A Foa du Lunò

U Luno`,Pian della Luna, è una morena, residuo di antiche glaciazioni, situata alle pendici del monte Cavalli.

Monte Cavalli

Toponimo comune ad altre zone dell’appenino ligure, deve il suo nome al chiarore delle pietre riflesse, durante le notti di luna piena, vista da distante, sembra una striscia luminescente, che emerge dal buio dei boschi.

I taglialegna sono a conoscenza di una fiaba, nata chissà quando in quelle foreste del Beigua, narrata dagli anziani a nipoti e bambini davanti ad una stufa, nei lunghi e freddi inverni del nostro entroterra tramandata e arrivata fino ai giorni nostri.

Diventata poi una storia, raccontata con l’aggiunta di personaggi e particolari davanti a un gotto de vin e un toccu de pan, in quell’ostaia Sciu da Teiru in Bosin, dove si fermavano i caretè, quelli che scendevano dalla via del legno, con le lese stracariche di legno, fino ad arrivare sull’arenile della nostra città, dove una cittadinanza laboriosa di buon comando, sempre china sul lavoro, allestiva vere e proprie flotte navali per battaglie o per commerci.

 E’ stato grazie ad un taglialegna dei nostri giorni,che sono venuto a conoscenza di questa bella fiaba che riguarda il Luno`, racconti leggende, fiabe, di cui se ne perderà il ricordo.

Una autoctona lampada di Aladino, dove però i desideri espressi, non erano sogni di bellezza o di denaro, ma quelli destinati a risolvere i problemi reali, la fatica quotidiana, di chi era alle prese con un territorio, quello della nostra Liguria, dove la gente viveva aggrappata ad un lembo di terra, arido, acclive e roccioso.

La fiaba è ambientata, in quel periodo storico il XVII secolo, quando la nostra città aveva il primato delle costruzioni navali e i boschi del Beigua fornivano la materia prima.

Lungo le pendici dei nostri monti, nel XVII, erano rimasti ben pochi boschi da taglio, quasi tutto il legname era già stato utilizzato per le costruzioni navali o per ardere e sui bricchi più bassi, era stata introdotta a questo scopo, una specie vegetale a più rapido sviluppo, il pino marittimo.

Era necessario salire alla sommità del Beigua, oppure avventurarsi nel Lurbasco o nella foreste del Sasselese, per trovare buona legna per gli scafi. Gli alberi erano visionati dal committente che sceglieva la legna “in piedi” e stipulava un contratto scritto, comprensivo dei tempi di consegna, prezzo di acquisto e penali.

A Foa du Luno`di Francesco Bagetti

” Buscaiò du belin! Go bisognu de quellu legnu! U meise de masu u l’è quesci finiu, ma ancun nu se vistu un baccu in riva au mo`e tutta a me legna a l’è ancun in pe!”

A Peioa

Così si espresse il Capuciantè, il Capo Cantiere, arrivato a sorpresa, in quella zona del Beigua chiamata Peioa, lamentandosi vistosamente con il tagliaboschi, dopo aver constatato, il mancato taglio di quegli alberi, che portavano incisa sulla corteccia il marchio del suo cantiere a cui erano destinati.

Il tagliaboschi non fece una piega, anzi estrasse da una tasca un pezzo di carta e lo sventolò davanti al committente, era il contratto fra di loro stipulato, che prevedeva la consegna di tutti quegli erbi “sensa ramme e scurtese`entro la fine di maggio.

” Mia che ghe l’ho anche mi quellu toccu de pape` e u ghe  scritu, che se ti sgarri, me piggiu tuttu quellu legnu de badda!”

” Vanni a ca to` e fra due giurni, u to legnu u saia` in riva au mo”

” Ma ti me piggi in giù? “

Rispose sempre più adirato il committente.

Ma il tagliaboschi ripete` la sua promessa.

