BSA WM 20

La BSA WM20 è la versione militare del modello civile M20.

Alienata in forti quantitativi dalle forze armate alleate al termine della seconda guerra mondiale, le moto ed altri mezzi militari erano raggruppati nei campi ARAR dove erano cedute ai privati, per essere “civilizzate” tramite modifiche, sostituzioni di particolari cromature e poi vendute.

L’esemplare nelle foto è una BSA WM20 del 1943 anche lei “pesantemente civilizzata”.

Il mio intervento di restauro è stato quello di riportare la moto alla sua origine militare, tramite lo smontaggio completo di tutti i particolari, con la sostituzione dei parafanghi, del manubrio e della marmitta.

Ho voluto mantenere la storia della moto lasciando la “patina del tempo” usando dei prodotti per bloccare l’ossidazione.

Tubo di scarico e marmitta sono stati protetti dall’ossidazione tramite l’applicazione di vernice trasparente per alte temperature.

I parafanghi di nuova fornitura sono stati sverniciati e resi conformi all’aspetto della moto tramite un’attivatore di ossido.

Per conservare la testimonianza dei lavori effettuati negli anni, ho lasciato alcune parti ancora con residui di cromatura e alcuni particolari che erano stati adattati alla moto, come la parabola faro, il clacson di produzione italiana, l’anello parafiamma del tubo di scarico e un bauletto anche lui con la cromatura ancora in buono stato, la sella è quella originale, consunta dal tempo e dall’uso ma ancora utilizzabile.

La meccanica è stata completamente revisionata con rettifica cilindro e spianatura testata, sostituzione delle valvole e delle molle sono stati sostituiti tutti i cuscinetti, guarnizioni e particolari usurati dischi frizione, catena trasmissione secondaria, pignone e corona, ganasce freni.

Il carburatore è il suo originale Amal, gli articoli delle riviste specializzate, dedicati al restauro di questa moto, consigliano la sua sostituzione con il più performante carburatore Dell’Orto.

Il magnete e il regolatore di tensione sono stati revisionati dal mio collega e amico, Giovanni.

Giovanni Anselmo, coltiva da anni la passione per il restauro, specie quello molto interessante e divulgativo, dal punto di vista storico e tecnico, delle moto militari.

Sono almeno una ventina le moto militari di sua proprietà, che furono utilizzate in tutti i fronti della seconda guerra mondiale, inglesi, statunitensi tedesche francesi e italiane, riportate allo stato di perfetta efficenza e di rispetto e cura dei particolari d’epoca da Anselmo che ha realizzato negli anni grazie alla sua passione e alle sue capacità tecniche, quelle che sono a tutti gli effetti delle opere vere e proprie opere d’arte di meccanica.

Ovvia la sua disapprovazione alla vista della ruggine a vista in questa mia “opera d’arte”(si fa per dire).

Questioni di punti di vista, nel restauro della mia BSA ho seguito i dettami del mio passato di restauro di mobili…dove è possibile, non togliere i segni che ha lasciato il passare del tempo.

Il 30 maggio 2020 è stato avviato il motore ed effettuate alcune prove su strada.

In seguito ho posizionato il “desert stand” un pratico cavalletto laterale, di nuova fornitura ma probabile presenza durante l’uso militare, visto l’impronta che la sua installazione ha lasciato sul telaio.

Nessun problema per il reperimento dei ricambi originali o ricostruiti da ordinare online e provenienti in buona parte dall’India dove diversi esemplari di questa moto sono ancora in uso.

U campusantu vegiu de Vase

l 12 giugno 1804 Napoleone Bonaparte, firmava il “Décret impérial sur les sépultures”, conosciuto anche come “Editto di Saint-Cloud”.

Si sanciva così a tutti gli effetti la nascita dei cimiteri moderni e si regolava una volta per tutte la pratica delle sepolture.

Le finalità dell’editto erano due.

La prima era igienico-sanitaria: si rendeva necessario evitare di continuare a stipare i corpi dei defunti nelle chiese e la conseguente diffusione di orrendi olezzi e malattie.

La seconda finalità era invece di tipo ideologico-politico: le tombe dovevano essere tutte uguali tra loro, nel rispetto del principio rivoluzionario di uguaglianza (ovviamente però fu consentito ai personaggi o alle famiglie illustri di avere in concessione dei terreni su cui costruire il loro sepolcro con monumento commemorativo annesso. Alla fine, nonostante i buoni propositi, i privilegiati riescono sempre, in ogni epoca, ad imporre i loro desideri).

