolo abbandonati, nascosti alla vista dai grandi alberi di lecci, che hanno colonizzato, affondando le loro radici, questo acclive pendio, trasformato dal lavoro dell’uomo, in fasce coltivabili.

Nessuno guardando un bosco così fitto, può pensare che anche qui si nasconda una parte di quel grande patrimonio, spesso dimenticato, della nostra comunità, fatto di muretti a secco.

Questo posto negli anni 70, diventò luogo di passatempi e di avventure di noi ragazzi, ma altri ragazzi erano stati qui, molto tempo prima e non per giocare.

Chi erano quelle persone, di cui non abbiamo memoria, che hanno edificato migliaia di km de mascee, i muretti a secco, strappando da un territorio aspro e inospitale, ettari di terra da coltivare, radicando cosi la permanenza di popolo, quello ligure, in questa parte di mondo?

Chi oggi ha pazienza e voglia di osservare, con accuratezza, questi manufatti, non può fare a meno di pensare, alle conoscenze tecniche, all’abilità ma soprattutto all’enorme fatica, profusa dai nostri avi, nel realizzare queste opere, la cui esecuzione è stata tramandata, da padre in figlio e poi al nipote.

 Generazioni a spaccarsi la schiena, sciu da un briccu o na riva, immense fatiche e continui soprusi da parte dei committenti o signorotti locali.

Bestie da lavoro, analfabeti, succubi di ogni potere.

Da questa povera gente, anche il clero riusciva a trarre qualche profitto, tramite le offerte e i lasciti testamentari.

Ogni edificio di culto della nostra città e dell’entroterra è stato edificato con il lavoro, sudore e immense fatiche di questa povera gente, senza alcun compenso per devozione o per aver salvo un posto in paradiso.

Sottoscrizioni, offerte di risorse materiali ed economiche, per edificare gli innumerevoli luoghi di culto, un centinaaio circa, tra Chiese Cappellette, Conventi, Monasteri, Edicole Votive, presenti nel comprensorio della nostra città.

Luoghi di culto edificati per servire ad una grande comunità di fedeli, incamerati nei beni delle Diocesi e oggi venduti per profitti privati.

 Anche i bambini in età scolare, partecipavano alla costruzione delle mascee, a loro erano affidate le mansioni secondarie, ma non meno importanti, come quella del trasporto del vitto, con l’immancabile buttigiun, de vin all’ora di pranzo.

Vino, che annebbiava la mente a uomini diventati bestie da lavoro, attenuava la loro fatica e fame, faceva pensar loro, di vivere in un mondo migliore.

Mascee e panse voe.

Questo è il verosimile racconto, ipoteticamente ritrovato in un cassetto, di un ragazzo di molti anni fa, anche lui, nato e cresciuto Sciu da Teiru.

Ovviamente essendo il ragazzo di madre lingua Zeneise, lo svolgimento è scritto in Zenagliano

Le vacanse

La maestra ci ha dato da scrivere, in bela mano, le vacanse di questa estate.

Io questa estate ci andavo con il mio papà, che faceva i risso’ de prie in ta ciassa da giescia e le muagge delle mascee, di là da S.Dunoù.

La mattina ci portavo i panetti, che mi preparava sempre la bitega du Pasciu e il bottiggione del vino che mi toccava empi’ dalla damigiana.

Visto che sono stato promosso, mi hanno regalato lo spallone nuovo, che ma cucito la mia mamma, per camallare le corbe, che io però ci metto i panetti e il vino da portare a papà e al barba, che travaggiano con le prie e la tera.

Poi con la mia corbetta, camallo i tocchi sciappati, da mettere derè alle miagge, che cusci l’equa quando ciove a sciorte ben.

 Mio barba, mi ha mostrato, come vedde e mette e prie in ta mascea e duvve gan a vena, pe sciapparle cun a pichetta e poi dagghe i corpi cun a massetta per mettila ben a posto.

Sensa che nesciun me l’ha ditu, mi sono messo a camallare le prie, dalla cava di Busci , fino qua e i ommi alua, mi dicevano dove scarigole e mi divan “bravu figgiou” e mi eu cuntentu de do na man.

a cava di Busci

 Dumeniga, sono sgrogiato e mi è cheita la corbetta e tutte le prie si sono spantegate, mio papà mi ha fatto un braggiù e mi ha dato un casu in tu cu, cuscì devo imparare a non inversare più le corbe.