Sentiero Megalitico

Il Capo Cantiere se ne andò scuotendo la testa, salì lungo il sentiero del Monte Cavalli, seguì la cresta fino ad arrivare sul bric Montebè, in vista delle praterie del  Priafaia, deviò a sinistra per il Canain, ma non attraversò quello strano sentiero, dove c’erano quelle misteriose rocce megalitiche, con il sole al tramonto, assumevano l’aspetto di esseri umani, tramutati in pietre e facevano paura, colpa anche di tutte quelle leggende che raccontavano in Bosin o in Berlanda.

Passando da e Muiazze, raggiunse le quattro case delle Faje, dove un mulo attaccato ad un carro lo aspettava per il ritorno in città, dalla Muntà da Cappelletta, versu e Mugine, Campumarsu, Berlanda, Cian Merlin, Canaeta, Quinnu, Bacchettu, Bosin Pasciu e Vase.

A Muntà da Cappelletta

Quella notte, dormì profondamente, per nulla preoccupato della mancata consegna di quel legname, anzi quasi contento, perché pensava già alle rimostranze da portare al Minor Consiglio della città, dove avrebbero sicuramente condannato il boscaiolo a risarcire il committente in virtù di quel pezzo di carta.

Passarono due giorni, alle prime luci dell’alba, il Capo Cantiere, si avviò, come era solito fare, sulla strada del lungomare, lo faceva per sbirciare gli allestimenti navali dei suoi concorrenti, ma arrivato nei pressi del suo Cantiere, si bloccò non poteva credere ai propri occhi!

 Quegli alberi, da lui scelti in quella lontana foresta del Beigua, e visti ancora in piedi nel bosco, solo due giorni prima, erano lì nel suo cantiere tutti ben accatastati e in bella vista del mare!

Il legno fu subito messo in lavorazione e ridotto in tavolame. Ma quella somma pattuita per la consegna del legname, scritta su quel pezzo di carta, dopo un mese non era stata ancora pagata dal Capuciantè al Buscaiò.

Il taglialegna aveva diverse bocche da sfamare e solo un figlio in età da lavoro, decise così di sollecitare quel pagamento.

E per recuperare quel credito, un giorno di fine giugno, inviò il suo primogenito in città, non prima di fornirgli alcune raccomandazioni.

” Figgiu me cau, vanni da quellu baccan de Capuciantè e dighe che in su cuntrattu nu ghe sulu quandu ma  anche quantu…dighe sulu ste parole. Aspeta te voggio dà na cosa, porta sta scatua de legnu cun ti, e se u te da e palanche va ben, ma se maniman u fo u stundoiu e nu vò tiò foa i scui, alua ti devi arvì sta scatua, quandu vegne notte, viscin a na pilla delle toe. Dorestu nu ti devi mai arvi`sta scatua! Te capiu?”

” Si babbo mio adorato vado giù a Vase dal baccan e se lui non mi da le palanche allora apro il cop..”

“Va ben va ben ho capiu che te capiu, me raccumandu portime sempre sta scatua, se maniman succedde quarcosa, ti devi vegni a ca cun a scatua! Stanni attentu ai ciappa ciappa, quandu ti passi dau Suà, scappa se te voan piggiò e palanche!  Te capiu?”

” Si babbo mio adorato la scatola la devo sempre portare meco..”

” Va ben va ben aua basta vanni a dormi` Mi devu andò in tu boscu, digghe a to muè che me fermu a durmì in ta Peioa”

” Posso restare con te babbo mio adorato?”

” Nu vanni a durmi a cà!”

“Belin da quandu u va dai previ all’Arpiscella, stu figgiò u se abburtumeliu!” pensò a voce alta il tagliaboschi

Il mattino seguente, al canto del gallo, il giovanetto dalla Ceresa dove abitava insieme alla sua famiglia, scese verso Vase, dalla Colletta e raggiunse quelle quattro case delle Faje, seguendo il beo del rio Gambin, passò sotto au Muagiun, per poi risalire e seguire quella gigantesca opera idraulica, fino al bivio di Leicanà per poi imboccare a Via Gianca

Dopo quella vertiginosa discesa fra sentieri Surchi per l’acqua e Mulaioe, eccolo arrivare Sciù da Teiru e poi in città a Vase, dove sulla spiaggia c’erano i Ciantè.