L’editto, esteso all’Italia il 5 settembre 1806, ispirò ad Ugo Foscolo la stesura del carme “Dei Sepolcri” nello stesso anno, che venne poi dato alle stampe nel 1807.I principi del documento napoleonico sono gli stessi che ritroviamo nel regolamento del Monumentale di Torino quando venne aperto al pubblico nel 1829.

A Varazze nel 1836, ci fu una sommossa popolare, soffocata dai Piemontesi di stanza a Savona, causata dalla decisione di mutare di luogo il Camposanto della città.

Il Cimitero principale di Varazze era lungo il Teiro ai piedi del colle di S.Donato in sponda destra del fiume da questa località si decideva nel 1836 di trasportarlo ( a seguito dell’esondazione del Teiro del 1835 n.d.r) prima nell’orto del parroco, quindi nel borgo del Solaro e infine nella Caminata, nelle vicinanze del Cinema Teiro. Ma un magnate (Camogli n.d.r) di quel tempo, che aveva nella Caminata, una conceria e fertili terreni, ottenne che il cimitero si trasferisse in una sua proprieta’ dove è attualmente

Ecco la cronaca di quei giorni scritta in zenagliano o ligurese.

Da S.Dunou si vedeva a pua che fasceivan i cavalli sciù da Teiru.

“Sun i franseisi!” han bragiau!

Alua, tutta la gente è scappata a scundise, i ommi in ta sciumea, per cogge le prie da tirare ai surdatti.

Previ e prevosti de cursa a sunno’ le campane, come quando arrivavan a Vase quei mangiaprevi di franseisi.

Ma i surdatti non erano della Franza, ean da Cumpagnia de Sanna.

I Sardi du re, che vegnivan a Vase, per pestare, chi voleva purtò via i morti, dau campusantu.

Che u lea dall’otra spunda de San Duno’

Il Teiro un anno fa nel campusantu, ci aveva fatto tanta disgrasia!

Scoverciato le tombe e portato via le crusci e le casce da mortu!

Che quarcheduna non l’hanno più vista e foscia è arrivata in ma.

I ciù cattivi ean quelli de Tasca e du Burgu, che ce l’aveva mandati il preve, che voleva che il santo campo fosse scavato dalla vegia giescia.

Dove ci ha l’orto u parroco, dappò anche quelli du Suo’ vureivan mettere i loro morti a S.Bertume’.

Avevano taccato bega u Burgu e u Suo’ ma poi fatto pasce.

Ditu fetu, ognuno pureiva tenere i morti al redosso della sua giescia!

Come era prima che arrivassero quei mangiaprevi de franseisi

Ma u Podesta’ u gha ditu, che non si poteva fare più cuscì, perchè chi moe, ora va messo in ta terra.

Suttero’ luntan dalle case e dalle giesce, dove c’è poco posto e che poi si diventa marotti dalla spussa.

E u leiva decisu, che il camposanto duveiva esse nella Camminata, dove i Camuggi ci avevano la pellaia e i orti.

Alua quelli du Burgu e du Suò quando lo hanno savuto, hanno taccato lite con il Podestà, che ha ciammato le guardie e a Cumpagnia de Sanna, che erano Sardi e de Turin.

Fecero battaggia, cun quelli de Vase, sciù da Teiru.

I surdatti ci avevano le sciabbre, che piu’ d’uno lo hanno sguarato, che poi c’era la fila di ommi sanguinati dallo Spedale di Cabraghe.

C’è voluto quattru giurni, de braggi e de botte, cun i previ prevosti e beghine che si erano sprangati in te giescie a sunno’ le campane.

La povia gente invece in te ciasse e in ti caruggi a tirare le prie de Teiru ai surdatti, che poi hanno sparato con i schioppi e impallinato tanti zueni e vegi.

Ma è prie non erano tirate solo per i camposanti.

A nesciun ghe piasceiva ciappo’ de botte dai Sardi e mancu da quelli de Turin.

E alua a gente a bragiava viva Zena!

Quella nostra repubblica data a quelli de Turin!

E allora qualcheduno si è misso a bragiare Viva la repubblica!

Anche viva Napuleun!

Altri alua hanno bragiato Viva Maria!

La proposta di un facoltoso membro della famiglia Camogli, pose fine a quelle concitate giornate.

Cedette al comune a prezzo di favore, un terreno di sua proprietà tra u Tanun e il rio Cucco da adibire a cimitero urbano.

Ma la generosità di quel benemerito cittadino celava una vendetta famigliare.

U capatassu di Camuggi, non era abbortomelito.

