
– terza parte
Questo racconto, degli anni più belli, lo dedico a Giorgio, grande, sfortunato amico mio
E poi c’era lei, una ragazza nostra coetanea, ma come sempre succedeva certamente più furba e sveglia di noi, perenni ragazzini, era come una regina per quanto era bella con i suoi lunghi capelli neri.
Avevamo quasi un timore reverenziale e di solito evitavamo di colpirla, non era pane per i nostri denti!
Quando però era presente, tutta la pista ruotava intorno a lei.
La rivedo oggi diventata mamma, chissà che cosa ricorderà lei di quei tempi.
Il Luna Park era un punto di aggregazione e non c’era bisogno di nessun appuntamento, ci si ritrovavano tutti ragazzi e ragazze puntuali il sabato pomeriggio sul “ponte” e solo la pioggia ci fermava, si affrontavamo anche i rigori invernali incuranti del freddo e del vento che congelava i volti, le mani e le orecchie.

Poi il sole calava, le luci coloravano i volti delle ragazze e i loro sorrisi, le grida prima di un impatto e subito dopo lo scompiglio nei loro capelli, la musica creava un’atmosfera magica e quando abbassavano le luci, la pista allora diventava come una gigantesca discoteca e come effetto speciale c’era lo scintillio provocato dallo strusciare dell’antenna sulla rete elettrica.
Era bello, eravamo giovani spensierati, felici e se poi si riusciva ad avere un appuntamento con qualche ragazza per andare al cinema la domenica seguente, ecco allora si toccava il cielo con un dito.
All’ordine del giorno c’erano sempre loro le ragazze le conoscevamo tutte.
Ora lo posso confermare non furono molte le “conquiste” ma la speranza era sempre l’ultima a morire.
Così visto gli interessi comuni, conobbi Giorgio, mio grande e sfortunato amico.
Lo ricordo con affetto saremmo stati inseparabili per gli anni a venire, quelli dell’adolescenza forse i più tribolati ma senz’altro i più belli, sempre con il pensiero fisso alle ragazze.
L’inizio della nostra amicizia fu il pretesto del motorino, entrambi avevamo lo stesso tipo.
Non c’era ancora l’obbligo del casco, solo un berretto di lana per proteggere le orecchie dal freddo, naturalmente il motore era truccato e se la strada era sufficientemente diritta e di una certa lunghezza si sfioravano gli 80 km l’ora!

Con questo velocipede si scorrazzava per tutta la città, quando era difficoltoso l’avviamento, bastava andare da Nello e cambiare la candela.
Naturalmente poi si facevano le “regatte” il nostro secondo punto di ritrovo era il Bolzino, dove abitavano alcuni nostri amici, il percorso classico del gran premio era l’andata e il ritorno fino alla chiesa di Casanova.
Chissà perché, ma proprio come gli autoscontri, pur essendo due moto uguali, la sua andava leggermente più forte, questo particolare unito al fatto che lui era più bravo di me ad affrontare le curve determinava sempre lo stesso ordine di arrivo.
Solo una volta riuscii a essere congratulato dagli amici all’arrivo.
Come facevo ad aver vinto se non mi ricordavo di averlo superato?
Passarono alcuni minuti troppi per un secondo posto, partimmo alla ricerca dell’amico disperso, e dopo alcuni tornanti, un braccio alzato che spuntava dai cespugli d’erba ci indico il punto in cui era uscito di strada.
Aveva solo qualche escoriazione alle mani e braccia, recuperammo anche la moto intatta nonostante il volo.
Le moto erano costruite interamente in acciaio robuste e avevano pochi fronzoli, oggi invece è tutto calcolato e deciso in fabbrica basta una caduta dal cavalletto e si rompe una plastica con gran gioia dei riparatori e della casa costruttrice!
Grande era la soddisfazione, quando capitava di offrire un passaggio a qualche tipa e guarda caso il percorso passava sempre davanti agli autoscontri per salutare con il clacson gli amici invidiosi della “preda”.
Nelle pause della “caccia” o nei momenti di stanca, ci si esibiva negli altri svaghi presenti nell’area, c’era il punchball che metteva alla prova i nostri bicipiti, solitamente erano i più “anziani” che si sfidavano, ricordo il rumore secco del pallone quando era colpito e la conseguente musichetta di accompagnamento al punteggio raggiunto.
Poi con il tempo eravamo noi protagonisti e come spettatori quelli più giovani, avevo un discreto pugno, ricordo però durante una sfida invernale, il dolore e lo scorticamento delle nocche contro il cuoio, fui costretto ad avvolgere la mano con un fazzoletto per tamponare la fuoriuscita di sangue.
Nello stand di Andres si giocava al flipper e ai primi giochi elettronici ma il preferito era sempre il calcio balilla quante partite!
Ricordo il baccano che si faceva, il rumore delle palline, le grida di esultanza quando si segnava, la botta di…quando a segnare erano gli altri.
Ero un bravo difensore, però quando l’attacco non era prolifico, allora subentravo io e le sorti della partita di solito miglioravano, c’era una sorta di regolamento non scritto era vietato far girare gli ometti e fare i “ganci” se qualcuno sgarrava allora, nascevano violente dispute e la partita era sospesa, se non si raggiugeva a un accordo, allora si sospendevano tutte le regole.
A questo punto in preda al furore agonistico, la partita diventava una vera baraonda con urla rumore di ometti che giravano e palline che schizzavano via, questo attirava numerosi spettatori divertiti, eravamo comunque bravi in questo gioco, ricordo le trasferte al bar di Sciarborasca per sfidare altri giocatori.
A lato della pista c’era il tiro a segno quello con il fucile ad aria compressa, anche qui vigeva la competizione, il tiro a segno era attrezzato con una fotocamera, che scattava una foto quando si riusciva a colpire con precisione un pulsantino posto al centro del cartoncino bersaglio, che era consegnato al tiratore al termine della prova.

Una sera fui particolarmente fortunato e presi in pieno il centro del bersaglio, ma la foto non scattò, allora in accordo, non ricordo con chi delle tre sorelle Valetti, simulai un altro tiro mentre lei fece scattare il flash, conservo ancora quella foto con il mio caro amico Giorgio accanto.
Di solito a fine gennaio ritornavano gli “stanchi camion” il luna Park era smontato e riportato in deposito a volte restava ancora per qualche settimana il palazzetto, poi anche lui sgombrava il parcheggio.
Niente più musica, luci, voci, sorrisi, risate sul “ponte”
Poi purtroppo si cresce e quell’età ingenua e spensierata, con l’animo leggero, finisce e così a poco a poco ci si allontana da quello che era per noi un piccolo mondo.
Oggi resta il ricordo di quelle giornate, quando il sole calava e se ora chiudo gli occhi, ritorno indietro rivedo il mio amico, musica, luci, volti, sorrisi, risate.
Altra gente oggi sugli autoscontri altre storie e domani chissà, altri ricordi.
A gennaio del 2020 la famiglia Valetti cedette l’attrativa degli Autoscontri.

In bosin u ghea anche Gianni cu leiva u gilera cumme u te e Giorgio me fre u leiva u ciao piero a vespa50 special Eugenio u ciao Dino u lui e mi ziccavu a tutti sti “bolidi” eu ciù piccin de voiatri.
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