A via Gianca

Il ragazzo rimase incantato a guardar tutta quella gente indaffarata, intorno a quegli scafi in costruzione, c’era chi tribolava a tagliar le assi, chi adoperava strani attrezzi e poi c’era lo spettacolo di quelli che arrivavano di corsa con e Toe da Fasciamme fumanti, facendosi largo in mezzo a quella moltitudine di lavoratori,, tutto allora si fermava in religioso silenzio, fino a che non si udivano i colpi di martello sui chiodi per fissare a e Stamanee quelle tavole curve, riscaldate e preformate in un bagno di acqua calda .

Alcune imbarcazioni erano veri e propri bastimenti erano tanto alte, che il sole del mattino formava, con la loro sagoma, una grande ombra sulla spiaggia.

Aveva con sé quella scatola di legno che gli aveva dato il suo adorato papà e la teneva stretta sotto l’ascella, ricordava l’insistenza con cui il padre gli aveva raccomandato, comunque in ogni caso, di riportarla a casa. Aveva due grandi responsabilità recuperare il credito e custodire quella scatola.

 Ricordava le parole del suo adorato babbo, doveva aprirla al buio, solo se quellu Stundaiu du Capuciantè non gli dava la somma pattuita, per il taglio trasporto e consegna di quella legna.

Ma pensò anche per tutto il giorno a chissà che cosa poteva contenere quella strana scatola, chiusa con due lacci di corda.

Non ci fu bisogno di aprire il coperchio, il Capuciantè riconobbe il figlio del taglialegna e si affrettò a dargli la somma che gli competeva, gli diede anche una Slerfa de Figassa, appena sfornata e un Gotto di Giancu, che il giovanettu rifiutò perché u Preve dell’Arpiscella gli aveva detto di non bere mai del vino che si diventa Abburtumeliti!

Con in tasca una bel pacco de Scui, e il buon sapore di quella Slerfa di Figassa, il ragazzo salutò educatamente il Capociantè e tutti gli operai che incontrava.

Il cantiere era nella parte di levante della città e sulla via del ritorno bisognava attraversare il quartiere du Suò , forse qualcheduno era in agguato, aveva saputo di quel ragazzino facilmente identificabile dall’aria sparuta, sceso dai bricchi con quella ridicola scatola di legno, tenuta sotto al braccio, forse lo stesso Capuciantè si era accordato con qualche lestofante, per ritornare in possesso di quel denaro…….

 Ma questo lui non poteva saperlo, arrivato in ciassa Cambi si fermò a guardare dei ragazzini che giocavano a Ballun, fu in quell’istante che una bella donna molto elegante, gli si parò davanti e gli chiese da dove veniva, se era un bravo ragazzo e se si poteva fidare di lui per fare una commissione.

Il ragazzo balbettando gli rispose dicendo “Si mia adorata signora! Sarò un umile servo ai suoi voleri” e accompagnò le parole con un vistoso inchino.

Quella bella donna molto elegante ne aveva visto di cose nella sua già avanzata età, in quella piazza e all’ombra dei caruggi.

Ma quelle ingenue parole pronunciate con un soffio di voce da quel giovanotto cosi educato, la lasciarono senza replica, provocarono in lei una reazione strana inconscia mai provata prima, gli venne un groppo in gola e trattenne a stento le lacrime, seppe solo dire singhiozzando

A via Gianca

“Scappa da questa città! C’è gente cattiva che ti vuol prendere i soldi che hai in tasca! Ma non passare dalla Via Gianca, li ci sono i Taggiague che ti aspettano!

Vanni Sciu da Teiru li gh’è gente che a Travaggia e a l’è Ciu santa che i Cristu appeisi in Giescia! Quandu ti arrivi da Gambun piggia a Muntò du Legnu, ma prima che vegne notte. Ti se duvve a l’è?”

“Si conosco la strada, il mio adorato babbo mi porta con lui a cammalare gli Erbui taggiati e io sono contento quando mi fa guidare la lesa quando è vuota perchè non ci ho ancora la forsa di menare le lese cariche di erbui”

“Poviu figgiò, n’agnellu in mesu ai lui!” pensò a voce alta quella donna.