Non vureiva il camposanto nella Camminata e dalla sua pellaia del Teiro.

Ci ha messo una pessa e fatto finire le botte e le palle da schioppo.

Camuggi u l’eiva rattello’ cu so free quellu da Ca Grande dell’Aspia.

E alua pe foghe dispetu u g’ha purto’ u campusantu sutta ca!

U l’ha detu de badda au comune un toccu de tera dau Tanun au Rian du Cuccu

A gente de Vase a lea cuntenta de avei un belu campusantu cun i marmi e cappelle e tanta terra santa.

La duvve, versu Sana, finisce Vase…sutta a Ca Grande dell’Aspia.

foto Archivio Storico Varagine

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E Bumbe a Vase

In questi giorni, nel 1944 in un aeroporto della Puglia, in quel pezzo d’Italia, liberato dagli alleati, dopo lo sbarco in Sicilia del nove luglio del 1943, si stava pianificando il bombardamento della nostra città, che sarà poi effettuato il 13 giugno.

L’obbiettivo doveva essere la linea ferroviaria, che con un ponte, al centro della città, superava il fiume Teiro.

Far saltare un ponte in ferro, voleva dire bloccare per molto tempo la ferrovia e con essa eventuali trasporti di truppe, magari di rinforzo verso la Costa Azzurra, dove a Cannes, il quindici agosto del 1944 era già previsto lo sbarco alleato, e poi c’erano quei treni armati, unica arma a difesa delle nostre coste, che poteva impensierire gli alleati, in caso di sbarco.

I cinque treni armati, presenti in Liguria, furono requisiti dai tedeschi dopo l’otto settembre e messi in disarmo a qualcheduno fu smontato un cannone, e utilizzato a difesa delle spiagge, ma erano comunque sempre potenziali pericoli.

Tagliare in due la linea ferrata, voleva dire renderli inutili.

Ma fu veramente fatto un errore, nello sgancio di quelle bombe, che mancarono il bersaglio e finirono in via Malocello e via Carattino?

Gli aerei americani avevano un sofisticato sistema di puntamento, il Norden, che con l’inserimento dei dati necessari, velocità altezza ecc. aveva una buona precisione, ad esempio un bombardiere americano, riusciva a lanciare un ‘ordigno da 6000 metri d’altezza e centrare un obbiettivo nel raggio di 30 metri.

Gli aerei che bombardarono Varazze, erano dei B25 e non si sa, se erano dotati di questa apparecchiatura, molto probabilmente però, non fu usata, chi ha assistito al passaggio degli aerei, nei pressi della località

Gambun, ricorda, che dopo il primo passaggio, fatto ad alta quota, i bombardieri, avevano invertito la rotta, ritornando a bassa quota sul cielo della nostra città sorvolando u Vignò, un’altra testimonianza, dalle alture di Cogoleto, ricorda di aver visto, la serie di esplosioni, che distrussero parte del centro storico e molte altre bombe che esplosero in mare, come a volersi disfare del carico di ordigni, prima di intraprendere il lungo viaggio verso la Puglia all’aeroporto di partenza .

Fu fallita la distruzione del ponte o era il centro storico

il vero obbiettivo di quegli aerei?

C’erano delle armi dall’Assunta?

Con il procedere del conflitto, gli anglo americani fecero proprie le tattiche, sperimentate dai tedeschi, nei bombardamenti su Londra, era la guerra totale, non solo obiettivi militari, ma anche contro la sua economia e le infrastrutture, effettuate, inevitabilmente, coinvolgendo anche i civili.

Una strategia in grado di distruggere il morale della popolazione.

Furono bombardate le grandi città del nord, Torino, Milano e soprattutto Genova, vittima del primo bombardamento a tappeto su una città italiana, effettuato di giorno e proseguito nella notte, del 22 ottobre del 1943, dove molte furono le vittime civili.

L’intensificarsi dei bombardamenti, sui centri abitati, ebbe due effetti, in un primo tempo, ci fu un’ondata di risentimento, verso gli alleati, ma poi vista, l’incapacità degli eserciti dell’asse di reagire, allo strapotere anglo americano, i cittadini sfiniti, dalla fame e dalla paura, iniziarono a chiedere la fine della guerra, anche con gli scioperi nel triangolo industriale.

Ma nonostante tutto questo e anche dopo l’otto settembre, il folle, che aveva portato un povero paese, in una guerra persa in partenza, succube dell’alleato germanico, decise di continuare con la mattanza degli italiani.

Seppe solo dire, a chi gli chiedeva che cosa fare, “disperdetevi nelle campagne”.