La sera mi faceva male un pè, ma non ce l’ho detto, perchè poi mi braggiavano e mi davan de botte e di stare più attento.

Mio barba, mi vo ben e alua ghe vagu sempre derè a camallare le prie e l’aggiutto tanto con il sappino, a runsare la terra.

 Quandu la campanna di S.Dunou suona messogiorno, me so a se rampiga fino qua, per portare da mangiò e a me disce sempre, “ma cumme ti te spurcò e ti spussi cumme na crava!”, alua mi fassu a pegua, tantu ben che tutti rian, anche me so a rie, che io ci voglio bene a mia so, anche se me piggia in giu.

Fa tantu cadu e alua i ommi posan un po’ e osse e seran  gli occhi, sutta au figu.

pausa pranzo in una cava foto dal Web

Cun me so andemmu in tu rian da Riva, a a serco’ i baggetti.

Poi quandu suona dui botti me so a va via, cun i bagetti in te na buttiggia e mi invece, restu ancun in tu briccu a travaggio fin che ghe da lusce.

 U baccan, u l’arrive sempre u giurnu doppu dumeniga, u parlà cun me papà e u barba e misua de quanti palmi sono le miagge fatte e ci da e palanche, che tutte le volte me papà u mugugna che sono poche e u disce au baccan “cosa ghe daggu da mangiare a ste panse voe di me figgio’!”

U baccan mi ha guardato e ghe disce “dagghe de prie da susso!’”.

Mio barba alua non ci ha più veduto ci a detto che è un “stondaio e che ci inversava tutte le mascee”.

 U baccan alua se missu a rie e u ma tio’ na palanca, ma io non lo mica presa la palanca, alua lui mi ha detto, “prendila è la tua”.

 Ma mi go missu un pe in simma e l ‘ho sutterò.

 U baccan mi ha ditu”sei come tuo padre mugugnate sempre ma siete solo dei poveri cristi gnoranti con la fame nelle ossa!”.

A palanca poi l’ho deta au me papà che mi ha dato un pattone perché il baccan, ghea restato male che ho sotterato la palanca, e che poi finisce che lo licensia.

Chi non ci aveva la fame in te osse, u lea u preve che vegniva a benedettere le fasce ogni meise e faceva solo quattro fasce perchè aveva tanta pancia che ci aveva lo scioppone e benedisceva, con l’acqua e mio papà ci dava due palanche perché cusci le fasce restavan in pè.

Che una votta, non ce ne avevano dato e u giorno doppu ci hanno trovato una fascia inversata e che mio barba, era andato in ta giescia e ci ha preso il campanaro per il collo, che quasi lo stranguiova.

E alua, aua u preve non benedisceiva ciù e prie, ma sulu i cristien, che mio barba non vuole, perché dice che porta male e faremo la fine delle mascee che deruano.

Questa è stata una bela estate abbiamo fatto tante mascee che mio papa’ mi dice di non scrive ciu’ ninte, perché a scoa nu serve pe’ fo e mascee.

foto b/n Archivio Fotografico Varagine

Penolle

Penolle

Vedo Penolle in officina e gli chiedo, il perché di questo suo nome, poi mi racconta altre cose e allora gli chiedo, se vuole scrivere qualcosa della sua vita, acconsente di buon grado e nei giorni a seguire, si ferma piu’ volte con l’auto, per chiedermi quando sono libero, perché molte sono le cose che mi deve raccontare.

Di seguito una sintesi, del lungo dialogo, effettuato in un pomeriggio di settembre 2020. Alessandro Risso è nato in località u Bacchettu, vegnindu da Vase, dopu u Pasciu e Bosin prima de Gambun e da Cina, questi sono tutti i toponimi di un tratto di strada, della direttrice verso la frazione Pero, lunga non più di 600 metri, in queste località erano fiorenti molte attività, soprattutto opifici, che traevano la forza motrice dalle acque del Teiro.