Ma congedandosi le disse di raccogliere un fiore e metterlo sulla mensola sotto al niccio, sulla sommità da Muntà di Buei.

Spaventato e a passo svelto il ragazzo prese la carrareccia, Sciu da Teiru passando dagli orti da Camminà, seguendo il Beo e arrivato ai Muinetti, dove iniziava la Via Gianca, vide un gruppo di persone nel Teiro, intente a lavorare dove il Beo della Besestra sottopassava il letto del fiume e irrigava gli orti della Lomellina.

Quelli erano persone che Tribulavano e Giastemmavano, ma non potevano essere i taggiague, che aveva menzionato quella bella signora.

U Lagu Scuu

 Proseguì la strada parallela al Teiro verso la Rochetta fece una deviazione per andar a vedere la Grangia dei Cistercensi, con quella grande vasca piena di pesci, sutta San Dunò.

Arrivato in tu Pasciu, in breve  raggiunse Bosin dove da alcune Ostaie arrivava un buon odore de Cuniggiu Cottu.

Strada facendo pensava alle parole di quella donna, ma non è che forse…. ma si era lui! Il suo angelo custode che era comparso vestito da elegante signora! Ma no non era possibile che una donna facesse l’angelo custode ad un ragazzo!

Forse era una santa che lo aveva salvato dai taggiague! E aveva ragione quella bella signora, il Sciu da Teiru era molto operoso pieno di poveri cristi che governavano quelle infernali macchine idrauliche, mentre nei campi coltivati la gente si spaccava la schiena a coltivare rancò de patate sapò e sceguò.

Ex Frantoio Damele dau Lago Scuu

Il ragazzo arrivato al Lago Scuu si soffermò ad ammirare le ruote a pale che azionate dall’acqua del beo, facevano ruotare ruote ingranaggi frantoi mole e seghe a nastro e pialle di queste macchine ne conosceva il rumore le aveva viste in funzione manovrate dal bancalaro.

Ma non doveva indugiare doveva ritornare, ed era ancora lungo il tragitto per arrivare alla Peioa, dove suo papà lo stava aspettando, pensando a lui, altri pensieri si affollarono nella sua giovane mente: come faceva, quel pover’uomo a tagliar tutta quella legna da solo? Non riposava mai, lavorava anche di notte! Era per questo che non rientrava a fine giornata, nella loro casa alla Ceresa ma si fermava in quella cascina alla Peioa?

Iscrizione su legno inizio di via Quinno già Via del Legno ” Tramandi questo legno scritto la memoria di quanti per lunghi secoli e indicibili stenti camparono trainando legni dalle giogaie dei monti ai cantieri di Varagine per questa via”

Imboccò quella mulattiera, la più importante via del legno de Vase dove a intervalli regolari arrivavano le Lese, stracariche di legname, con al giogo i Cabanin i famosi muli dei Lurbaschi ma anche vacche da traino e qualche mulo.

Lungo le ripidi discese, il carico di Toe era tenuto a freno con catene ma anche con bastonate, urla e bestemmie.

A Muntà di Buei

 Il ragazzo ad ogni imprecazione, si faceva il segno della croce o si tappava le orecchie ! Passata la cappelletta di S.Bastian, arrivato in ta Canaetta, raccolse un mazzetto di fiori, poco oltre c’era ad ub crocevia la Munta di Buei una ripidissaima discesa che scendeva verso Cian de Banna.

Arrivato all’incrocio di queste due Strà da Lese, al cospetto di imponenti mura di contenimento, di recinzione e del rudere di una grande casa colonica, c’era, oggi fagocitata dall’edera e in stato di abbandono, ecco l’edicola votiva, citata da quella bella donna.

Lasciò il mazzo di fiori sotto quel profilo di donna, scolpito in una formella di ardesia, dove appena leggibile emerge un nome…. Anna….ecco chi era quella bella signora che si era materializzata a lui in piazza, era S.Anna dei Buei! Un’apparizione da raccontare ai previ!