Nei prossimi giorni, pubblicherò in due parti, la storia di una famiglia, travolta nella nostra città dagli eventi della guerra.

Vorrei dare così, il mio piccolo contributo al ricordo di quelle 51 vittime innocenti del 13 giugno 1944 a fine conflitto furono 70, gente comune, povera gente sempre la stessa a soccombere, quando scoppia una guerra……. una bomba….o un’epidemia

Mario Traversi e Teodolinda

Mario Traversi con un viaggio onirico, a ritrorso nel tempo, incontrò nel 590 d.c. sulla spiaggia di Varagine, Teodolinda, ai bagni di sole e acqua denominati Mediolanum

Fu ricevuto nella tenda regale, dove la regina stava trascorrendo un breve periodo di vacanza, sulla nostra spiaggia.

Mario, fu colpito dalla bellezza e dal portamento di Teodolinda, dalle sue movenze e nonostante il lungo abito da spiaggia si intuivano le forme di un corpo giovane e sinuoso.

Con un bel sorriso, la regina lo invitò a sedersi su una stuoia

Erano molte le domande che Mario voleva fare alla regina

Prima di incontrare Teodolinda, Mario aveva ascoltato quello che dicevano i suoi compaesani, convenuti sulla battigia, per ammirare gli sfarzi della corte regale.

Tutti avevano capito, il perché di quel soggiorno marino della regina.

Il motivo erano le altre tende, quelle che si vedevano in lontananza, sotto la punta dell’Aspera, dove si era accampato Agilulfo

C’era chi giurava, di aver visto Teodolinda e il duca di Torino bagnarsi nudi sotto la luna d’agosto

Mille domande affollavano la testa di Mario, che alla fine le chiese notizie del Re Autario

Mai domanda fu più inopportuna, vide la regina aggrottare la fronte.

Ma poi sul suo volto ritornò il sorriso.

Teodolinda offri a Mario una coppa di vino.

Mario ebbe come un presentimento.

Poi un brivido lungo la schiena, lo trattenne dal sorseggiare quel vino.

A questo punto Teodolinda afferro’ il calice, che Mario teneva in mano e bevve un lungo sorso di vino, poi con un sorriso lo restituì al suo ospite.

La Storia

Con Mario siamo capitati per caso o chissà perché, dalla cappella di S.Michele a La Carta di Sassello

Questa chiesa, fu costruita nel 1523, sui resti del cippo del 600 d.c, eretto dai 40 fuochi o famiglie che abitavano in questo territorio, per festeggiare il passaggio della regina Teodolinda, durante il suo viaggio da Pavia a Varazze.

Dalle leggende storiche, Teodolinda, figlia del re Longobardo Garipaldo ”era statis eleganti forma”

Nell’anno 589, sposò Autari, re dei Longobardi, “satis juvenili aetate floridus” e lo seguiva nelle battute di caccia “in Silvam Urbis” nell’Alta Val d’Orba, dove sembra che Teodolinda abbia pernottato, nel suo viaggio da Pavia capitale dei re Longobardi a Varazze.

Nella nostra citta, avevano dei possedimenti

In uno dei capanni, che venivano approntati come rifugio per i re Longobardi, nelle battute di caccia, Teodolinda avrebbe ricevuto gli omaggi e i doni dei vassalli e delle quaranta famiglie ivi residenti, la località dove avvenne l’incontro fu in seguito chiamata Piazza Doni

Per vedere la bella Teodolinda, che guardandosi allo specchio si pavoneggiava esclamando “ Se lo specchio non mi inganna sono la più bella del contado” arrivò gente anche da altri paesi,

Rivolgendosi ai suoi sudditi, dopo aver raccomandato la buona dottrina cristiana, lesse e spiegò ai vassalli e ai contadini illetterati le leggi da osservare e i tributi in natura da versare ai fattori con il codice detto “ la Carta”

Da qui il nome della località del Sassellese dove si erge la chiesa di S.Michele

La Storia/Leggenda ci dice che la regina, si recava in spiaggia a Varazze, per fare i bagni e dove Teodolinda avrebbe incontrato il duca di Augusta Taurinorum (Torino), follemente innamorata di lui, avrebbe pensato di avvelenare Autari

I Longobardi si erano affezionati a Teodolinda e dopo la morte di Autari, le permisero di conservare la dignità regale e la invitarono a scegliersi un marito.

Ma c’era già il predestinato.

