
Grazie alle informazioni di Mariangela, arrivo da Bin, dove abitano Roberto e Dina Pelosi. So di recar disturbo e per questo scelgo un’ora appropriata di un pomeriggio festivo nuvoloso e raffrescato dal vento di mare, guarderò più volte l’orologio per non indugiare troppo e non essere d’incomodo.
Dina mi indica dove abita Virginio Roberto Pelosi, per tutti Roberto, classe 1937 che mi viene incontro, circondato dai suoi cani, che anche se di taglia minuta, svolgono egregiamente il loro compito di guardia.
Gli vorrei chiedere, di quella casa Dei Pelosi, un tempo eretta al culmine della salitella finale di via Monte Grappa, prima dell’inizio di via Scavino, visitata da bambino con Mariangela e mia sorella Clara, le persone che l’abitavano erano gentili e affabili e di loro, conservo un buon ricordo.

Pelosi divenne il nome di quel lembo di terra, dove ora si ergono i capannoni con le officine del centro artigianale. Era una casa grigia e bianca, con al pianterreno il posto auto coperto e una porticina che conduceva in un magazzino, a sinistra il pilastro che sosteneva il grande cancello, del passo carrabile, mentre al piano adibito ad abitazione, ci si accedeva, oltrepassando un cancelletto, tramite una scala a destra della casa.
Arrivati a questo punto, dopo aver oltrepassato un pergolato, ombreggiato da un vitigno, con tavolo e sedie per i pranzi estivi, si spalancava alla vista, il grande cortile interno dove si potevano parcheggiare le auto e faceva bella mostra di sé una bella zona erbosa, con un’altalena fissata ai rami di un albero.
Oltre il cortile, c’era una vasta zona coltivata ad orto, in alto quasi nascosta dalla vegetazione, c’era a Ca Vegia adibita a stalla che poteva contenere anche tre mucche. L’acqua per irrigare, era raccolta da un peschea, una vasca, che riceveva le acque del rio che scendeva da Castagna, la località abitata negli anni 60/70 da u San Martin, nomignolo, che indicava senza possibilità di errore, la zona di origine di Giacomo Masio.

La strada sterrata, che arrivava fino alla casa da Castagna, divideva la sua proprietà, da quella del Cotonificio Ligure, che comprendeva un bel terreno terrazzato e piantumato a ulivi, questo posto era chiamato da noi bambini i prè, i prati, dove c’era l’erba alta per fare gli scivoloni, meta di giochi e passatempi, ma anche luogo dove si appartavano le coppiette.
Era di proprietà del Cotonificio Ligure, anche la casa Dei Pelosi, data in usufrutto a Romano Pelosi, il papà di Roberto, che faceva il custode della Fabrica.
Romano Pelosi, nato a Milano e cresciuto a Busto Arsizio, a Varazze per lavoro, visse poi in questa casa, con la moglie Maria Milani nata a Genova da famiglia di antica discendenza genovese, da cui ebbe otto figli, Roberto li elenca in ordine cronologico, Rosetta, Angelo, Clelia, Guido, Roberto, Emilio, Pio, Dina.

Roberto mi racconta della sua attività lavorativa, prima al cotonificio, quindi nella società dei telefoni IGE, e poi alla Olmo, dove conobbe Gepin Olmo, scopro così, che questo famoso nome, non è legato solo al mondo delle due ruote a pedali, la famiglia Olmo a Milano, Lissone e Zingonia, aveva anche fabbriche specializzate nella produzione di materiali plastici, attività iniziata dopo l’avvento del poliuretano, con tutti i suoi svariati sottoprodotti, tra cui la schiuma sintetica, la base dei materassi tipo permaflex
Negli anni milanesi, Roberto conobbe Giovanna Ferrari che diventerà poi sua moglie nel1967, insieme fondarono un’azienda dedita alle lavorazioni del poliuretano e derivati.

