
Caterina Zunino
Un pomeriggio di fine ottobre, alle Faje con i ricordi di Caterina Zunino, classe 1935, la mamma di Francesco Canepa, in compagnia di Teresin, a muggè de Michè.

Dopo qualche anno, dall’inizio del secondo conflitto mondiale, la guerra era lontana da quella borgata delle Faje. Ma il regime fascista di aggressione, fu costretto a difendersi dalle incursioni aeree degli alleati. Au Posu du Grippin, posizionarono un grande riflettore per gli avvistamenti notturni. I militari di quella postazione antiaerea, nel tempo libero dai turni di guardia, andavano alle Faje.

A Ciassa da Giescia, divenne un ritrovo di giovani, i soldati fecero conoscenza con la gente e le ragazze del posto. Alle prime ombre della sera, dalla postazione antiaerea au Posu, facevano degli scherzi, anche utili, illuminando con quel potente proiettore l’abitato delle Faje e quasi sempre le case dove abitavano delle loro coetanee. Due militari di quella guarnigione, convolarono a nozze, con ragazze delle Faje.Dopo l’8 settembre 1943 le cose precipitarono.

Dalla Russia arrivarono i primi reduci, da quella immane tragedia, u Gigi, Giuan e Pein, che ritornò a casa con i Pe Zeè, con i piedi congelati. Ma altri tre giovani delle Faje, partiti soldati per il fronte russo, non fecero più ritorno dai loro cari, tra cui Giacumin, fratello di Giuan. Giacumin era affezionato alla nonna di Caterina e prima di partire per la Russia, andò a salutarla e le disse “ Me sentu che nu riturniò ciù” “ Ma sta sittu! Cosa ti disci!” Aveva un presentimento che purtroppo si avverrò. I due fratelli Giacumin e Giuan si erano ritrovati casualmente in Albania.

Giacumin in marcia lungo una strada di montagna sentì cantare…. Quella era la voce di Giuan! Volse lo sguardo, verso quella melodia. Era proprio lui! Giuan con il suo reparto, accampato in quella zona! Stava cantando, mentre lavava dei panni in un ruscello. Per quelle strane bizzarre combinazioni e circostante della vita, i due fratelli si ritrovarono, in quello sperduto posto e si abbracciarono. Per l’ultima volta insieme.
Caterina, ricorda bene quei primi giorni del novembre 1944. Giornate serene e notti di chiari di luna, come se il sole non fosse mai tramontato. In una di quelle notti, nei boschi delle Faje, erano nascosti uomini in armi, di opposte fazioni. Chi era nascosto in tu Boscu di Veggetti, non poteva indugiare oltre con quelle Lese, cariche di armi per i Partigiani. Qualche giorno prima era stata attaccata e disarmata un’intera guarnigione di sanmarco. I Partigiani avevano requisito un bel po’ di armamenti che dovevano essere messi al sicuro e disponibili, per la Guerra di Liberazione. Bisognava far presto e trasportare quel carico sul Beigua dove c’erano le basi dei Partigiani.

Ma qualcheduno aveva avvisato i sanmarco e le brigate nere, del transito di quelle armi e i militari si erano appostati, nascosti presso la Cappelletta. Sapevano che quel trasporto, era diretto verso a Stra da Lese, che passa proprio lì da quellu Nicciu e sale verso la grande montagna, con tutti i suoi rifugi e i suoi nascondigli imprendibili. Ci fu un conflitto a fuoco, con una mitragliatrice i sanmarco, per paura di essere circondati, indirizzarono alcune raffiche verso l’abitato delle Faje.

