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La città di Varazze, a metà degli anni 70, ha dedicato una via ad un nostro concittadino, Giuseppe Scavino, un sottotenente di vascello, imbarcato sull’incrociatore Armando Diaz, scomparso a seguito dell’affondamento della nave, il 25 febbraio del 1941
L’Incrociatore leggero Armando Diaz, faceva parte di una classe, di incrociatori caratterizzata da elevata velocità e scarsissima corazzatura (le navi di questo tipo verranno soprannominate dagli equipaggi “cartoni animati”)
Alle 3:43 del 25 febbraio 1941, mentre scortava un convoglio verso la Libia, insieme al gemello Giovanni delle Bande Nere e ai caccia Ascari e Corazziere, fu silurato dal sommergibile della Royal Navy Uprigh e affondò di prua, in soli sei minuti, trascinando con sé 464 uomini su un totale di 611 che componevano l’equipaggio.
Solo 9 furono i cadaveri recuperati (secondo altre fonti i morti furono 500 su 633 uomini a bordo).
A bordo dell’incrociatore c’era anche il sottocapo cannoniere Valcalda Emilio, un fratello di mia nonna, di lui ricordo il suo volto, inserito una grande foto, con lo sfondo dell’Armando Diaz e tutti i nomi e i volti dei marinai che erano deceduti nell’affondamento.
Era appesa in cima alla scale, per andare nelle camere al primo piano, della grande Cà du Punte ad Albisola in via dei Siri.
La casa dove abitava la mia bisnonna Maria.
Chissà dove sarà ora quella foto.
Il dolore per quella tragica scomparsa, anche a distanza di tanti anni è ancora presente nella mia famiglia.
Emilio era stato dato per disperso, ma forse si sperava di rivederlo vivo, anche dopo tanto tempo, che non si avevano più notizie su di lui.
Ci fu un momento di speranza, quando dopo una settimana dal 25 febbraio, giorno dell’affondamento, alcuni marinai dati per dispersi, furono invece ritrovati.
Erano stati tratti a bordo dell’incrociatore Giovanni delle Bande Nere, che faceva parte della stessa squadra navale dell’Armando Diaz e che si prodigò per il salvataggio dei superstiti.
I sopravvissuti furono sbarcati e ricoverati, ma la confusione e la disorganizzazione era tale, che la notizia di aver ritrovato vivi alcuni marinai, dati per dispersi, giunse in Italia, solo dopo qualche giorno, e da quel momento le tante famiglie, che si erano rassegnate per la perdita dei loro cari, ritornarono a sperare con il malcelato pensiero, che prima o poi avrebbero riabbracciato quei figli o quei fratelli partititi e mandati al massacro in una guerra inutile e di vana gloria.
In quei concitati giorni gli uffici della Real Marina, furono presi d’assalto, da mamme fratelli sorelle e mogli dei dispersi in mare, che chiedevano notizie dei loro cari e ripetevano quel nome della nave gemella Giovanni delle Bande Nere come fosse l’ultima speranza.
Quando rimpatriava, qualcuno che era imbarcato su quell’incrociatore, gemello dell’Armando Diaz, i famigliari delle vittime cercavano notizie dei loro cari e di quella maledetta notte.
Una notte d’inferno a sentire le grida di quei poveri marinai intrappolati in un inferno di ferro e fuoco.
Il siluro aveva preso in centro la santa barbara dell’Armando Diaz, che priva di corazza, era saltata in aria con un’enorme vampata di fuoco, colpita da un altro siluro verso la prua la nave era affondata rapidamente in pochi minuti, trascinando con se anche quei marinai che erano riusciti a gettarsi in acqua.
Ma ai parenti le autorità non raccontarono queste cose, dissero semplicemente che la nave era affondata, omettendo tutte le altre cose che al regime non erano gradite perché disfattiste.
Giovanni delle Bande Nere (era il nome di un condottiero del papa) finì per diventare il mio nomignolo da bambino, mi chiamavano così i miei zii di Celle e Albisola luogo di nascita di Emilio Valcalda.
La tragedia delle famiglie dei soldati e dei marinai dispersi è stata, a mio parere, sottaciuta e rimossa dalla nostra memoria collettiva, eppure è stata una tragedia nella tragedia, non avere una tomba su cui pregare un proprio caro finito in fondo al mare o chissà dove nell’inverno russo a causa di un regime che aveva mandato a sicura morte una generazione di giovani.
Una rimozione della memoria anche nella nostra città, dove le 73 vittime della follia fascista della seconda guerra mondiale non sono commemorate da nessuna targa o monumento.
Il nome di Valcalda Emilio è inciso nel monumento ai caduti di Celle Ligure.