In seconde nozze nell’autunno del 590, Teodolinda sposò Agilulfo, il duca di Torino, “uomo molto coraggioso e forte in guerra tanto di aspetto che di animo a governare “(scrive Paolo Diacono cap 3 n°35)

Sempre la Storia/Leggenda, dice che la regina invitò Agilulfo a recarsi da lei, a Lomello, in provincia di Pavia, Teodolinda si fece versare un po’ di vino e dopo aver bevuto per prima, offrì ad Agilulfo quello che era rimasto nel calice

Il duca di Torino, prese la tazza e le baciò la mano, ella diventando tutta rossa, gli disse che non doveva baciarle la mano, ma il volto.

E avvicinandosi, per avere il bacio, gli sussurrò che lo aveva scelto come sposo.

Così Agilulfo, divenne re dei Longobardi.

Ma pare che da tempo, avesse tramato per eliminare Autari.

Il Dio Pen

Ci fu un’adorazione del dio Pen anche sul Monte Beigua, uno dei tre luoghi sacri del popolo dei Liguri?

La toponomastica sembra escluderlo, ma le nostre alture fanno pur sempre parte degli Ap-penini.

Un monte sacro il Monte Greppino, si erge solitario alle falde del Beigua.

Il suo nome contiene il suffisso Pin per assonanza vocale molto simile a Pen

Questo dio, per i Liguri aveva la sua dimora, nelle grandi pietre e pareti rocciose.

Sopra gli Armuzzi località dell’ Alpicella, il cui toponimo deriva da armuzzu, arma, armisu, armussi, che in dialetto significa, riparo sotto roccia o capanno di montagna, ci sono possibili testimonianze di questa devozione.

Nel pianoro sottostante, al cospetto della grande parete delle Rocche Raggiose (già Rocca de Giuse) sono evidenti le tracce di antichissime frequentazioni.

In un’ambiente primordiale, enormi megaliti, giacciono sovrapposti, incastrati, incastonati formando dedali, cunicoli, gallerie e ripari, oggi parzialmente interrati.

Un masso con delle pietre ben squadrate potrebbe essere stata, una pira funebre

Bellissime in questo periodo dell’anno le colture di Erba Cocca che rivestono con un manto verde questi macigni.

Dinanzi a questa esibizione di forza della natura, non si può restare impassibili, fatalisti o indifferenti!

Qui si scateno’ una forza mostruosa, che fece precipitare enormi massi, rimasti lì immemori da millenni a rappresentare con la loro fissità, un tremendo enorme cataclisma.

Non è da escludere, l’ipotesi di una grande tragedia, quando queste enormi rocce rovinarono sopra degli esseri umani, che qui in una zona soleggiata e riparata dai venti avevano trovato dimora.

Un Vento Strano

di Francesco Baggetti

Seguendo delle prede, un gruppo di cacciatori scoprì questo luogo, riparato dai venti da un’alta parete rocciosa, esposto al sole e con un vasto pianoro.

L’acqua, poco distante cadeva dall’alto di quella rupe.

Forse questo luogo ideale per un’insediamento umano, si svelo’ casualmente, durante il recupero di un grande animale, inseguito e fatto precipitare nello strapiombo.

Il pianoro sottostante, era perfetto per costruire le capanne e mettere in pratica le prime colture.

La posizione sopraelevata permetteva di spaziare con lo sguardo i territori sottostanti.

Potevano continuare a cacciare facendo precipitare le prede da quel dirupo, nei pressi di quel piccolo villaggio dove altri componenti di quella tribù erano pronti a far la loro parte.

La tranquillità di quel villaggio, venne stravolta un pomeriggio assolato di fine estate.

…..si alzò un vento strano, aria calda, un uomo di religione, percepì qualcosa, alzò lo sguardo come se intuisse una strana presenza mai sentita prima.

La terra sussultò come una cavalletta impazzita e un rombo assordante accompagnò il precipitare della rocca frantumata in grossi massi che crollò su quel villaggio di capanne.

I Liguri erano abituati a fuggire velocemente ad ogni pericolo molti si salvarono, ma qualcuno meno lesto, rimase inesorabilmente sepolto sotto quei macigni.

Perché quella disgrazia?

Un Dio che viveva nelle rocce aveva parlato!

Pochi sacrifici erano stati fatti, il dio Pen, li aveva puniti facendo rotolare quelle pietre.

Lui, la grande roccia che li proteggeva, voleva sacrifici in suo onore.

Il cerchio di pietre a lui dedicato,era stato risparmiato da quella pioggia di massi.

Quello era il segnale!

Il dio Pen, non voleva cacciare via gli uomini ma la loro devozione.

Così sentenziò quell’uomo religioso.

