
Nel post precedente, A Furnosce da Caasina, ho lasciato i resti della via Emila Scauri, poco dopo il guado dell’Arenon, in località Custà, nei pressi di Beffadosso, dopo aver oltrepassato la fornace della Calce.
Ero arrivato al cospetto di una casa diruta, ma poi era impossibile, proseguire in direzione della Custea, vista l’eccessiva vegetazione.

Un’antichissima via si trova, sulle alture di Varazze, percorrendo un segnavia con una linea rossa, che si dirama a sinistra della strada, che sale verso il monte Grosso, (Madonna della Guardia) in località Gua dell’Aniun, in corrispondenza del bivio per la chiesa del Beato Jacopo.

L’inizio del sentiero, non combacia con l’antico percorso, le prime tracce dell’antica strada, si trovano, dopo una decina di minuti di percorrenza in discesa.
Purtroppo la mancata manutenzione dei “surchi” ovvero la pulizia dei solchi, che drenavano l’acqua piovana, ad intervalli regolari, dalla strada è stata fatale!
La mancata manutenzione di queste opere idrauliche, è stata la causa principale, del dilavamento dello strato di terra e ghiaia, che bloccava le pietre e formava il sedime stradale, di questa strada.

Oggi ben poche, sono le pietre, ancora fisse a formare la base della via romana.
Una grande quantità di massi, giace ai lati del sentiero, che scende verso l’Arenon, erano quelli di quell’antica strada, divelti dalla forza dell’acqua .

Il sedime oramai compromesso e instabile, fu rimosso, nel corso degli anni, per liberare, quello che era diventato solo un impervio sentiero scavato dall’acqua.
L’antica viabilità romana, fu abbandonata del tutto, dopo l’apertura di una nuova strada, che tramite un ponte ad arco scavalcava il torrente Portigliolo e superava lo scoglio d’Ivrea.
Perdendo la sua funzione strategica la strada fini per essere declassata a viabilità minore. .
Questa antichissima strada, fu ancora utilizzata da chi se ne serviva, per raggiungere case e cascine, portare gli animali al pascolo e trasportar legna o altro.

Oggi quella che era una delle principali arterie della viabilità romana si è trasformata in uno scolo dell’acqua che scende dal pendio dell’Arenon.

Questo sentiero prosegue a mezza costa, poi con due ampi tornanti, arriva sull’alveo del rio Arenon, come sfondo, dell’imponente discarica della Ramognina.
Il mio arrivo, disturba il pascolo di una famigliola di cinghiali, che si allontanano e spariscono con un grugnito in te un boscu de brughe.
Qua si perdono le tracce della strada, è probabile che ci fosse un guado e forse una stazione di riposo o un cambio di animali da trasporto

L’ambiente circostante, ha visto la presenza di qualche attività umana, molte le rocce spaccate da man’d’ommu, poco oltre la riva dell’Aniun, vi è una specie di riparo, un antro sotto ad una roccia, la cui entrata è occultata da alberi e rovi.

Proseguo e una masso, con evidenti segni de consummu da lese, fanno propendere per la prosecuzione dell’asse stradale in sponda sinistra dell’Arenon.
Non mi inoltro oltre nella vegetazione, il terreno è franoso e non ci sono piu tracce del lavoro dell’uomo, solo piste tracciate da animali.

La plastica, qua la fa da padrona, impigliata tra la vegetazione, imprigionata dalla terra, svolazzante ad ogni folata di vento, finirà inevitabilmente, nella nostra catena alimentare, e senz’altro sarà già nella pancia di quegli ungulati, che poco fa stavano grufulando, tra un sacchetto e un telo di plastica.
Inizio la salita del ritorno e scorgo, fra le pietre anche qualche terracotta, frammenti giunti fino qua, trasportati per formare il fondo stradale della strada romana.

Il paesaggio è brullo, scheletri di alberi si ergono carbonizzati, sono la risulta, dagli ultimi devastanti incendi, che hanno incenerito e raso al suolo, bellissimi boschi di pino e lecci.

Ponendo di traverso un tronco secco, stimo l’abbassamento del piano viario a seguito del dilavamento di almeno 70÷80 cm.
Peccato aver perso per sempre questa antica via di accesso alla nostra città.

I Romani o chi per essi, durante la costruzione della strada, non avranno avuto problemi a procurarsi la materia prima, le pietre, visto la notevole presenza in zona di massi a “spacco”.
E’ visibile ai lati del percorso una ex cava, per grosse pietre squadrate.

Lungo il sentiero almeno quattro le “smogge” ristagni d’acqua sorgiva.

In un prato un’immagine di “tenerezza” mamma trulla, con il suo trullino.

Sulla via del ritorno, effettuo una deviazione al prato “da maietta” dove della bella casa, dopo un paio di incendi e qualche crollo, poco rimane.

Belli i colori dell’autunno
D’obbligo l’uso di scarpe da escursionismo e sconsigliato, arrivare in prossimita del rio Arenon, per la presenza di un branco di cinghiali.

Al bivio del Beato Jacopo solito strepitoso panorama.
Le notizie storiche sono tratte da “Quaderni di Storia Locale ” edito dall’Associazione Culturale S.Donato.
Di seguito il link per visualizzare i post, precedenti pubblicati sul blog Quelli Sciu da Teiru
quellisciudateiru.wordpress.com

Ciao, mio padre mi sta dicendo che non è l Aniun ma l’Ainun.
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