A Vanessa

La vita non era stata lieve, con quel ragazzo, diventato uomo troppo presto.

Ma così era, per tutti quelli nati in questo angolo di mondo, chiamato Liguria

Da ragazzi già avvezzi, a tirar su pesi, zappare e a tribolare nei campi o nei boschi

Non a leggere e a far di conto.

Conobbe lei, alla festa del santo patrono, come capitava a tutti, in quel paese aggrappato al monte.

Aveva gli occhi neri e lui ci si perse dentro, cotto a puntino!

A primavera in quel prato volavano le farfalle, erano le vanesse arrivate chissà da dove.

A posarsi sui fiori di ortica e di edera.

Scrissero i loro nomi su quel faggio.

Lui non lo poteva sapere, ma presto, la sua vita sarebbe cambiata.

Venti di guerra rumor di cannoni, per una carneficina voluta da teste coronate.

Quella cosa chiamata patria, voleva il sangue dei suoi figli.

Quello dei poveri cristi.

Cercava chi non sapeva leggere e far di conto.

Ma avvezzi a far vita dura e di buon comando.

Di quei poveri cristi, oggi troverete i nomi, scritti in ogni piazza, anche in quella più piccola, del più piccolo paese del nostro entroterra.

Lui era orgoglioso di aver in tasca quella cartolina precetto.

Quella cosa chiamata patria aveva bisogno di lui!

Come aveva detto il prete nell’omelia.

Si giurarono amore per tutta la vita, quando lei lo accompagnò alla tradotta.

La banda suonava e i carabinieri avevano il pennacchio.

Qualcuno su un palco raccontò le solite balle, sempre le stesse anche oggi.

Un fazzoletto da sventolare e per le lacrime, quando il treno sarebbe sparito nella galleria.

Un cantautore divenne famoso cantando….erano solo papaveri rossi.

Di lui invece nessuno parlo’

Ai genitori dissero, che era disperso chissa dove sul Monte Grappa e il suo corpo mai più ritrovato.

Ma non era vero

La verità era troppo cruda da raccontare a una mamma.

Lui aveva visto troppo sangue versato per quella patria infame.

Troppe volte sentito invocare a voce a alta o con un soffio, la mamma o un nome di donna.

Per l’ultima volta dai suoi compagni di trincea.

A quella ragazza dagli occhi neri, scrisse in una lettera, che si sarebbe trasformato in farfalla, pur di raggiungerla.

Disegno’ una vanessa su quel foglio.

Quelle che piacevano a lei

Poi più nulla.

Di lui dissero che era disperso.

La verità era troppo cruda da raccontare a una mamma o a una ragazza con gli occhi neri

Ci fu chi disse di averlo visto muovere le braccia, come cercando di volare, quando precipitò da quella rupe.

Ma la patria voleva degli eroi guai a raccontare di codardi suicidi!

A volar come le farfalle.

In quel paese aggrappato alla montagna, una mamma

smise di piangere.

Chissà perché ma sentiva che prima o poi quel figlio, sarebbe ritornato.

Un giorno di primavera.

Come le vanesse.

Lo aspetto’ per tutta la sua vita, guardando verso quella strada da dove era partito.

Quegli occhi neri, chissà quante volte avevano riletto quell’ultima lettera, sgualcita e mani rugose, accarezzato quella farfalla oramai sbiadita.

Lei aveva finito, le lacrime e solo quando arrivavano le farfalle, le vanesse nei prati, sorrideva pensando a lui.

Francesco Baggetti.

2 pensieri riguardo “A Vanessa”

  1. Commovente e bellissimo questo racconto..inutile ogni guerra..inutile ogni suo risvolto…predichiamo di essere più uniti..solidali..dovremmo aiutarci..e poi c è sempre qualcuno che per odio o per soldi…che tristezza…

    "Mi piace"

Scrivi una risposta a giuan marti Cancella risposta