In quelle concitate fasi, un proiettile esploso dai fascisti, colpì a morte un loro camerata che si trovava nello spiazzo antistante a Ca du Stancu. Nella foto fagocitata, resa irriconoscibile dalla Lelua, edera, c’è un’abitazione, a Ca du Stancu poi di Batesti. La vacca di Nestu, il tabacchino, che stava trainando una di quelle lese si trovò sulla linea di tiro e fu abbattuta. La carne di quella mucca, al termine della sparatoria fu requisita dai fascisti per farne uso proprio. Gli animali, che stavano trainando le altre lese, con il carico di armi, privi di comando, annusata l’aria di casa si avviarono verso le loro stalle alle Faje. A questo punto, fu chiaro il coinvolgimento collaborativo, degli abitanti di questa borgata, per quel trasporto di armi e munizioni destinato ai Partigiani. I fascisti sparsero la voce che avrebbero bruciato le case e deportato gli abitanti delle Faje. Alcuni renitenti di leva, alle prime avvisaglie dell’inverno, si erano rifugiati, nascosti nelle case, stalle e fienili delle Faje. Il papà di Caterina, era nascosto nel sottotetto sopra la sala da pranzo, insieme a Culin, Scimun du Masciu e i dui Bepittu. Avevano fatto una buca nello spessore del fieno e lì stavano nascosti. Era un rifugio sicuro, anche a prova di baionetta. Vi si accedeva togliendo delle tavole dal soffitto e salendo in piedi sopra una sedia, posta al centro della tavola da pranzo. Erano ventidue i sanmarco, che parteciparono allo scontro a fuoco ed effettuarono il rastrellamento, alla ricerca di Partigiani, renitenti o disertori. La mamma di Caterina le disse “Vanni a lettu e fanni finta de durmì!” Le brigate nere e i carabinieri avevano l’elenco dei renitenti e disertori. Erano a conoscenza del loro domicilio, e autorizzati a far irruzione nelle case dove si sospettava fosse nascosto un’antifascista, renitente o disertore. Un carabiniere entrò nella camera, dove Caterina, terrorizzata dall’avvicinarsi di quei passi pesanti, stava immobile nel suo lettino, con gli occhi chiusi. La luce di un lume rischiarò la stanza, con un cinismo rivoltante, e senza pietà, il carabiniere si avvicinò a quella bambina impaurita “ Ciao bambina, sono un carabiniere mi chiamo Guarientu, dicono che sono cattivo ma non è vero e dimmi dov’è tuo papà? E’ tanto che non lo vedi?” Chissà quanti bambini in circostanze analoghe, rispondendo a quelle ignobili domande a tradimento, avranno svelato il nascondiglio di un padre o di un fratello. Condannandoli a morte sicura. Lei fece solo cenno di sì con il capo, era molto tempo che non vedeva suo papà! Catteinin, la zia di Caterina, aveva nascosto il figlio Bepittu, in mezzo alle fascine e quando vide arrivare i militari, che stavano facendo il rastrellamento, si mise a canticchiare facendogli capire di star fermo e in silenzio. “ Non uscireee che stanno arrivandooo”

Quando si sparse la voce, che volevano bruciare le case delle Faje quella povera gente si disperò e cercò di mettere in salvo, il più velocemente possibile, le cose più necessarie, vestiario vettovaglie, cibo, attrezzi. Alcune famiglie misero le loro povere cose al riparo nei pagliai. Diversi anni dopo, la fine della guerra, in te Barche du Fen si trovava ancora qualcosa, ricordo di quelle tristi giornate.

Solo un’abitazione fu data alle fiamme, quella du Basanin. I Fascisti deportarono gli abitanti delle Faje, una decina uomini e donne, alle Colonie Bergamasche. Nel periodo bellico gli edifici della Colonia Marina, furono adibiti a carcere per gli oppositori del regime.

Dalla Stazione delle Bergamasche, partivano i vagoni piombati verso i campi di lavoro/sterminio. Quel gruppo di abitanti delle Faje rimase 15 giorni alle Colonie Bergamasche, in attesa di uno di quei treni per un viaggio senza ritorno. Maiullin, Maria Ghigliazza, la mamma di Caterina era incinta con un pancione già bello prominente. I parenti dei deportati, chiesero se poteva andare lei a parlamentare, con i comandanti fascisti delle Bergamasche. A una donna incinta, non avrebbero fatto del male, ne l’avrebbero rinchiusa. Maiullin si recò diverse volte alle Colonie Bergamasche, per portare del cibo e per scongiurare di liberare quella povera gente. avezza solo a far vita grama. Dopo un paio di settimane, gli abitanti delle Faje furono rilasciati.

Durante quegli scontri del novembre del 1944, rimase ferito Culin de Giosepin, colpito mentre stava per fuggire verso l’alveo du Rian de Gambin.

Quel Rian era la via di fuga dei renitenti di leva e disertori in direzione del Deserto. Giosepin rimase invalido, zoppicante per il resto della sua la vita. Grazie alla solidarietà dei sanitari, mentendo sulle generalità e sull’accaduto, gli furono prestate le cure necessarie nel nostro Ospedale. La gente delle Faje andava a trovare il povero Giosepin. Caterina ricorda quell’uomo nel letto dell’Ospedale con la gamba in trazione.
foto in b/n Archivio Storico Varagine.

Caterina, memoria storica delle Faje.Per non dimenticare che la guerra la vivono sulla loro pelle i poveri, la gente comune,semplice. Grazie per questa testimonianza.
Celeste
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