U Furtin de Cian de Retin

Un grande manufatto militare, residuato della seconda guerra mondiale è presente sulle alture del Sarsciu, (Salice), tra il Rian du Furcò e u Rian du Sarsciu, nei pressi di un pianoro chiamato Cian de Retin.

Maurizio Caligiani

Maurizio Caligiani, che mi aveva parlato dell’esistenza di un ex presidio militare in questa zona, mi accompagna a vedere il manufatto.

Lasciata l’auto au Cian da Munega, si imbocca la strada, che oltrepassa il Rian du Sarsciu, al primo abbozzo di sentiero, ci si inerpica nella macchia mediterranea.

Sconsiglio l’approccio a questo percorso, se non si è a conoscenza dei posti.

Mirto nel mezzo dell’erica “femminina”

Nella boscaglia, in questo periodo è presente la fruttificazione del mirto, molti gli esemplari di ginestre sfiorite ed gli arbusti di lentisco, l’albero colonizzatore è il solito pino marittimo, frammisto con qualche sparuto esemplare di roverella, qua manca del tutto l’erica arborea, mentre sono ben presenti i ciuffi di bruga femminina.

Questo arbusto, era raccolto, per la fabbricazione di scope, da utilizzare per lo spazzamento pubblico di strade e piazze.

Le raccolta delle brughe, era l’attività principale dei Pellegro da Curva, Maurizio, è imparentato con loro, tramite la famiglia Vernazza.

Questo soprannome, derivava dal loro avo Pellegro Bruzzone.

I nonni Giacomo Vernazza e Antonietta Bruzzone, tagliavano, lavoravano e legavano i ciuffi di erica femminina, preferita per i lunghi rami diritti e sottili, atti a essere usati con le ramazze, quotidianamente adoperate, dagli operatori ecologici, loro grande cliente era il Comune di Genova.

Anche la mamma di Maurizio, Antonietta Vernazza, in gioventù era dedita al confezionamento delle spassuie de bruga, mentre il consorte Pietro Caligiani lavorava in una ditta di autotrasporti.

La famiglia dei Pellegro, che era dedita anche alla lavorazione del sale, diversificò ulteriormente le loro attività, aprendo un bar , nell’edificio dove erano fabbricate le scope, che fece epoca, negli anni 60/70 e oltre, era il Bar la Curva.

Maurizio abitò per un certo periodo di tempo, al piano superiore di quella casa.

Bruga Femminna

In una pausa del percorso, Maurizio mi parla di come erano raccolte le brughe e la posizione obliqua che erano obbligate ad assumere nella fase di stagionatura, per far si che la bruga piegata, trasformata in spassuia avesse maggior raggio di pulitura.

Vista a levante

E’ una bellissima giornata di sole con stupendi panorami dalle prospettive mutevoli mentre si sale lungo il ripido pendio

Maurizio segue un ipotetico sentiero percorso innumerevoli volte in gioventù, dove si alternano aride radure a macchie di verde impenetrabile.

Gli anni passano, cambiano molte cose, nella vita, in un bosco o a bordo di un fiume, ma si ritrova sempre un percorso un luogo, o chissà che cos’altro, visto con gli occhi di un bambino, da solo o con gli amici, mentre si è intenti a far scorribande o a costruir capanette, come noi, quelli sciu da Teiro, ricordi indelebili dell’età più bella, che resteranno per sempre nei nostri cuori.

La vegetazione ha ricoperto tutto e non è comunque facile, ritrovare l’insediamento militare, costruito verso la fine della seconda guerra mondiale, seguiamo due diverse direzioni, per aver più possibilità di imbattersi nel rudere.

Entrata

Ma è Maurizio che lo avvista per primo!

Le mie aspettative, sono ampiamente soddisfatte, siamo al cospetto di un grande insediamento militare, la copertura probabilmente realizzata con tronchi, impermeabilizzata con la solita carta catramata e poi resa mimetica, non esiste più, ma le mura, sono solo in parte dirute, la struttura ha una larghezza e lunghezza stimata in metri 5×4.

Il POC posto di osservazione costiera era dotato di strumenti atti a direzionare l’artiglieria contraerea e antinave.

Spicca al centro, verso il mare aperto, con la visuale che spazia da Portofino a Capo Noli, un cilindro in cemento del diametro di circa 80 cm, dove molto probabilmente, era fissato il telemetro, di questo punto di osservazione e di rilevamento trigonometrico, atto a fornire l’angolo di tiro, per colpire navi e aerei in avvicinamento alla costa.

A fine guerra, le difese costiere erano ancora in fase di perfezionamento ma potevano già annoverare, un dispositivo di comando remoto, via radio, in grado di poter gestire simultaneamente, più batterie di artiglieria, antinave, antiaerea e il treno armato, nascosto nelle gallerie di Albisola, dove in un’apposito bunker, oggi trasformato in magazzino, stazionava una locomotiva a vapore con la caldaia sempre in pressione, pronta a trainare i vagoni allestiti con cannoni da marina.

Un’altra di questi POC postazioni di osservazione costiera e di rilevamento con pari caratteristiche, si trova sulle alture di Savona e sopra un equale cilindro in cemento è incisa la rosa dei venti.

Le batterie di artiglieria, presenti a difesa della costa ligure, erano quelle di Punta S.Martino ad Arenzano e nella Pineta Bottini a Celle.