Nicciu di Buei formella di S.Anna (A Madonna che a se gia)

Proseguendo la strada diventava quasi pianeggiante, scendeva in Berlanda e si raccordava con la Muntà da Cappelletta passando dalle Muggine, lungo questa importante via di comunicazione, era tutto un’andirivieni di gente, c’era chi saliva verso le quattro case delle Faje e chi scendeva durante la bella stagione con le Ballainin-e le balle di fieno, sulle spalle dalle zone prative sotto al monte Greppin, posando quei pesanti fardelli per qualche minuto di riposo e una preghiera, in prossimità degli innumerevoli nicci, edicole votive, dove sempre c’era una posa, catasta di pietre per appoggio.

Arrivato a e Gruppin-vece una deviazione per andare a vedere a Cà di Scopellin, dove nei mesi invernali, si sentiva l’incessante rumore delle punte e mazzette dei sciappaprie che spaccavano, squadravano e incidevano le pietre utilizzate per le pavimentazioni stradali .

A Ca di Scopellin

In prossimità della Ceresa, a casa sua, fu riconosciuto dal suo cane che scodinzolando lo accompagnò per un tratto di strada, gli fece qualche carezza, quella povera bestiola voleva giocare come facevano tutti i giorni, ma lui doveva continuare ed era ancora lunga la strada verso la Peioa.

Arrivato sul pianoro di S.Anna, si soffermò in preghiera, di fronte all’originale edicola votiva e poi ad ammirare quello stupendo panorama, il sole era quasi al tramonto, di quella che era stata una giornata piena di cose da raccontare, fece un grande sospiro di fronte a quella struggente bellezza, che solo chi è già stato in questo luogo conosce!

Proseguì sulla mulattiera oltre il bric Vultui, il Priafaia, e il Montebè , ma aveva sempre quel chiodo fisso… lo aveva da quando era partito al canto del gallo.

Aveva promesso al suo adorato papà che mai e poi mai, avrebbe aperto quel coperchio,….. però poteva sempre dire che quella scatola si era aperto da sola o che l’aveva persa, ma avrebbe preso tante di quelle botte! No forse era meglio tenerla chiusa…

Niente da fare il pensiero non gli dava tregua… Ma perché era così importante tenerla chiusa? Poteva aprirla e sbirciare dentro, ma doveva farlo in un posto lontano da quella via così battuta.

Con quel tormento interiore, prosegui oltre il Montebè e salì sopra quell’immensa pietraia che du Lunò la gigantesca pietraia del monte Cavalli , un gigantesco ammasso di rocce che sbarrava il passaggio a chi voleva proseguire verso i boschi sulla sommità del Beigua, più volte suo padre aveva detto che bisognava aprire un varco fare una strada, fra quell’ammasso di pietre, per raggiungere quelle foreste.

Cappelletta de S.Anna

Le rocce nella loro lenta marcia, inglobate nella massa del ghiacciaio, avevano formato alcune grotte e lì nascosto, alla vista avrebbe aperto quella scatola!

Arrivato non senza fatica in uno di quegli anfratti, da lui ben conosciuto, si rannicchiò, appoggiando quella scatola per terra, ebbe un brivido alla schiena, per quello che stava facendo….prese un grande respiro e svolse quelle corde che tenevano chiuso il coperchio…. attese qualche istante, prese ancora un altro grande respiro e prima di aprire la scatola rivolse l’apertura verso l’esterno di quella grotta.

Ecco ora era pronto…alzò il coperchio……a quel punto ebbe appena il tempo di portare le mani alle orecchie! Un sibilo fortissimo uscì da quella scatola e continuò per alcuni minuti, il ragazzo d’istinto richiuse quella scatola e rimase come stordito.