Si sta bene, in compagnia di Roberto e Giovanna, nella loro bella casa con vista panoramica, oggi purtroppo offuscata dalle nuvole di condensazione, si parla di tante altre cose, immancabile l’attualità, in primis lo scempio paesaggistico, operato nella nostra città, in balia del profitto del mattone e delle masse festive del turismo mordi e fuggi. Tutt’altra cosa il nostro entroterra più vivibile e senza lo stress della bolgia estiva.
Chi è nato o abita nelle nostre frazioni, ha un profondo radicamento al territorio e alle tradizioni locali. Questo vale anche per Roberto e Giovanna, che hanno contribuito a mantenere solidale questa piccola comunità di Bin. Giovanna, orgogliosamente, mi fa vedere un grande album di foto, scattate durante il restauro della chiesa della Madonna degli Angeli, la Giescia da Bin, avvenuto nel 2004, dove sono evidenziati i lavori effettuati, con la sostituzione delle travi, tavolame e tegole del tetto. A causa dell’ammaloramento dei muri perimetrali, non è stato possibile mantenere le pietre a vista della struttura esterna, questo ha comportato un ulteriore lavoro di consolidamento dei muri portanti, effettuato con un rinzaffo in cemento e successiva intonacatura, viceversa il campanile a vela è stato riportato in pietra a vista come era in origine.

Belle le foto dell’album, dove si vedono al lavoro anche Roberto e Giovanna, insieme con gli abitanti di Bin e dell’Alpicella, e poi la foto dei festeggiamenti di fine lavori, con il campo adiacente stracolmo di persone.
La chiesa è privata e una parte delle risorse per il suo restauro sono state ottenute, con gli introiti delle feste della Madonna degli Angeli, effettuata il primo di agosto, di ogni anno, con il piatto forte delle trippe e delle crescentine, cosi chiamate le focaccette bolognesi, cotte nello strutto, consumate accompagnate con affettati e formaggi il menu della sagra comprendeva anche altri piatti e gli immancabili dolci, spesso confezionati dalla gente di Bin.
Con Roberto si parla degli anni del conflitto mondiale, quando nella zona a ridosso del Colle di S.Donato, c’erano diversi insediamenti militari, nei pressi della Ciusa da Fabrica, c’era una batteria contraerea, mentre nell’ex Convento delle Suore di Maria Ausiliatrice alloggiavano degli ufficiali tedeschi, i soldati tedeschi e le milizie fasciste, avevano requisito anche il mattatoio pubblico nel Parasio, qui erano tenuti i cani per ricerca, ma divenne anche una prigione dove erano interrogati gli oppositori al regime fascista e i partigiani o sospetti tali, catturati a seguito di delazioni o di rastrellamenti
Roberto ricorda la mobilitazione degli abitanti del Parasio, per disinnescare gli esplosivi, messi dai nazifascisti, che avevano minato il tratto di strada dau Puntin, nella salita prima di arrivare nel Parasio, Roberto aveva 8 anni ed era presente quando la dinamite fu gettata nel Teiro, il disinnesco di queste cariche, scongiurarono un’esplosione e conseguente crollo della parete rocciosa, che avrebbe interrotto la strada da e per le frazioni e la direttiva carrabile verso il Giovo Ligure.

Parlo del mio girovagare per strade e boschi, dove ci sono molte testimonianze del passato, spesso dimenticate e lasciate all’oblio del tempo, a proposito di questo, Giovanna mi fa partecipe di una sua “scoperta” accompagnandomi a vedere un antico ponte, con due edicole votive poco lontano dalla loro abitazione, ovviamente quasi del tutto inglobato dalla vegetazione.
Arriviamo al cospetto di questo bel ponte ad arco, di ottima fattura sovrastato da un’edicola votiva, come tutte le altre ovviamente priva di statuetta, alto almeno quattro metri, un’altra edicola o nicciu, più piccola, si trova in sponda opposta, nei pressi di una probabile posa, un posatoio per carichi pesanti.

Ringrazio Giovanna di avermi accompagnato al cospetto di uno dei molti luoghi presenti nel nostro entroterra, con testimonianze di fede e soprattutto del lavoro, dei nostri conterranei.
Ringrazio Roberto e Giovanna per la loro gentile e cordiale disponibilità a raccontare una parte della storia della Famiglia Pelosi, persone da me conosciute, in quella parte di città denominata Quelli Sciu da Teiru.

bellissima storia un saluto ed un abbraccio a Giovanna e Roberto !!
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