Una batteria di artiglieria contraerea era presente anche sulle nostre alture a Campomarzio, dislocata in quella zona per proteggere le spalle della nostra città, doveva colpire gli aerei, che solitamente effettuavano la virata sulle alture, per poi scendere a colpire gli obiettivi costieri.

E’ evidente che questo presidio, doveva ospitare una cospicua guarnigione fissa per il controllo e rilevamento h24.

L’entrata è rivolta ad est, è probabile che questa postazione fosse difesa da armi pesanti, dallo scavo di alcune trincee e dalla posa di mine antiuomo.

Questo presidio era sotto il comando italiano, i militari requisirono animali e viveri alla gente del posto, questo determinò alcuni episodi di maltrattamenti, nei confronti delle persone che qui avevano le loro abitazioni e le loro coltivazioni.

La guerra era persa, iniziarono le diserzioni di massa del contingente dei S.Marco, addetti alla vigilanza costiera, i nazifascisti per rappresaglia effettuarono un rastrellamento di civili, di questa zona, rei di aver agevolato la fuga dei disertori, minacciati di morte e terrorizzati con l’uso delle armi .

E’ molto probabile che fosse proprio questo,il fortilizio, citato da alcune fonti, che fu attaccato il 3 novembre del 1944 dai partigiani del distaccamento Sambolino e Bocci, che conquistarono il presidio impossessandosi di alcune mitragliatrici e di un mortaio (Gabriele Faggioni Il Vallo Ligure)

Lasciato il rudere del presidio, di cui nessuno, come il sottoscritto ne era a conoscenza, raggiungiamo in poco tempo un pianoro, denominato Cian de Retin, anche qui antichi terrazzamenti, sono testimonianze di una antica zona prativa, forse anch’essa irrigata dalla soprastante ex sorgente dei Funtanin.

Mascee a Cian de Retin

Almeno un paio i sentieri arrivavano e si dipartivano da questo prato oggi completamente persi nella vegetazione.

Posti da pigne, brughe e legna pe scadose, ma anche da sanguin e funsi neigri.

Fu durante una battuta, alla ricerca di funghi, in compagnia del padre, che il 24 giugno del 1975, Maurizio trovò il corpo senza vita, di Regula Teuscher, la maestrina svizzera di 24 anni, scomparsa l’11 giugno dalla Casa Henry Durant, l’Ostello Svizzero, in via Helvetia.

Le ricerche fino a quel giorno, avevano dato esito negativo, la ragazza sembrava sparita nel nulla.

Maurizio, mi racconta di quella drammatica circostanza, quando nei pressi del sentiero che scende verso il Salice, trovò il corpo della ragazza, già in stato di avanzata decomposizione, avvisò suo padre che si recò nelle sottostanti case dei contadini, per dare l’allarme.

Misteriose le cause della morte, il caso fu archiviato come decesso per arresto cardiaco, ma ad oggi restano insolute alcune domande, quella più significativa era: “Che ci faceva quella giovane ragazza in quel posto sperduto e senza particolari attrattive?”

Di quei giorni concitati e drammatici, Maurizio ricorda le innumerevoli rievocazioni, del ritrovamento del corpo, ripetute innumerevoli volte ad uso investigativo e giornalistico.

Il ricordo più indelebile, fu l’incontro struggente con i genitori di Regula Teuscher, che lo ringraziarono di aver trovato il corpo di quella povera ragazza.

Ritorniamo non senza qualche difficoltà di orientamento verso Cian da Munega.

Maurizio è la memoria vivente di questa zona e mi parla delle famiglie che in questa bellissima porzione di territorio, sospeso sopraelevato difronte al blu del mare, lavoravano la terra e vivevano dei prodotti a km 0, e commerciavano le primissie in ogni periodo dell’anno.

Al Salice i bambini negli anni 60/70, si ritrovavano a giocare e a scorrazzare liberi per boschi e prati come quelli de sciu da Teiru.

Poi quell’ambiente naturale, fonte di infiniti passatempi giovanili, fu stravolto, dai grandi lavori delle infrastrutture stradali e ferroviarie, in primis fu lo scavo della galleria del treno, che interruppe l’apporto della falda d’acqua, alle sorgenti di mezza costa e poi il raddoppio autostradale, con enormi movimenti terra, che modificarono la zona del Salice.

L’accanimento degli incendi anni 90, di sicura origine dolosa, completarono l’opera distruttrice, oggi restano le grandi peschee, completamente invase dai rovi e quei grandi terrazzamenti, a testimoniare la laboriosità, di chi in questa striscia di terra, dell’Invrea, du Sarsciu e da Vignetta, traeva sostentamento e cresceva dei figli.

Inevitabile non parlare della grande incompiuta strada, presente al Salice che doveva collegare, nell’intento di chi l’ha in parte realizzata, tutto il nostro entroterra, salendo dal Salice al Monte Grosso, per arrivare a essere unita alla strada, oggi esistente, che dal Muagiun raggiunge Alpicella.

A Cian da Munega, si intravvede a malapena, tra le canne radicate da anni e cresciute, la sagoma del menhir .

Ringrazio l’amico Maurizio di avermi fatto conoscere e accompagnato nei suoi luoghi d’infanzia, con i suoi racconti, grazie di avermi portato a vedere quel rudere di Storia d’Italia, e per la vista degli incomparabili panorami che ci regala questo angolo di mondo.

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