U Grupassu

Mancava l’aria dentro quel buco uscì fuori in mezzo a quel mare di rocce con le orecchie che ancora fischiavano, ma quello che vive lo fece trasalire…attratti da quel fischio potentissimo, erano arrivati migliaia di omini piccoli piccoli ma tarchiati armati de Picosse, Smare, Masse e Messuie e ora gli erano tutti intorno, saltellando in preda ad una frenesia incontenibile ripetevano in coro “cosa fumma? cosa fumma? cosa fumma….il ragazzo conosceva bene quel dialetto lo parlavano oltre l’egua del Sansobbia, ma era confuso frastornato spaventato “cosa fumma?cosa fumma?cosa fumma?…continuavano a ripetere quegli omini! Saltellando in tondo intorno a lui erano una moltitudine e altri ne stavano arrivando dal bosco!

In un barlume di lucidità, chissà perché gli vennero in mente le parole di suo padre, seppe solo dire “Levè via e prie e fate una strada in mesu au Lunò !” Come fossero un solo corpo, quella marea di omini, si misero tutti al lavoro, fecero diversi passamani, lavorando tutta la notte, tolsero tutte quelle pietre, liberando così il passaggio verso il Beigua.

Come dal nulla erano apparsi, quegli omini, nel nulla sparirono, il ragazzo pensò di aver sognato, ma non era possibile, le pietre non c’erano più, e ora una bella strada anche lastricata attraversava tutta la pietraia du Lunò! Aveva carpito il segreto custodito in quella scatola di legno da suo padre per tanto tempo !

A Cascina da Peioa

Si era fatto buio e là in mezzo a quel bosco nella Peioa, un papà in una cascina, aveva acceso il lume aspettando il suo ragazzo.

La luna emerse da dietro i monti e quando fu alta nel cielo, illuminò tutte quelle pietre ammassate e come per magia, diventarono una lunga striscia luminescente, che emerse dal buio della notte, riflettendo la luce lunare…. U Lunò che ancora oggi possiamo ammirare, a sinistra, scendendo dalla cima del Beigua.

Padre e figlio si ritrovarono, quando già si era fatta notte, in quella cascina il ragazzo consegnò quella cassetta di legno e la somma che aveva ricevuto dal Capociantè, e poi gli racconto di quella sua giornata a Vase e del suo incontro in ciassa Banchi con quella bella signora, S. Anna, che lo aveva salvato dai taggiague e gli parlò di quella grande nave sulla spiaggia di tutti quegli uomini tutti indaffarati a tagliar fissare e calatafare poi ancora di quei poveri cristi Sciu da Teiru che governavano le acque del fiume .

Dopo aver consumato una frugale cena, il padre rivolto al suo ragazzo gli disse “Bravo figliolo oggi hai fatto cose da grandi! Beviamo al futuro uomo che sarai!” E così dicendo riempì un bicchiere di vino, il ragazzo sentendosi grande lo bevve tutto d’un sorso, poco dopo iniziò a sudare e a gli girava la testa. Ma riuscì come sempre a dire “Buona notte padre mio adorato”

Il padre preparò un giaciglio per due, quella notte l’avrebbero passata alla Peioa, Ma nel dormiveglia prima di prendere sonno, pensò alle parole e dalla descrizione fatta dal figlio, riconobbe chi era quella “S.Anna” per sentito dire era una donna di malaffare e giravano strane storie sul suo conto “Belin da quandu u va dai previ all’Arpiscella stu figgiò u se abburtumeliu!”ripensò il taglialegna.

“Adesso dormi sarai stanco di tutta quella strada che hai fatto e di quello che hai visto!”

Il ragazzo a quelle parole trasalì, forse il suo adorato padre sapeva già tutto? Ma non proferì parola di quello che era successo della scatola e di quegli omini del bosco. Chiuse gli occhi e si addormentò

 Passò qualche giorno, il taglialegna vide tutte quelle pietre tolte dalla pietraia du Lunò e quella nuova strada da lese, capì quello che era successo, il figlioletto aveva aperto quella scatola!

U Lunò

Pensò a voce alta “Ora che ha scoperto il mio segreto, non c’è più ragione che mio figlio resti qui con me fra questi bricchi a far la mia stessa vita grama, capirà che ho ben più di un’aiuto e quando serve, basta che apra quella scatola e quegli omini quando è buio, arrivano anche se sono lontano”.