Gambun

E’ nato il 29 settembre 1929 fra poco, saranno 91 primavere! Il nomignolo, con cui è identificato, insieme al fratello e alla sorella, deriva da suo padre, Francesco Risso, nato a Genova Pra’ che era solito pronunciare e ripetere, in tenera età, la parola pennello, e cosi, storpiato dall’inflessione dialettale, i Risso diventarono la famiglia Penolle! Gli pseudonimi, erano molto in uso negli anni passati, non si conosceva quasi mai, il vero cognome, perché le famiglie erano identificate, con dei nomignoli, legati ai mestieri, alla loro dimora o ad altre circostanze vissute nella loro vita, anche i nomi propri, delle persone, erano sostituiti da parole in gergo, legate quasi sempre a mestieri, fatti accaduti o anche come vezzeggiativo o dispregiativo della persona.

Alessandro, mi racconta della famiglia di sua madre, Emma Bianchi e della sua numerosa famiglia, undici tra fratelli e sorelle! I suoi nonni, misero al mondo il primo figlio, quando la somma delle loro età era appena di 32 anni!Il primo lavoro del padre fu il fornaio, presso la panetteria Giordano.Poi in località Calabraghe, insieme ai figli, aprì il primo magazzino, di raccolta ferrovecchio, carta e stoffe.Durante il conflitto mondiale la famiglia si trasferì per sicurezza in località Gambone. Prudentemente, Il cavallo utilizzato per tirare il carro, allo scoppio della guerra, fu venduto, per la paura, del tutto fondata, che fosse requisito dai militari o peggio mandato al macello.In mancanza della forza animale, la raccolta dei rottami di ferro, carta e stoffa e anche legno e mobilia, era effettuata tramite il tiro a mano di carretti.

u Borgu

Ricorda i bombardamenti di Varazze, in particolare quello disastroso della città del 13 giugno 1944, con molte vittime civili, le bombe, mancarono l’obiettivo, che era il ponte della ferrovia e colpirono il centro storico. Vide gli aerei che si abbassavano verso il centro abitato di Varazze dopo il sorvolo del Vignolo e poi il rumore e il fumo delle esplosioni. Diversi furono i bombardamenti della città, in uno di questi l’obiettivo era il Cotonificio Ligure, dove però due bombe senza esplodere, finirono, una nel greto del fiume e l’altra, trapassando una finestra dell’edificio industriale, rimase poi incastrata nelle scale. Una bomba d’aereo, invece esplose, in un altro bombardamento, nei fondi del “palazzo della fabbrica “senza però, fare grandi danni, poiché’ l’edificio era il primo a Varazze, costruito con la struttura in cemento armato.

Al termine del conflitto, la famiglia ritornò alla propria abitazione in via Malocello. Ricorda di aver fatto dei buoni affari, con il Cotonificio Ligure, in particolare, qualche mese prima di partire per fare il militare di leva, quando per i telai della tessitura, servivano delle catene tipo quelle da biciclette, Penolle riuscì a fornire lo stabilimento di una discreta quantità, di questi oggetti, accumulando un profitto di 20.000 lire. Il turismo a Varazze, era solo di chi se lo poteva permettere, i signorotti arrivavano a Varazze, con le loro “servette” conobbe una di queste, si chiamava Ines, un amore giovanile, di quelli che restano per sempre nel cuore.

Fu precettato, per il servizio di leva, fece il CAR a Palermo nella divisione Folgore, ma niente lanci con il paracadute, serviva personale, per le comunicazioni radiotelefoniche. Gran parte delle forze armate erano tutte concentrate lungo il confine nord orientale d’Italia da dove poteva provenire un’eventuale minaccia dell’armata rossa. Inviato a Conegliano Veneto, fu poi dislocato anche a Treviso Asiago, Pordenone e Monfalcone. Terminato il servizio militare, sposò la compianta Randazzo Angiola e prese casa ad Albisola.