Il dio Pen aveva dato prova dell’immensa forza che celava la grande roccia!

I Liguri per ingraziarsi quella divinità, iniziarono ad erigere ai piedi di quella roccia alcuni altari, usando le sacre pietre che Pen aveva scagliato su di loro.

Oggi appare evidente che alcuni di questi megaliti furono spostati dalla forza di molti di uomini.

Un lavoro immane!

I secchi colpi dati alle pietre per modellare gli altari, eccheggiarono in tutta la valle, attirando altri gruppi di umani.

Circospetti si avvicinavano a quel luogo, dove si lavorava alacremente e anche loro finirono per aggregarsi agli omaggi al dio Pen.

Prima che la sua ira si riversasse anche su di loro.

Durante le notti del solstizio estivo, chi aveva dimora, in quella immensa valle si recava a rendere omaggio in quello che divenne un grande centro di culto dei Liguri.

In quelle notti d’estate si potevano scorgere fuochi sparsi per tutto il pianoro. Animali sgozzati sugli altari posti leggermente in discesa per raccogliere il sangue in ciotole di pietra.

L’apoteosi di quella cerimonia era sopra un’altare, più grande, in posizione rialzata rispetto a tutti gli altri, dove era sacrificato l’animale più grande, di solito un magnifico cervo maschio.

Il sacerdote pronunciava parole e formule antiche mentre il coltello penetrava nel collo dell’animale, il sangue arrossava rocce e terra ed era canalizzato da quell’uomo religioso con un lungo bastone.

Lui in quei rivoli di sangue sapeva leggere il futuro.

Iniziava un nuovo anno solare.

Erano raccolte alcuni tipi di erbe e si beveva la rugiada del mattino

Tutti, radunati ai piedi dell’altare ripetevano, come un mantra la nenia del sacerdote.

Poi iniziava la festa, intorno a quei fuochi, si attraversavano le fiamme con danze e canti.

Le donne si appartavano, seguite dagli uomini.

Qualche essere superiore aveva pianificato tutto, la primavera successiva sarebbe cresciuto il numero di individui in quella tribù

Per molti solstizi quel luogo fu usato dai Liguri come un grande santuario in nome di quel dio.

Il tempo passò, altri uomini arrivarono dai monti e poi dal mare, con nuovi attrezzi e nuove armi.

Gente violenta e non più rispettosa della natura.

Quei sacri megaliti divennero la materia prima per edificare le loro abitazioni in pietra e per il sedime di un’importante via di comunicazione.

Altre religioni si sovrapposero a quelle antiche venerazioni, ma sempre lì in quei luoghi fu eretto un monastero.

Luoghi sacri per sempre.

Altre litanie vennero pronunciate da uomini religiosi.

Altri canti in coro echeggiarono in quella valle, in nome di un solo Dio.

Ma questa è un’altra storia.

Francesco Baggetti

I Santini nella Storia

Domenica 9 giugno ci sarà la visita guidata del Santuario di Nostra Signora della Croce a Castagnabuona.

Nella stessa giornata, saranno esposte le bellissime collezioni di Giusi e Antonietta, Santini, Messali e alcuni Quadretti Devozionali

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I Santini erano conservati nei taschini, dentro un cappello chiusi nei portafogli o nelle borse delle donne

Era uso tenerli fra le pagine come segnalibri

Oppure fissati alle porte delle stalle, come quelli di S.Antonio, protettore degli animali.

Se sono mancanti di un angolo è perché molto probabilmente e stato fatto ingerire ad un persona malata.

La malavita organizzata ne fa spergiuro, utilizzandoli durante le loro macabre cerimonie.

I Santini nascono come forma di devozione, a metà del 1400, con le immagini della Madonna, Gesù e dei Santi

Si diffondono nel 1500, quando monache e frati di clausura, dipingevano piccole immagini, su carta, per persone facoltose, da conservare all’interno dei libri da preghiera

Diventano vere e proprie opere d’arte, esemplari unici di grande bellezza e laboriosità, come i famosi canivets prodotti a partire dal 1700.

I canivets hanno il bordo finemente intagliato come un pizzo.

Questa forma di devozione fu proibita nei paesi protestanti

Grandi produttori di Immaginette sacre furono i Gesuiti.

Il Consiglio di Trento nel 1563 per evitare abusi, divise i Santini in devozionali e di culto.

I Santini devozionali, venerano l’effige sacra riprodotta.

Quelli di culto, sono quelli che narrano storie e miracoli.