“E poi… ma che disastro abbiamo fatto! Tutto è stato raso al suolo, non c’è più un’albero in piedi! Presto dovrò andar a cercar lavoro da un’altra parte nel Lurbasco o a Sciascellu, e quando qua ricresceranno altri alberi, io non ci sarò più a questo mondo”.

“Meglio che segua il consiglio dei preti, mi hanno detto, che il ragazzo è delicato ben educato e bravo e potrebbe seguire la via del Signore, sarebbe andato in seminario lì avrebbe mangiato due volte al giorno e imparato a leggere e a far di contò”.

E Magari chissà ,sarebbe andato dai frati, in quell’Eremo del Deserto che lo si vedeva bene dai Cumbotti, laggiù tra il rio Malanotte e l’Arrestra era vicino alla sua famiglia, e poteva arrivar a far visita ogni tanto, per un piatto di polenta.

L’Eremo del Deserto

E così fu il ragazzo divenne uomo di chiesa, non mise più piede in quel bosco che finì per essere raso al suolo. Il tempo la disciplina religiosa e la lontananza da quei bricchi e dalla sua famiglia, cancellarono i pochi ricordi di una gioventù mai vissuta, pensò che era stato tutto un sogno, quella scatola di legno e tutti quegli omini forse era stato colpa di quel vino che faceva diventare Abburtumeliti!

Però ricordò fino alla fine dei suoi giorni, il volto di quella signora in lacrime che un lontano giorno in quella piazza oggi du Ballun, gli salvò la vita e gli chiese in cambio di portar un fiore lassù da quel nicciu ai Buei.

Chissà se qul nicciu era rimasto in piedi e se qualcheduno ogni tanto ancora va a portar dei fiori a S.Anna e a liberarlo dalla Lelua, l’edera?

Il padre con tutta la famiglia dopo qualche anno si trasferirì definitivamente nel Lurbasco, gli omini non avevano più nessun bosco dove nascondersi e chissà dove erano andati. Quella Scatua de Legnu non serviva più a niente, la nascose in un anfratto fra le rocce del Grupasso….. e forse lì ci sarà ancora…….

P.S.

La fiaba, è diventato un racconto, con un ipotetico viaggio, dalle pendici del Beigua alla battigia. La fiaba originale che mi è stata raccontata da un taglialegna, era ad uso infantile, gli omini erano contenuti nella scatola, la bella signora non era mai esistita e finiva, quando il padre si accorse che il figlioletto aveva aperto la scatola vedendo tutte quelle pietre accatastate a formare il Lunò.

1) A questo punto per chi voleva raggiungere Vase a piedi, c’era un altro itinerario molto panoramico e anche più veloce, con na scursa che dalla Ciassa passato l’abitato delle Faje, dove inizia il beo del rio Gambin attraversava il bosco dei Veggetti arrivava au Prò da Gobba e quindi  al passo del Muraglione, antica via d’acqua del castello d’Invrea. Si seguiva il beo camminando sul suo bordo e dopo un’ampia curva si arrivava alla vista del mare, si aggiravano le Prie de Limma e il monte Arenon, passando dalla Ramognina poi  passo Valle e tramite un sentiero si arrivava dove c’era una  vecchia mulattiera che portava verso la via Bianca e poi giù di corsa fino ai Mulinetti e al Teiro.

2)Perché il toponimo Buei? In questo punto iniziava la lunga, ripida, discesa, verso Vase e si poteva fare un cambio di animali da traino, con una coppia di buoi di grossa taglia, che riuscivano a rallentare considerevolmente, la velocità lungo quello che è il tratto più ripido della via del legno.In ta Canaetta u ghe a Muntà di Buei alla sua sommità esiste veramente un nicciu con una formella in ardesia con una scritta appena leggibile, il profilo sarebbe quello di S.Anna, ma la scritta è S. Maria questa effige è conosciuta anche come U Nicciu da Madonna che a se gia” sono diverse le leggende che raccontano del perché quel volto è girato verso sinistra ma questa è un’altra storia. La Muntò di Buei fu ripristinata da prigionieri austriaci della prima guerra mondiale.

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