L’ attività fu trasferita, in un nuovo magazzino, da Berio, nella zona del Mulino Vecchio. Al termine della guerra, era grande la richiesta di ferro, per ricostruire l’Italia e Penolle, unico raccoglitore della città, era il destinatario di chi voleva disfarsi di ogni cosa materiale oppure di chi voleva racimolare, qualche soldo, vendendo oggetti in ferro ma anche carta cartone stoffe e mobilia. Aumentò il volume degli affari, e la sua attività era ricercata anche in altri comuni Tutta la provincia di Savona fino ad Alassio poi Isoverde, Campomorone in provincia di Genova, e la provincia di Alessandria. A Cogoleto era predisposto un binario morto, per il carico nei vagoni ferroviari, degli sfridi di lavorazione delle industrie locali e delle carcasse di autoveicoli da rottamare.

da Berio

Nella località Mulino a Vapore erano molte le attività insediate.La famiglia Berio, nel suo opificio, produceva l’olio di sansa e presso il ponte du Rissulin, aveva il deposito delle ossa recuperate dal vicino macello comunale per essere poi lavorate nel mulino a vapore, per farne il sapone. Nei pressi dell’oleificio dei Berio, si insediò la ditta Righetti che sotto l’egida, del direttore del Cotonificio Ligure, Rubino aveva l’esclusività, della raccolta degli stracci sporchi di grassi e olio provenienti dalle lavorazioni delle varie industrie della città, gli stracci erano poi restituiti puliti e i residui di olio recuperati messi in vendita come petrolio lampante.

Ricorda il lungo Teiro di Varazze pre-guerra dopo lo stabilimento del Cotonifico Ligure in direzione del centro erano solo orti quelli della Lomellina e della Camminata, che occupavano questi grandi spazi, ora completamente edificati. Fra le poche case in mezzo agli orti, una in particolare, la casa della “cuttelea” così chiamata, per un fatto di sangue, ma nascose per molti anni, anche un altro segreto. Fu un fatto di cronaca, dei primi anni del dopoguerra, quando un carabiniere, si suicidò, forse per un amore negato, davanti al Cotonificio, la notizia fu tenuta segreta dal comando militare e oggi più nessuno la ricorda. Qualche anno dopo, l’appartamento, dove risiedeva il militare, fu sgombrato dal mobilio, per essere venduto e per questo lavoro, fu chiamato Penolle .Era un mobilio ben conservato destinato ad essere rivenduto, ma in un “segreto” di una consolle, Penolle trovò il testamento del carabiniere e una pistola. Le ultime volontà del povero militare furono consegnate alla vicina stazione dei carabinieri e la pistola, per evitare complicazioni, fu gettata in mare.

a Fabrica e orti da Lumellina

Nel lungo Teiro, oltre agli orti c’erano molte altre attività, perse per sempre, come la fabbrica del ghiaccio, demolita proprio da Penolle, la fabbrica dei dadi da cucina e quella dei tappi di sughero, entrambe queste due ultime attività, erano in sponda sinistra del fiume Teiro, nei pressi della località Mulinetti, all’inizio di via Bianca.

Penolle è una figura conosciutissima a Varazze, ricordo il suo magazzino da Berio in prossimità del pilone dell’autostrada, i rumori che provenivano oltre la recinzione erano significativi di un’attività in corso, ogni giorno giorni festivi compresi e in qualsiasi condizione di tempo. Mi complimento con lui, per l’età raggiunta e per la sua lucida memoria di fatti lontani nel tempo, si schernisce dicendomi che la memoria la sta perdendo, ma poi come se mi avesse letto nel pensiero, mi confessa il suo segreto di lunga vita, in primis una predisposizione genetica avendo in famiglia una zia ultracentenaria e poi di aver sempre fatto un lavoro di fatica e con molti rischi, ma di aver sempre lavorato all’aria aperta e di non essere mai stato sottopadrone. Mi confessa di non essere troppo portato per la socialità, al contrario della moglie a cui piaceva stare in compagnia delle amiche. E cosi capitava a volte che la domenica sera, per anticipare l’attività della settimana, Penolle transitava con il suo camion, carico di rottami di ferro, anche in pieno agosto, obbligato a fermarsi più volte per non ostacolare il passeggio serale dei bagnanti.

Vase

Troppo angusto il magazzino presso il pilone autostradale e non in regola con nuovi adempimenti di legge, allora Penolle costruì un capannone di 800 mq in frazione Pero e la ditta diventò Alessandro Risso & figlio proseguendo cosi’ l’attività di famiglia.Termina qui questo lungo racconto di cose e fatti, di molti anni fa, sono anche miei ricordi di cose viste vissute e di persone degli anni 70.

Settembre 2020

foto b/n Archivio Fotografico Varagine