Il Santino si adegua alle migliorie di stampa, con la tecnica di stampa a punzone, si possono produrre in serie supporti in canivets, a contorno delle immagini.

Continua anche in questo periodo storico, dipingere Santini sempre più ricchi di colori, con dorature, l’inserimento di fiori secchi e reliquie

A partire dal 1870, con l’avvento della fotografia le foto sono inserite nei Santini, paesaggi santi e santuari ecc. sono colorati a mano.

A fine 800, inizi del 900, i quest’arte sacra ha la maggiore diffusione.

I Santini sono stampati, per essere diffusi fra gli strati popolari dei fedeli, destinati a chi era analfabeta e privo di cultura.

Per insegnare la fede cristiana imitando il catechismo.

È considerata una forma d’arte minore, anche se fino agli anni 20 erano realizzati anche da pittori poi divenuti celebri

La qualità artistica e del supporto cartaceo del Santino decade fra le due guerre mondiali.

Negli anni 30, il Santino sarà in bianco e nero come le foto dell’epoca.

Successivamente, negli anni 40/60, ritorneranno i colori molto gradevoli dal punto di vista artistico

Oggi i Santini, sono un oggetto da collezionisti, ma sono conservati, anche come ricordo di eventi significativi

La retorica, delle scene raffigurate è molto diversa da come oggi è praticata la fede cristiana.

Ma è un prezioso documento dell’evoluzione storica della chiesa.

Giusi così definisce i Santini

“In queste immagini sacre, si sente un mondo quasi incomprensibile oggi, ma pieno di poesia e di vita vera, vissuta con dignità e con un sano rispetto del sacro, che riempiva i misteri che fanno parte di ognuno di noi.”

Cosa emmu persu

Una bella ragazza, fa l ok con un’assaggio di spaghetti, all’ingresso di Varazze, sotto l’insegna di un noto ex dancing ex ristorante ex ex ex.

Troppi a mio parere, gli ex che comunque davano lustro e posti di lavoro alla nostra città.

Tento un sommario elenco, senza scomodare troppo la storia.

L’ ex Nautilus, l’ex Ram Jam, Invidia, Lido, k559, Boschetto, Tana, l’ Acquarius l’Escargot e poi le balere nell’entroterra le Muggine e Giavarosso gli ex cinema Verdi, Teiro e Eden questo per quanto riguarda i divertimenti, poi c’e’ tutto il resto, l’ex Ospedale e Casa del Nonno, ceduto l’altro ieri ai privati, l’ex campo sportivo Pino Ferro!

Avevamo un campo da calcio da 11 giocatori e altri 5 comprese le frazioni, l’ex Pino Ferro era stato declassato a parcheggio camper e che dire dell’ex area industriale Baglietto, Piombo,Giuntini, Rocca, dove sono cresciuti palazzi come funghi?

E il marchio Baglietto non poteva restare a Varazze?

Ma l’elenco è ancora lungo, Varazze era la città dei 110 hotel, quanti ne sono rimasti?

Quanti ristoranti e negozi hanno tirato giù la saracinesca negli ultimi anni?

Anche cose minori, ma non meno importanti, come le ex spiagge libere, ma quelle le abbiamo perse a poco a poco a partire da molti anni fa.

Sono cambiate molte cose in questi anni, anche il nostro modo di vivere.

Oggi lunghe file di auto scendono dell’entroterra per recarsi al lavoro in un’altra città.

Serviva una pianificazione a lungo termine, mantenere qualcheduna delle nostre manifatture che abbiamo perso per sempre.

A questo punto, servirebbe sapere quale sarà il futuro della nostra citta’

Bunna giornata

I Santini.

Domenica 9 giugno ci sarà la visita guidata del Santuario di Nostra Signora della Croce a Castagnabuona.

Nella stessa giornata, saranno esposte le bellissime collezioni di Giusi e Antonietta, Santini, Messali e alcuni Quadretti Devozionali

Il Santino e’ un oggetto di devozione, oggi bistrattato, eppure quante cose potrebbero dirci quelle immaginette, specie quelle sgualcite, consunte da tanti passaggi di mano e di baci. Santini avuti in cambio di un offerta alla chiesa, durante una festa del santo patrono o per aver partecipato ad un pellegrinaggio, arrivando su un bricco dove c’era un santuario

Portati a casa come ricordo, insieme a e reste de nisoe per i figgiò, conservati con cura in un libro o in un taschino.

Erano i nostri vecchi, quelle persone, quasi tutti contadini con uno sguardo al cielo, per devozione o per paura di quelle nuvole sul mare, prima di piegare la schiena, in un altra lunga giornata di lavoro.

La fede li aiutava a tirare a campare e ad allevare dei figli.

Non avevano altra speranza

Figli e nipoti, non continuarono il giamin dei vegi, si persero così per sempre, antichissimi riti, racconti, commemorazioni e festività

Oggi c’è nuova vita per questi simboli di devozione, con collezioni, mostre e ricerche storiche.

Vere e proprie opere d’arte, in miniatura, come i Santini con canivets

Alcuni hanno storie personali, belle o brutte da raccontare.

Giusi e Antonietta avevano già un discreto numero di Santini e altri oggetti, quando furono esposti nel 2002, nella chiesa di Nostra Signora della Croce.

Giusi così definisce i Santini

“In queste immagini sacre, si sente un mondo quasi incomprensibile oggi, ma pieno di poesia e di vita vera, vissuta con dignità e con un sano rispetto del sacro, che riempiva i misteri che fanno parte di ognuno di noi.”

Le foto sono relative alla bellissima raccolta di Giusi, che annovera almeno 200 Santini, tutti ben protetti in appositi raccoglitori.

A Biscia

Fermo la moto in uno spiazzo, sono nella strada del Beigua.

Basta poco, a noi uomini, quattro passi e una lampo.

Strana sensazione…non sono solo.

Chissà dove ma in tutti noi, è rimasto qualcosa del primitivo spirito di sopravvivenza.

Guardo oltre la punta delle scarpe.

La vedo, ferma immobile, attorcigliata su un ramo secco, ma il colore verde erba ne tradisce la presenza, nel sottobosco di foglie.

Mi guarda, mi avvicino per farle una foto.

È un bell’esemplare, oltre il metro di lunghezza

Lei mi fa capire di mantenere una certa distanza.

Il collo assume la forma a molla, prima di un attacco.

La sua lingua mi annusa.

E capace di sentire la mia andrenalina

Poi con grande eleganza si allontana.

Sparisce nel suo mondo, di mimetismo e agguati.

A Balilla in ta Paggia

Alla nostra generazione spetta un compito arduo…

L’ho già detto in altre circostanze.

Noi indigeni nativi degli anni 60 o poco prima, siamo stati testimoni di cambiamenti epocali, dalla pietra al cemento, dall’acciaio alla plastica, dal lavoro manuale a quello meccanizzato.

…..dalle cose semplici a quelle complicate!

Purtroppo tante cose le abbiamo già perse per sempre.

Crollate o sepolte dal cemento.

Per pigrizia o per discutibile scelta, smaltite in una discarica.

Ma non tutto è perduto

Chi per competenze proprie, acquisite o cercate, se è uomo o donna di buona volontà, può se vuole, nel suo piccolo mettere in salvo, qualsiasi cosa, destinata a sicura rovina o all’oblio.

Na Cascina, na Mascea un Ciappin de Pria.

Atre cose, fete da na man d’ommu

Anche il racconto di una persona anziana.

Aver cura di antichi attrezzi o dei mobili dei nonni.

Rimettere in funzione una vecchia moto

O fare un restauro conservativo di un’auto, come sta facendo Serafino Delfino.

Che ha realizzato un sogno, di tutti quelli patiti e ricercatori di cose vecchie.

“Ritrovare un’auto o una moto, svelando il tesoro che si nascondeva sotto una montagna di fieno o una catasta di balle di paglia!”

L’auto era abbandonata all’usura del tempo, in una baracca, sommersa dalla paglia e dalla terra.

L’originale Balilla berlina e’ stata modificata come accadeva spesso a questo modello d’auto, in camioncino, tramite il taglio della parte posteriore.

Motore e trasmissione non sono bloccati.

Antieconomico e molto impegnativo, effettuare un completo restauro della carrozzeria, mancano alcune parti, altre sono erose dalla corrosione.

Revisionare le parti meccaniche non è certo un problema per Serafino!

La scelta di un ripristino solo funzionale e non estetico è la soluzione migliore, per non cancellare i segni del tempo, a mio parere bellissimi, di quest’auto.

Nonostante le pessime condizioni in cui è stata ritrovata, le foto mettono in bella mostra le parti curve, arrotondate, raccordate dei vari componenti della carrozzeria, perfettamente proporzionate, armonizzate fra di loro e il contrasto con superfici lineari, trasmettono una sensazione di bellezza.

Chi ha ideato e poi costruito quest’auto ha voluto fare una cosa bella!

…ecco un’altra cosa, forse la più importante che oggi non abbiamo, più il senso delle cose belle.

Buon lavoro Serafino!